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È venerdì, cammino di fretta verso casa con le mani arrossate dal freddo che a stento riescono a stringere i sacchetti della spesa. Ogni rallentamento diventa motivo di stress e la mia impazienza esplode quando, sulla porta di casa, non riesco ad impugnare le chiavi a causa della poca mobilità delle mie mani. Il sole è caldo, imponente e penso che la passeggiata sarebbe stata anche piacevole senza quell’aria fastidiosamente ghiacciata.
Un anno prima la stessa semplice e rituale azione avrebbe assunto un significato diverso. Sarei uscita di casa, avvolta dal mio cappotto blu che sembrava mi desse un’aria così adulta e il mio profumo dell’inverno, alla Zagara, leggero ma prezioso. Sarei andata a fare la spesa al supermercato cinese sotto casa, uno dei miei posti preferiti. Nell’entrarci dentro avevo sempre provato un senso di spensieratezza, mi piaceva girarci con un passo flemmatico, scrutando gli scaffali e le varie assurdità che si possono trovare. Spesso dovevo comprare solo un pacco di ravioli surgelati, ma un vasetto di wasabi peanuts mi tentava ogni volta nella strada verso la cassa. Godevo nell’immergere tutta me stessa in quell’odore, tipico dei supermercati etnici: di incenso, di curry e cumino nel reparto spezie, di cavolo cinese e di buste di plastica. Mi sarei diretta verso casa, con un’espressione beata nel volgere il volto a sole, come un pannello solare che cerca di captare più energia possibile. Senza fretta, con la musica nelle orecchie e gioendo di quell’inizio di giornata, tanto normale quanto speciale.
Da quando stavo con Giacomo ero infervorata da un innamoramento per le piccole cose, quelle talmente impercettibili che neanche ci si accorge possano far star bene. All’alba dei miei ventidue anni mi sembrava di aver riscoperto il mondo, di aver scambiato gli occhi con quelli di qualcuno che non era mai uscito di casa fino a quel momento. Giacomo ha la mia età, ma insieme la dimezzavamo, e in senso positivo. Ogni piccolo gesto diventava pura esaltazione e ci accomunava una passione sincera per le cose di poco conto. A me piaceva infilarmi nei cortili verdi delle case sontuose e scorgere più particolari possibili, disegnare i fiori sul mio quadernino, fare colazione al sole e vestirmi a righe. A lui piaceva fermarsi ad ogni fontana per scovare i pesci ed elencarne le varietà, coltivare piantine di basilico e menta in bagno e collezionare le etichette dei vini.
ll gennaio scorso ero di ritorno da Napoli e lui mi aspettava alla fermata dell’autobus. Ricordo i suoi zigomi lucidi, che si gonfiavano con il solo accennare di un sorriso e su i quali avevo stampato un bacio pieno. Mi aveva stretto le mani e ci aveva fatto cadere dentro una ranocchia di gomma, di quelle che si usano come esche nella pesca di lago, era solito regalarmele nelle occasioni speciali. Per risparmiare avevo viaggiato la notte ed erano le sei del mattino al mio arrivo, la città si svegliava e la metro faceva la prima corsa. Ho un ricordo vivido di quel momento, pioveva a dirotto e arrivati a casa ci eravamo spogliati dei vestiti fradici. A distanza di mesi, mi manca l’abbraccio forte che mi aveva dato sotto le coperte e la sua espressione beata di quando richiedeva una carezza, porgendomi il braccio teso.
Ad oggi, il nervosismo mi pervade, un momento che tempo prima sarebbe risultato tanto grazioso, adesso mi snerva. Da poco Giacomo mi ha lasciata e non riesco a godere delle piccole cose. È come se lui se le fosse portate via, insieme alla sua risata silenziosa e al suo profumo acidulo. Mi fa arrabbiare, era bastato così poco perché il supermercato cinese non mi rilassasse più, i miei vestiti a righe fossero diventati in bianco e nero, e il sole che mi sfiorava la pelle non era più dolce, ma fastidioso.
Finalmente entro nel portone di casa, stavo attraversando il cortile quando sento un tintinnio di monete che cadono: mi si era rotto il portafoglio che stringevo nella mano, insieme al sacchetto della spesa. Piena di rabbia, mi accovaccio a terra a raccogliere le monete roteanti, addirittura alcune cadute nel tombino. Mentre sbuffo e alzo gli occhi al cielo noto che, al suo interno, vi era caduta anche la piccola ranocchia di gomma che tenevo sempre con me. Senza che facessi in tempo ad accorgermene, esclamo: “E allora ciao Giacomo!”, mentre mi rialzo e porgo un cenno di saluto con la mano. A breve mi rendo conto dell’ironia di quella situazione e scoppio in una risata quasi squillante.
La passiflora nel mio giardino stava iniziando ad esporre i nuovi boccioli e penso che, di lì a poco, sarebbe diventata maestosa e che, forse, quella giornata non era poi così male.