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Nel paese senza nome, dove le strade non avevano riferimenti topografici e le case non possedevano numeri civici, esisteva una tradizione che nessuno osava mettere in discussione. Quando i giovani compivano diciotto anni, ricevevano una lettera sigillata con ceralacca blu, consegnata personalmente dal Custode del Registro Vitale. La lettera conteneva sempre le stesse parole, scritte in un inchiostro che sembrava cambiare colore a seconda della luce: "Cittadino, il tuo destino è ora nelle tue mani. Presentati al Palazzo delle Seconde Possibilità entro sette giorni dalla ricezione di questa missiva". Il Palazzo sorgeva al centro della piazza principale, un edificio di marmo bianco con finestre che riflettevano non il cielo, ma i sogni di chi le guardava. All'interno, una sala circolare accoglieva i giovani neo-maggiorenni; lì sedeva sempre la stessa donna dall'età indefinibile, i capelli argentati raccolti in una treccia complessa come un teorema geometrico.
"Ogni vita", spiegava la donna con voce melodiosa, "è una partita a carte. Il destino ha distribuito le sue carte, ma voi potete bleffare. Potete scartare tutto e chiedere una nuova mano. Un nuovo lavoro, una nuova famiglia, nuovi amici, nuove passioni. Tutto diverso, tutto possibile".
I giovani ascoltavano con gli occhi spalancati, già immaginando le vite che avrebbero potuto avere. C'era sempre un prezzo, naturalmente.
"Cinque anni", continuava la donna. "Per ogni nuova vita che scegliete, cinque anni della precedente scompaiono. Non morte, ma annullamento. Come se non fossero mai esistiti. E questi cinque anni si sottraggono anche alla vostra nuova esistenza".
La maggior parte accettava senza esitazione. Perché vivere settant’anni da fornaio quando si potevano viverne sessantacinque da esploratore? Perché rimanere in una famiglia di pescatori quando si poteva diventare figli di musicisti? Il paese si era trasformato in un caleidoscopio di vite in continuo mutamento, dove nessuno era mai davvero sicuro di chi fosse stato il giorno prima.
C'era chi cambiava vita ogni dieci anni, consumando decenni come monete in un distributore automatico. Altri erano più parsimoniosi, cambiando solo due o tre volte nell'arco dell'esistenza. Alcuni, i più avventurosi, bruciavano la loro vita in una serie frenetica di cambiamenti, riducendola a una manciata di anni vissuti intensamente in una dozzina di identità diverse.
Roger Future era diverso. Quando ricevette la sua lettera, la tenne in mano per ore, sentendo il peso di quella ceralacca blu come se fosse piombo fuso. Non la aprì subito. La pose sul tavolo della cucina e la osservò mentre beveva il tè che sua madre gli aveva insegnato a preparare, mentre guardava dalla finestra il giardino che suo padre aveva coltivato con le sue mani callose. Roger aveva diciotto anni e sapeva già molte cose. Sapeva che sua madre cantava con infinita dolcezza quando lavava i piatti. Sapeva che suo padre si alzava prima dell'alba non per dovere, ma perché amava vedere il sole nascere sui pomodori. Sapeva che sua sorella minore nascondeva i suoi disegni sotto il materasso e che il cane del vicino abbaiava sempre tre volte prima di addormentarsi.
Conosceva il sapore del pane che sfornava il fornaio all'angolo, l'odore di legno e colla della bottega del falegname, il suono delle campane che scandivano le ore dal campanile senza nome. Sapeva che Mara, la figlia del tessitore, arrossiva quando lui le sorrideva, e che il vecchio bibliotecario conosceva a memoria ogni libro degli scaffali polverosi. Quando finalmente aprì la lettera, Roger lesse le parole che tutti conoscevano, ma invece di eccitazione sentì una strana tristezza. Non per la sua vita – che era semplice, prevedibile, forse anche un po' noiosa – ma per tutte le vite che aveva visto cambiare attorno a lui. La signora Helen, che era stata sua insegnante di matematica, un giorno era scomparsa e al suo posto era apparsa la signora Helen pittrice, con le stesse mani ma nessun ricordo dei teoremi che gli aveva insegnato. Il suo migliore amico Mark era diventato tre persone diverse nel corso degli anni e ogni volta Roger aveva dovuto imparare a conoscerlo di nuovo, come se fosse uno sconosciuto che portava solo casualmente lo stesso nome.
Il paese era pieno di fantasmi di vite vissute, di memorie cancellate che aleggiavano come nebbia nelle strade senza nome. Roger si domandava se davvero vivere sessantacinque anni da esploratore fosse meglio che vivere settant’anni da fornaio, se tutti quegli anni annullati non fossero in realtà la parte più preziosa dell'esistenza.
Arrivò al Palazzo delle Seconde Possibilità nel settimo giorno, ma non per accettare l'offerta. La donna dai capelli argentati lo guardò con curiosità quando lui si sedette davanti a lei e disse: "Rinuncio".
"Rinunci a cosa, ragazzo?"
"Rinuncio a bleffare. Tengo le mie carte, anche se non sono perfette. Tengo la mia famiglia, anche se non è ricca. Tengo i miei amici, anche se sono pochi. Tengo la mia vita, anche se sarà ordinaria".
La donna lo fissò per un lungo momento, come se vedesse qualcosa che non aveva mai visto prima. "Sai cosa significa? Invecchierai con la stessa faccia, morirai con lo stesso nome. Non potrai mai essere nessun altro".
"Appunto", rispose Roger. "Voglio essere me stesso. Tutto me stesso, anche i pezzi che non mi piacciono. Voglio che ogni anno della mia vita conti, anche quelli difficili".
"È una scelta insolita", mormorò la donna. "Così insolita che non so nemmeno se il paese possa contenere qualcuno come te".
Roger aveva già pensato a quella possibilità. Guardò attraverso le finestre del Palazzo, verso le strade dove le persone cambiavano identità come vestiti, dove i ricordi si dissolvevano come zucchero nell'acqua, dove nessuno invecchiava davvero perché nessuno rimaneva abbastanza a lungo in una vita per vederla appassire.
"Allora partirò", disse. "Cercherò un posto dove il tempo scorre in una sola direzione, dove le rughe raccontano storie vere e dove la gente ricorda i propri errori abbastanza a lungo da imparare da essi".
La donna annuì lentamente.
"Forse è giusto così. Forse ogni paese ha bisogno di qualcuno che porti altrove la memoria di come si viveva prima".
Roger si alzò, salutò con un inchino e uscì dal Palazzo. Raccolse le sue poche cose, abbracciò i suoi genitori (che lo guardarono con una tristezza che non riuscivano a spiegare), baciò sua sorella sulla fronte e si incamminò verso l'uscita del paese. Mentre camminava, sentì dietro di sé il rumore familiare della vita che continuava: bambini che giocavano, adulti che lavoravano, anziani che raccontavano storie. Ma sapeva che tra qualche anno, molti di quei bambini avrebbero scelto di diventare altre persone e quelle storie sarebbero state dimenticate per sempre. Roger Future non si voltò. Davanti a lui si estendeva una strada che portava verso altri paesi, altri luoghi con un nome, dove le persone invecchiavano lentamente e tenacemente, dove ogni anno di vita pesava quanto doveva pesare, dove il destino non era un gioco di carte ma una lunga camminata da fare con le proprie gambe. Nel paese senza nome, quando il sole tramontò, nessuno si accorse che Roger era partito. Ma la sua assenza risuonava come una nota stonata in una melodia perfetta, come una domanda che nessuno osava fare: cosa succederebbe se tutti scegliessero di rimanere se stessi? La risposta camminava già su una strada polverosa, verso un futuro che non poteva essere cambiato, ma solo vissuto.
Fabio Basilico
Settembre 2025