Due disturbatori notturni (n°1)

scritto da Joe Overnight
Scritto 10 mesi fa • Pubblicato 10 mesi fa • Revisionato 10 mesi fa
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Autore del testo Joe Overnight

Testo: Due disturbatori notturni (n°1)
di Joe Overnight

Io e Johnny Walker sapevamo bene che cosa comportasse trovarci nella stessa stanza. Per l’occasione avevamo scelto un lounge bar, il Garrison Inn, che a descriverlo brevemente era simile a un irish pub ma con scritte al neon sopra al bancone e sui muri, tra i quadri di conti e visconti a caccia di anatre selvatiche. Sedevamo su una poltrona grigia a testa, leggermente inclinate verso l’esterno, e tra noi ardeva un fuoco brillante, di tanto in tanto ravvivato dal personale con un pezzo di legno. Eravamo vestiti bene, indossavamo un vestito a sera, di quelli che avremmo usato anche in una serata di gala alla scala di Milano.
Johnny fumava un sigaro cubano e beveva dello scotch, mentre io avevo tre dita di Whiskey e la pipa del nonno appollaiata sulle labbra. Johnny era un tipo pragmatico e alla mano, un osso duro nichilista, agnostico, capace di farmi perdere le staffe con la domanda giusta nel momento giusto. 

< Comincio io?> Chiesi, sorridente.
< Il bianco non è avvantaggiato in questo tipo di gioco.> Rispose Johnny, brindando con il bicchiere di Scotch.

< La filosofia è l’elemento fondamentale.> Dissi.
< Che cosa intendi per filosofia? Non è un termine da poco Mr. Overnight.>

< Intendo la filosofia spogliata delle varie branche, parlo della logica, della riflessione tramite ragionamento ed esperienza. Parlo della filosofia intensa come i passaggi logici che utilizziamo per formulare un’idea, osservando un qualcosa, che esso sia un oggetto, una pratica o un pensiero.>
< Quindi intendi la ragione critica?>

< Potremmo dire che è la ragione logica umana, e la capacità critica della stessa.>

< Che cosa cambia dalla logica razionale scientifica?>
< Che l’oggettiva di una logica non è importante, non si ferma all’analisi del solo reale ma nemmeno al solo significato. Non ha importanza se la logica è razionale, poiché in quanto logica è sufficiente a se stessa, fin tanto che è ragionevole. Intendo quindi dire che, per esempio, seguendo la logica cristiana l’espiazione tramite confessione sul punto di morte è tanto importante quanto una vita di rettitudine, se non di più.>

< Non ha senso, però. Un uomo che uccide e si pente in punto di morte non dovrebbe essere al pari di qualcuno che non ha mai ucciso. E’ illogico, come puoi attribuire un valore di rettitudine uguale se non superiore a qualcuno che ha compiuto un peccato capitale rispetto a qualcuno che non lo ha mai perpetrato? Che ne è allora dell’uomo giusto, che ne è della rettitudine? facendo così diminuisce anche il valore della vita spesa seguendo le vie del signore. Per meritare uguale, o di più, basta confessare in punto di morte? E pentirsi? Pentirsi veramente? Che cosa vorrebbe dire poi?> Disse Johnny, accavallando le gambe.
Mostrò un paio di calzini bianchi dal cavallo nero rampante ricamato all’altezza della caviglia e pensai alle macchine veloci, per un attimo, e come poco mi si addicessero.
< E’ irrazionale di fronte a un punteggio tra due esami. Elencando le azioni e raccogliendo i dati si tirano le somme di una vita come in un test scolastico. Sarebbe ben crudele un Dio così, e sarebbe forse più simile all’umano di oggi e meno uguale a quello che ha creato ieri, a sua immagine e somiglianza. Per la logica cristiana, Dio vuole il paradiso in terra, e sarebbe possibile soltanto con l’utilizzo consapevole del libero arbitrio. Ma sulla terra non c’è il paradiso, bensì l’inferno, che ci porta a maledire il signore mentre soffriamo, a non riconoscerlo, a fare scempio di cosa ci è attorno e al prossimo. Nasciamo in un mondo che è fatto di sofferenza a priori, come se fossimo da sempre peccatori, e dunque rende necessario il nostro pentimento, l’accettazione della realtà imperfetta, del nostro essere imperfetto, il quale si deve modellare affrontando il mondo per raggiungere il paradiso. Se questo è l’obiettivo, vien da sé che la salvezza non può avere una data di scadenza, e non può essere limitata.> 

< Perché non dovrebbe? Non sei di certo riuscito a convincermi che la fede cristiana sia compassionevole, anzi.>

< E’ semplice, se la salvezza fosse limitata nel tempo o nelle azioni nonostante il pentimento non sarebbe realistica. Un uomo che si pente, davvero, e rinuncia al proprio io ammettendo ogni colpa e bruciando le parti di se stesso che lo incatenano all’inferno, ha la capacità di purificarsi. Per essere perdonati dal signore dobbiamo essere capaci di perdonare noi stessi, e questo significa accettarsi, comprendersi e risolvere il circolo vizioso di azioni che ci allontanano dalla via del signore. Accettando queste tribolazioni e percorrendo il sentiero trascinando la nostra croce, ci apriamo al paradiso e al perdono, e la nostra vita, o meglio quel che ne rimane, diventa esempio di redenzione, diventa espressione d’amore verso il mondo. L’espiazione è la vera compassione umana, il vero miracolo, il vero amore. Senza questa possibilità, tutto ciò che c’è prima non ha alcun senso, non ha alcun valore. A tal punto, raggiunto il paradiso in terra tramite la serenità che solo una vita di piena responsabilità garantisce, tutto ciò che c’è prima non importa, né all’individuo, né al signore. Importa ancora a qualche vittima, e ai loro familiari, ma essa è la loro croce, e pesa su di loro soltanto.> Portai il Whiskey alla bocca, la gola mi era divenuta secca e il concetto era a un passo dallo sfuggirmi di mano. Capitava che mi lasciassi andare, con l’enfasi del momento. Gli argomenti poi prendevano ad accavallarsi insieme ai concetti e come una valanga cadeva tutto insieme sul malcapitato che avevo di fronte. Johnny lo sapeva bene, e in quei momenti mi guardava con le sopracciglia corrucciate sperando che non superassi il punto di non ritorno. Era abbastanza saggio da non provare a fermarmi direttamente, perché lasciandomi intendere il problema, ero ben più disposto a tornare in silenzio.
< Quindi mi stai dicendo che seguendo la morale cristiana e portando a termine una vita canonica all’interno delle regole, non si conosce l’inferno ma neanche il paradiso? Non è possibile raggiungere l’estasi senza aver prima toccato il fondo? La sofferenza non solo è necessaria, ma persino auspicabile?>

< Credo che per logica sia così, sì. La realtà cristiana sostiene ciò che sostiene il Buddha: la vita è sofferenza. Questo significa che non soffrire significa non vivere, non attraversare l’inferno significa non accedere al paradiso. La redenzione non è una strada facoltativa, è l’unica possibile. E se tutti siamo peccatori, fin dal principio, ecco che si apre a chiunque, sia la salvezza che la possibilità di accedere al paradiso. Così un uomo che si astiene dal dovuto viaggio all'inferno, è escluso dal paradiso, perché non c'è merito in chi non esercita la forza sul debole essendone privo. Non c'è forte vero che non sia stato prima debole. Non c'è bontà vera senza sofferenza. Se vuoi andare in paradiso, dovrai pur sempre morire.>

A ogni incontro ci presentavamo a mani vuote, nudi e vulnerabili.
A volte le parole pesavano troppo e le portavamo con noi nella sera. La mente, con le nostre idee, ci condiva gli incubi e bussava alle porte dell’anima nel profondo della notte, obbligandoci a fissare le luci oltre le finestre, i radi passanti e le veloci automobili di ritorno a casa. Si dormiva meglio con il temporale, come se il rumore incalzante zittisse un po’ il ronzio nella testa.
Quello che il Whiskey non annegava la pioggia lavava via.

Due disturbatori notturni (n°1) testo di Joe Overnight
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