Manrico, l'ultimo ritratto

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Scritto 21 anni fa • Pubblicato 7 mesi fa • Revisionato 7 mesi fa
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Pasquale Raffaele D'Orlando, Artista Universalista
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Testo: Manrico, l'ultimo ritratto
di Universalista

MANRICO L’ULTIMO RITRATTO

Un mandorlo in fiore è spuntato in Sicilia

dodici ore prima

ho visto annunciare il risveglio della natura

appena varcato

il quarantacinquesimo parallelo

a Borgoratto Alessandrino

uno scherzo macabro il tuo mi sembra

addormentarti improvvisamente

per sempre Manrico.

Non è possibile

nella stanza della vita

trasformata in camera ardente

vederti coricato

di tutto punto

col vestito a festa

serenamente composto

ci butti nell’atroce dolore della morte

lasciandoci inavvertitamente.

Non è possibile

è uno scherzo

l’ultimo tuo atto ribelle

il bel colorito del volto

una leggerissima smorfia del labbro

dolcemente ci annunciano

silenziosamente ti eclissi

scusatemi

tolgo il disturbo.

Non è possibile

uno scherzo simile

a noi a tutti

che non si poteva che amarti

salutarci così

dopo che ti sei abbuffato

prima che in eterno ti coricassi

un bel piatto di pastasciutta

gianduiotti e marron glacè.

A suon di sberle

vorrei svegliarti

presentarti in quel modo

una faccia da schiaffi

poi ci facciamo una ragione

che non potevi andartene

se non come hai fatto

quatto quatto

per l’ultimo saluto.

Una stamberga come tu chiamavi

il mio studio dividevamo

con altri amici squattrinati

a pochi passi d’Accademia

nel cuore culturale di Milano

una marea umana bohémiens si frequentava

l’intellighenzia della città si ritrovava

l’unico posto al mondo ci sembrava

per sopravvivere e sognare.

Ci avevano presentati al bar Jamaica

mi avevi subito offerto un latte caldo

ci parlavamo in napoletano

ci capivamo col centro del nostro petto

abbiamo subito fraternizzato

hai voluto dividere senza pensarci

sorte e quattrini mai abbastanza

con me pittore affamato e povero in canna

più che fratello da padre ti comportavi.

Inesperto di vita qual ero

formazione giovanile ho ricevuto

dura violenta inadeguata

tra sbarre grosse e muri antichi

conseguenza di una inutile tragica guerra

tu Manrico pazientemente

m’hai aperto gli occhi della conoscenza

facendomi capire ciò che non tornava

i tanti perché da far quadrare.

Era il millenovecentosessanta

la buonanima di tuo padre ti mandava

quarantacinquemila lire al mese scadenza fissa

tra pigione di pensione in via Bronzetti

sigarette del bar Titta e caffè al bar Jamaica

pasto e cena alla trattoria dell’Angelo

ti bastavano e avanzavano

ma accollandosi Pasquale

a fine mese non si arrivava.

Ricordi quando rimasero mille lire

al mensile mancano ancora sette dì

preoccupati eravamo per sopravvivere

chiedemmo ad un’amica come fare

da brava locandiera ci consigliò

comprare polenta e margarina

un po’ di sale una pentola si procura

cucinarla non è cosa dura

da buona veneta che a noi terroni insegnò.

Per cucina la stufa elettrica coricata si adoperò

attaccarla e spegnere il resto delle luci in sincronia

che il contatore saltava in allegria

buio e freddo rimanemmo a dover patire

finché imparato abbiamo la sincronia

con la pentola e l’acqua in grande attesa

le ore passavano e non bolliva

fame e disperazione ci assaliva

finché dubbio ci pervenne a soluzione.

Vuoi vedere che mettere il coperchio

sulla pentola l’acqua bolle prima

che questa non tardò in mezz’ora

un sospettoso brontolio ci spaventò

nel buio della stamberga si propagò

con le facce fiocamente di rosso illuminate

a bocca aperta la provenienza individuiamo

il coperchio solleviamo

bolleeee! gridammo e ci abbracciammo.

Finito di rimestare la polenta

ci accorgemmo che il tagliere non ci stava

la pentola in mano mi bruciava

senza fare troppi complimenti

prima ancora che tu fiatassi

l’occhio sulla tavola improvvisata mi scappò

un’idea a bruciapelo per la capa mi passò

sulla tavolozza dei colori ‘a farenella si posò

mai pietanza accussì variopinta ci toccò.

Pe’ ‘na semmana polenta e solo polenta

rimestammo e cucinammo mangiammo e cagammo

e ci ritenevamo pure fortunati

la sera antecedente al mensile di papà

ricevesti un invito a cena dai Tiberti

non sapevi come dirmelo senza offendermi

la signora un piatto speciale per te preparò

il giorno appresso con invidia famelico ti chiesi

cosa la Sandra di speciale ti presentò.

Guardandomi negli occhi fissi e silenziosi

alzasti una mano scheletrica senza muscoli

accompagnando la mimica tua particolare

a voce stridula mi chiedesti di indovinare il piatto della cena

caviale? spezzatino con patate? arrosto di vitello?

porchetta alla romana? cotoletta alla milanese?

polpo affogato? pesce spada? costata alla fiorentina?

mi rimproverasti che fantasia non possedevo

Pascà, polenta è il piatto della Sandra che ho mangiato!

Oggi sette di novembre del duemilaquattro

riprendo i nostri ricordi

il due di questo mese

cinque giorni fa

il giorno dei morti

in sogno mi sei venuto

eri morto anzi no dormivi in coma

a pancia in giù sul letto stavi che giacevi.

Un tonfo al cuore di speranza mi assale

ti scuoto per le spalle dolcemente

il tuo nome Manrico forte

e ti scuoto ancora e chiamandoti

che ti svegli dal luuuungo sonno

come bambino piangi

bello sei come un dio greco

nudo dalla cintola in su ti presenti

da possente atleta diciottenne.

Ti abbraccio e ti coccolo

le parti sono invertite

ora tu mio piccolo bambino

sei smarrito o Manrico

e il mio bel sogno l’alba infrange

lacrime amare la tastiera bagnano

la felicità di un attimo onirico regalato hai

all’amico pittore dei tuoi ritratti immortali

un poeta improvvisato di parole astratte.

Non ti conoscevo prima della malattia

che i muscoli ti ha portato via

giovane studente con Berruti ti misuravi

alternativamente vincente

il decathlon la tua specialità

nel sogno ti sei presentato giovane e sano

tutti i muscoli vivi al loro posto

se avrò la forza e la possibilità

scultura d’artista dell’amico mi ispirerà.

Giorni tristi questo mese di novembre

a mio fratello di sangue ho telefonato

non avevo voglia ma operato al cuore è stato

sentirlo ho voluto presagendo la giornata

nera s’è presentata da fratello solo di sangue

l’amore e il resto non è di casa nel suo stile

formalista e rabbioso nei confronti miei

si presenta da estraneo e neanche amico

che il confronto con Manrico m’è naturale.

L’amico fraterno perso oggi piango

ancora e ancora lo piangerò mentre

lui mio fratello anni addietro

tra tristi mesi di lacrime dal mio cuore

ho dovuto cancellarlo per l’incomprensione

impazzire rischiavo dal dolore

non mi capacito come lo stesso sangue

possa non amare oltre a l’altra

la sua famiglia originale.

Così senza inutili rancori

sull’uscio dell’eternità di entrambi

la vita suggerisce come mamma diceva

un solo fratello di sangue hai

ma tanti altri

incontrati nella vita ho

la legge di compensazione

il destino prepara

l’amore e anche la felicità.

Pasquale Raffaele D’Orlando

Senna Lodigiana 7 novembre 2004

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