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Guardo il mio segno:
da sempre là,
maledizione e condanna
perpetrate da Colui
che mi punì nell’eternità
di un oblio senza morte —
solo per l’uso di una lama
che trafisse una sola vita.
Certo: fraterna.
Ma fu il Suo schernire il mio dono
a nutrire il mio odio.
Sarebbe bastata una ragione,
una logica nella Sua scelta —
ma fu solo preferenza,
senza motivo.
Forse
volle punirmi
per ciò che poi divenne,
nella Sua foga crudele,
dove non distingueva
la pietà dal comando.
E nel Suo potere corrotto
vidi iniziare il sangue nei fiumi:
nel finire della decade
i primogeniti morirono
nell’innocenza più pura,
ma nessuna lama Lui usò mai —
patetico rimedio
per guardarsi le mani pulite.
Le mie invece,
segnate dal sangue:
mio padre e mia madre
costretti a non lavarlo via.
Loro censurati
per un’unica mela,
mentre carestie
avvizzivano il mondo.
E Lui, con il diluvio,
alimentò la fine.
Sarcasmo del Potere.
Ora vago.
Io: il primo assassino.
La condanna del segno
che Lui non volle portare.