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Fuori dal carcere, la città mi accolse con un'esplosione di suoni e colori, un turbine di sensazioni che mi fecero barcollare. "Dove sono?" chiesi, in un sussurro, a un passante. "Sei a Detroit, amico. Cos'hai bevuto troppo?".
Guardai l'uomo, cercando indizi, un barlume di riconoscimento nel suo sguardo. Niente. Un vuoto spalancato, come il cielo notturno privo di stelle.
L'unica cosa che mi aveva dato un senso di familiarità era un uomo che mi aspettava davanti alla porta del carcere:
Axel il mio migliore amico. "Francis! Finalmente!" Axel mi si gettò al collo, con un'energia che sembrava quasi innaturale. "Come stai? Sei...sei cambiato." Axel mi guardava con un'espressione strana, come se cercasse di decifrare un enigma. "Axel, non ricordo niente. Non ricordo perché ero in carcere, non ricordo..." Mi sentii le lacrime agli occhi, la mia voce tremava.
Axel mi condusse in un piccolo appartamento, che sembrava familiare, ma allo stesso tempo estraneo. "Questa è la tua casa, Francis. Devi aver dimenticato tutto." La voce di Axel era un faro nel buio, una voce che mi dava un senso di sicurezza.
Nei giorni successivi, Axel fu la mia ancora di salvezza. Mi aiutò a ricostruire i pezzi del passato, come un mosaico che si ricomponeva lentamente. Mi disse che era un pittore, che avevo un talento straordinario, che la mia vita era stata un turbine di emozioni e di colori. Ma qualcosa mancava, un tassello che mi sfuggiva, un vuoto che mi faceva male. "Cosa c'è di sbagliato, Francis?" chiese Axel, con gli occhi pieni di preoccupazione. "Cerco qualcosa, qualcosa che mi è stata tolta, qualcosa che mi appartiene."