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Quante volte sei scappata.
E quante volte lo farai ancora.
Oh, io lo so; sono sicuro
che lo farai ancora.
Ad ogni costo lo farai!
Fuggi dal mondo per non inquinarti
della sua ipocrisia. Vai via
lontana, ma avvisi soltanto a te.
Te ne vai come se non fossi mai esistita;
svanisci, come un sogno nell'alba.
E a me incoraggi a pensarti.
A spiarti in trasparenza
come al di là di un vetro. Ti guardo:
sola, dentro quella casa in riva al mare
t'apparti con i tuoi pensieri.
Isola di te stessa.
Ti liberi dei conformismi
e nuda come la prima donna
liberi a te l'estrema tua sincerità.
Tanta è la voglia del tuo Eden
che scalza, e senza foglia
ci cammini dentro.
E geloso divengo degli specchi:
mille occhi che ti guardano
e rapiscono vogliosi
la tua spietata, superba, trionfante bellezza.
Crudele sì, ché ad essi tu concedi
e non a me, le tue intimità;
e finanche ti soffermi davanti a loro; li sfidi
spudorata e bella come Afrodite appena nata,
come Leda al suo Cigno.
E senza vergogna alcuna, benché fiera
dell'universo libero che sei,
presenti ad essi la tua Natura
di Terra infanta. Acerba, selvaggia.
Fragile bimba, callida femmina.
Col tuo bosco incantato e il fresco fiume
che dal sacro cenote, qual giovane impudente
sgorga vivace; e quindi, spumoso e niveo
per le tue rive eburnee scivola. Esplora
l'incantevole giardino che tu sei.
Le tue colline in fiore e le praterie
rade e lisce come prati di quadrifoglio.
Dolci i tuoi occhi chiusi, che a sognar
son io. E, improvvisa malìa, magicamente
dentro il tuo sogno io mi ritrovo.
Già più soltanto a pensarti
ma a viverti. Non più soltanto
ad Amarti ma, ancor più, a vivere
senza alcun vetro, di te.
E così, estasiato m'avvedo
che non sei mai partita da me.