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S’ergea nel ciel, figlia nata dal grembo
Cinereo della nube tempestosa.
La contemplai, tremante, in su la soglia,
Ché parìa messia, eppur sì tacita.
«Ch’è tua meta, o fenice sì pura in ciel?
Ché tua meta, o spirto ch’al Nulla sfai?»
Tacque. E n’sua fuga di responso muto,
Capii ch’ella era il varco, e non la fine.
Mirai l’suo ignoto, ma non vi fu pace...
Sol silenzio, che v’abitava l’cielo.
Là mi distolsi, e nell’ignara forma
Sentii ch’io stesso andava dissolvendo.
Così, finsi il suo confine e ragione,
E il piacere immenso agli astri fecesi
Respiro e sangue, e mi ritrovai n’volo:
Ch’ella era infinito, ed io lo divenni.