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PENTITO
Fin da ragazzo, Mario era sempre andato a caccia, accompagnando suo padre e suo nonno nei boschi che si estendevano poco lontano dal paese, oppure in alta montagna alla ricerca di camosci e marmotte.
Era una passione di famiglia, quella, alla quale mai avrebbe rinunciato e, compiacendosi nell’ esporre i propri trofei, aveva fatto imbalsamare parecchi animali come lepri, volpi e galli cedroni. Inoltre, nonostante a sua moglie non facesse affatto piacere, alcune teste di caprioli e di cervi, dai magnifici palchi, erano appese in bella mostra nel soggiorno di casa.
Una mattina, Mario uscì molto presto e si recò nel bosco per procurarsi della legna.
Dopo aver compiuto parzialmente il proprio lavoro, fece per tornare a casa, ma mentre stava per raggiungere la jeep, tra i cespugli notò qualcosa che si stava muovendo.
Istintivamente, l’uomo decise di avvicinarsi e scoprì, così, che si trattava di un cucciolo di capriolo.
“Probabilmente la sua mamma sarà nei dintorni”, pensò.
Egli sapeva benissimo che non era buona norma toccare i piccoli, poiché c’era il rischio che, fiutando l’odore dell’uomo, venissero abbandonati dalla madre e condannati ad una morte certa. Il cucciolo, invece, doveva vivere e crescere, per divenire una buona preda in futuro.
Nel pomeriggio, Mario tornò nel bosco per continuare il lavoro, rendendosi conto che l’animale era rimasto nello stesso posto in cui lo aveva trovato. Esattamente come aveva già fatto, lo lasciò stare e verso sera fece nuovamente ritorno a casa.
Quando, l’indomani, l’uomo si inoltrò nel bosco per la terza volta, trovò ancora il piccolo. Era spaventato e dava l’impressione di essere alquanto sofferente.
“A questo punto non può che essere stato abbandonato”, pensò Mario e ipotizzò anche, che qualcuno potesse aver ucciso la madre.
Ad ogni modo, era evidente che lasciando il cucciolo nel bosco di certo non sarebbe sopravvissuto un altro giorno e, senza tanti ripensamenti, egli lo prese in braccio, lo caricò in macchina e lo portò con sé.
Sua moglie si meravigliò molto nel vederlo arrivare con quella bestiola tremante, ma si diede immediatamente da fare per trovare del latte di capra e un biberon.
Il capriolo era debole e pareva che non volesse saperne di succhiare, ma dopo un po’, lentamente, cominciò a suggere quel nutrimento che la donna amorevolmente gli offriva.
I membri della famiglia cominciarono ad alternarsi nell’ allattamento del piccolo e, a poco a poco, l’animale riacquistò le forze, reggendosi perfettamente sulle sue esili zampe e correndo incontro a tutti proprio se si trattasse di un cucciolo di cane.
“Dovremmo dargli un nome”, disse la signora Nina, che si era affezionata alla bestiola e i ragazzi fecero a gara per trovarne uno che potesse essere adatto al capriolo. Alla fine, pur considerandolo un nome del tutto scontato, il piccolo venne chiamato Bambi e per loro divenne un meraviglioso compagno di giochi e un amico che sapeva donare amore incondizionato.
Mario tentava di non mostrarsi troppo tenero, ne andava della sua immagine di uomo duro e di cacciatore, eppure Bambi lo aveva conquistato con quegli occhi grandi e dolci e con l’allegria e la gioia che aveva portato in casa sua.
Gli pareva che lo capisse mentre gli parlava e, con l’affetto che gli dimostrava, sembrava quasi volerlo ringraziare per avergli salvato la vita.
“Ormai è troppo abituato agli esseri umani”, aveva detto il veterinario, sconsigliando una eventuale reintroduzione nell’ ambiente boschivo e, a dire il vero, i figli di Mario furono davvero felici di poter tenere con sé l’animale.
Per Bambi fu creato un grande spazio recintato. Non era il bosco, ma non mancavano né l’erba né gli alberi e i cespugli, né l’acqua di un piccolo ruscello che scorreva proprio accanto alla casa.
“Devo ammetterlo”, ripeteva Mario alla moglie, “non credevo di poter sentire per un animale quello che provo per questo capriolo. Se penso quanti ne ho ammazzati!”.
L’uomo era sempre più confuso, stentava a credere a ciò che stava provando, ma era pentito di aver causato tutte quelle morti, proprio lui che aveva sempre adorato andare a caccia!
Un giorno prese il fucile e tutta la sua attrezzatura e decise che se ne sarebbe liberato quanto prima. Voleva farla finita con quel passatempo che non riusciva più a considerare tale. Trovare Bambi aveva cambiato la sua vita in modo radicale.
In paese tutti parlavano di quella storia insolita e, essendosi sparsa la notizia, arrivò persino un giornalista ad intervistare l’uomo e a fotografarlo con il capriolo che aveva salvato.
Così, da cacciatore sfegatato, Mario divenne un esempio di quanto intenso possa divenire il rapporto affettivo tra un uomo e un animale selvatico.
“La caccia non è una sport”, diceva a tutti, “è inevitabile se necessaria per la sopravvivenza, ma non può essere considerata un divertimento”.
Molti dei suoi amici lo prendevano in giro per quella scelta, che consideravano ridicola e in paese, ironicamente, avevano preso a chiamarlo “il pentito”. A Mario, però, non importava affatto. Nei boschi ci sarebbe andato per prendere la legna o in cerca di funghi e, se proprio gli fosse venuta la voglia di sparare, si sarebbe recato al vicino poligono di tiro.
Non ci andò mai, in realtà, e divenne invece un amante della fotografia, immortalando gli animali selvatici nel loro ambiente.
Donò ad un museo i trofei di caccia di cui si era circondato per tanti anni e, un po’ alla volta, lì sostituì con i suoi meravigliosi scatti, che erano davvero degni di nota.
Bambi crebbe felice e amato nel suo grande recinto e, in seguito, gli fu anche donata una compagna, una femmina che era stata ferita e che non avrebbe mai più potuto tornare a vivere in natura.
A chi continuava a canzonarlo, Mario rispondeva con orgoglio che avrebbe rifatto mille volte la sua drastica scelta di rinunciare all’ attività venatoria, perché l’amore per quella creatura lo aveva cambiato profondamente e in meglio.