Odessa

scritto da Golden
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Testo: Odessa
di Golden

Le tende della sala del trono ondeggiavano lente nel vento delle steppe. I raggi del sole filtravano tra i drappi porpora, disegnando sul pavimento arabeschi tremolanti. Odessa, i lunghi capelli ramati che ricadevano sulle spalle come fiamme, avanzava a passi lenti verso il centro della stanza, dove sua madre la Regina la attendeva con lo sguardo severo. Indossava una veste regale, blu profondo con ricami d'oro, e sul capo portava una corona sottile, d’argento e ossidiana.

«Tu sei mia figlia, Odessa. Non sei una contadina. Non sei una viandante. Sei nata per governare, non per inseguire sogni tra fango e vento.»

La voce della regina era ferma, gelida come la neve sulle cime lontane. Odessa si strinse le mani, i suoi occhi chiari si colmarono di una rabbia calma, dolorosa.

«Non posso vivere dentro queste mura per sempre. Le storie che ho letto, i sogni che faccio... C'è un mondo oltre i nostri confini. Un mondo che voglio vedere.»

«È un'illusione. Una debolezza.»

«È libertà.»

La regina si alzò dal trono, alta e imponente. «Se varchi quelle porte da sola, non tornerai più come figlia mia.»

Odessa non rispose. Si girò, la corona tremava tra i suoi capelli, ma non cadde. Con passo deciso, uscì dalla sala, senza voltarsi.

Quella notte stessa, sotto il cielo stellato, Odessa sellò un cavallo dal manto chiaro come la luna e scappò. Lontano dal castello, lontano dalla madre, verso l’ignoto.

La luce dell’alba colorava d’oro le pianure quando Odessa, con la veste ormai impolverata e le guance arrossate dal vento, cavalcava tra erbe alte e fiori selvatici. Ogni giorno lasciava dietro di sé le torri del regno, ogni notte dormiva sotto alberi antichi, ascoltando il respiro della terra.

I villaggi che incontrava erano semplici, ma vivi. Uomini e donne sorridevano senza titoli né etichette. Odessa imparava da loro. Lavorava, rideva, ascoltava storie intorno al fuoco. C'era magia nel modo in cui parlavano dei boschi, dei castelli diroccati, delle leggende dimenticate.

Un giorno, in una radura nascosta da un fitto bosco, salvò un falco dalle spine. L’animale, ferito a un’ala, la guardò con occhi dorati e non volò via. Da quel momento la seguì ovunque, silenzioso, come un’ombra fedele. Lo chiamò Vento.

Insieme attraversarono colline, fiere di paese, fiumi impetuosi e castelli abbandonati, dove Odessa toccava pietre antiche e sentiva echi di vite perdute. Ogni passo la avvicinava a qualcosa che non riusciva a spiegare, ma che sentiva nel sangue.

Finché un giorno, giunse al termine di una vallata. Davanti a lei, immersa in una luce irreale, si stagliava una muraglia dorata. Enorme, liscia, perfetta. Non c’erano porte visibili, né guardie. Solo silenzio. Il cielo stesso sembrava farsi immobile.

Avanzò. Il falco le si posò sulla spalla, inquieto. Quando toccò la parete dorata, un suono profondo rimbombò nel terreno e una breccia si aprì, mostrando un tunnel scintillante. Odessa esitò, poi entrò.

Al di là della muraglia c’era un mondo impossibile. Cieli artificiali, torri di metallo, veicoli che sfrecciavano nel vuoto. Macchine, schermi, voci digitali. Un’enorme cupola conteneva ciò che sembrava una civiltà futuristica.

Un androide dal volto umano la accolse con voce calma: «Benvenuta, Odessa. Sei sopravvissuta al Programma Medioevo. Sei stata scelta per testare la resilienza dell’identità in ambienti simulati. Il tuo mondo era una prigione. Ma sei arrivata alla verità.»

Odessa cadde in ginocchio. Non era figlia di una regina. Non c’erano steppe, né regni. Era parte di un esperimento, forse una prigioniera, forse una reliquia di un’umanità dimenticata.

Il falco volò via, attraverso la cupola, libero.

Odessa lo guardò sparire nel cielo sintetico.

E per la prima volta, sorrise.

Odessa ora cammina tra rovine digitali e schegge di futuro. Ha lasciato la veste regale per un abito semplice, con ancora la sua corona, ma portata come simbolo di ribellione. È diventata un simbolo. Un mito. La ragazza che sfuggì all’illusione, per inseguire qualcosa di vero.

Perché anche in un mondo finto, il desiderio di libertà non può essere programmato.

Odessa testo di Golden
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