Qualche giuda s'ingegnò

scritto da Rimedio
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Ore 16.59 di domenica 19 luglio 1992
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Testo: Qualche giuda s'ingegnò
di Rimedio

Qualche giuda s'ingegnò ad attizzare carboni ardenti, a inceppare ingranaggi, a intorbidire acque, a gettare chiodi sull'asfalto, a mischiare carte.

Qualche giuda s'ingegnò usando il suo potere ad arte nell'aggiudicare incarico vacante, anziché a Giovanni, a un omuncolo insipiente!  Indagatore e diffidente fissai le pupille di quei colleghi e superiori fattisi scostanti… erano fredde, vuote, aliene da mea culpa, ave, amèn, osanna e gli esuli pensieri miei si fecero fiamma!

Qualche giuda s'ingegnò a stringere mani criminali di basso e medio e alto rango, perché lo fece vi domando, per tornaconto personale sguazzando inorgoglito del patto rotto con lo Stato?

Qualche giuda s'ingegnò a bollarmi morto che cammina.
Sì, corro, impreco e m'affanno, nel tempo della pace imputridita, pari a quei mille e mille soldati dello Stato, da molteplici nemici trucidati.  Mille  e  mille  abbattuti all'istante o dissanguati da lupare, pistole, mitra e bombe e tritolo come in guerra, sotto terra privo d'armistizio quell'esercito falcidiato uno a uno sotto casa o in servizio e decomposto, in questa nostra povera Patria non ancora ricomposta.

Ch'ero un morto che cammina lo diceva il popolino al mio passaggio bisbigliando, lo enunciavano le serpi invidiose sibilando, le talpe e i corvi non vedevano l'ora, chi mi teneva in stima lo temeva col groppo in gola.

Ch'ero un morto che cammina lo auspicavano i vecchi e i nuovi affiliati colti o analfabeti mentre bruciavano santini oltraggiati, mentre scioglievano nell'acido chi da essi s'era dissociato, mentre calpestavano sagrati per ottenere assoluzione da peccati inconfessati.

Ch'ero un morto che cammina lo sussurravano i troppi colletti bianchi referenti con le mani sulla città, impastate negli appalti dell'acqua, della sanità, del cemento… sui contributi elargiti dall'Europa alla Regione… colletti bianchi intonsi e incravattati, col diploma e con la laurea appesa al muro in bella mostra nei loro studi prezzolati in pieno centro di Palermo.

Ch'ero un morto che cammina non lo decretarono esaltati e a polso fermo soltanto i capi mandamento Provenzano, Brusca, Mineo, Riina e Guttadauro "u dutturi allittrato e sperto".

Qualche giuda s'ingegnerà pure con me a fare presto, a fare prima, non sia mai il tempo perso sveli quel che non collima… e lo comanderà come evento ineluttabile e risolvente, assiso su di uno scranno al vertice assai potente.  È arrivato in città un carico di tritolo, sì, lo so è il mio, dopo Giovanni il successivo sono io.

La portinaia quando m'incontra abbassa lo sguardo e mormora: "Giudice, prego il buon Dio per Voi ogni sera e ogni mattina!" Il tabaccaio mi sorride appena mentre mi porge tre pacchetti del mio veleno quotidiano, è rammaricato e gli trema un po' la mano, il bottegaio giù all'angolo mi saluta con sussiego e subito il suo volto si colora di rubizzo, avrà appena sborsato il pizzo, la barista prova sempre a fare battute spiritose e ride e ride e ride, triste e ansiosa.

Confido sulla moglie mia, saprà essere giusta e saggia e premurosa coi tre figli nostri e sì, son diventati grandi già... e maturi e forti!

È un torrido pomeriggio di metà luglio, i miei ragazzi, la mia scorta, fossero al mare e invece stanno qui con me che mi appresto a fare visita a mia madre.  Le ho portato una vaschetta di gelato… pistacchio, arancia amara, cioccolato, i suoi gusti preferiti.  Eccola, è al balcone col vestito blu di seta della festa e i bei capelli bianchi che profumano di buono, lì, come sempre a pormi un benvenuto con la mano.

Oggi è domenica e non deve scorgere i miei occhi rabbuiati, persi, strani.
Alla mia fine che di sicuro echeggerà boato… penserò domani.


Paolo Emanuele Borsellino

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