I due gemelli

scritto da brunotraven2016
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Testo: I due gemelli
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Me ne stavo vicino al camino, le braci rosse che pulsavano come occhi semichiusi nell’oscurità. Ero in uno stato di dormiveglia, ancora immerso nel sogno di un animale gigantesco nel parco: sentivo il suo dorso unto che sfregava tra le rocce, i denti gialli e ricurvi che brillavano mentre beveva dal ruscello, il suo respiro affannoso tra gli alberi e il terrore immobile delle altre creature. Fu allora che udii il primo colpo.

Un raschiare contro la porta mi fece sobbalzare. Alla finestra vidi che era calato un buio totale: poco prima la luna — la nostra nemica giurata — brillava nel cielo, ora invece sembrava svanita. Rimaneva solo quel raspare ostinato.
Mi mossi in silenzio nella stanza.

Essere un lupo mannaro aveva i suoi vantaggi, certo: fiuto, agilità e il privilegio di poter dire “non sono io, è la mia natura” ogni volta che si finisce per mordere il portalettere. Ma essere anche gemelli omozigoti complicava tutto: litigi sulla postura della coda, e soprattutto le gare di ululati.

Da bambini, infatti, ci sfidavamo a chi era più intonato nelle notti di luna piena. La scena doveva essere esilarante per chiunque non fosse un vicino esasperato: io puntavo sulla potenza, lui sull’eleganza melodica. Una volta riuscì a fare un vibrato così perfetto che un branco di cani randagi si fermò e mi guardò. Io invece producevo un ululato che partiva bene, poi scivolava in una sorta di canto troppo cantilenante.

Lui rideva per un’ora e io ci rimettevo l’autostima per un mese.

Eppure, quell’affetto lupo-mannaresco ci aveva uniti più di qualsiasi vincolo umano.

E allora perché quel raschiare mi metteva tanta inquietudine?

Divenne un bussare: tre colpi, una pausa, due colpi. Il nostro segnale di sempre.

Un altro colpo, più forte. Se non era lui, chi — o cosa — stava cercando di entrare?


«Aprimi… fratello…».

Mi si fermò il cuore. Era tornato dopo così tanto tempo. E aveva quella tonalità leggermente più intonata della mia che lo aveva reso campione di ululato infantile per tre anni di fila.

Aprii la porta. Lui sorrideva nel buio con l’aria di chi ha trovato un tesoro o perlomeno un nuovo guaio da condividere.

«Non sono solo…» disse con un entusiasmo sospetto.

Aprì una borsa e lasciò cadere qualcosa sul pavimento: una massa molle, giallastra, tremolante, come una vescica celeste.

«Che cos’è?» chiesi.

Lui sfoggiò i denti curvi e gialli — ancora così, nonostante i miei consigli su dentifrici naturali “effetto foresta primordiale”.

«Non vedi? L’ho presa.»

«La… luna?»

«Proprio lei. La nostra nemica. E adesso non sembra più così terribile, vero?»

Mi chinai: era inerte, pallida, quasi timida. Una sorta di mozzarella lunare con problemi di forma.

«Mettiamola sotto la cappa del camino» proposi. «Se tenta di risalire si sporcherà di fuliggine e si incastrerà.»

Come ai vecchi tempi, quando univamo le forze per rubare galline o per batterci in duetti di ululati, lavorammo insieme. Sollevammo la luna e la infilammo nella cappa. Qualcosa la risucchiò: graffi, colpi e poi il silenzio.

Uscimmo: il cielo era vuoto.

Festeggiammo, io con un ululato fatto in coro che risuonò per tutta la vallata.

Per un po’ credemmo di essere liberi.

Poi la luna ricomparve: rotta, piena di crepe ma era sempre là. E il tormento riprese.
Da allora non ha mai smesso.

 

I due gemelli testo di brunotraven2016
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