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Signori miei, sedetevi qua,
vi racconto la storia di chi testa taglia.
Io sono Sanson, figlio del boia,
e porto la lama che né ride né gioisce.
Non scelgo chi vive, né chi deve morire,
ma alzo la lame e la faccio finire.
La mia vita cominciò già condannata,
nella casa del boia, la coscienza spezzata.
“Mio figlio farà quel che ha fatto il papà,
non siamo uomini, Sanson la legge comanda già.”
Io volevo scappare, sognare, fuggire,
ma al boia, signori, chi lo fa redimire?
“Sei Sanson, sangue di ghigliottina,
non c’è fuga o perdono per la tua disciplina.”
E così mi feci uomo, con la corda e la lama,
ogni giorno la folla e chi la testa reclama.
Il primo che tagliai, non lo posso scordare:
era un povero cristo, non sapeva rubare.
Mi guardò, con gli occhi larghi e sconvolti:
“Che hai fatto, Sanson? Che colpa ho di questi torti?”
Io volevo rispondergli, giuro sul mio sangue,
ma la folla urlava e il cuore mi langue.
Giù la lama, il corpo crollava,
e la testa rotolava ma l’anima sua volava?
Poi arrivò il Re, il divino Luigi,
il sovrano di Francia che adesso mendica e grigi.
Mi guardò dal carro, con l’onore spezzato:
“Siate giusto, Sanson… che Dio vi abbia amato.”
Ma Dio non c’era, o forse guardava,
mentre la mia lama, la sua testa portava.
Cadde il sovrano, cadde la corona,
e la folla rideva: “Che giustizia buona!”
Che giustizia è, vi chiedo, questa carneficina,
dove l’uomo si fa Dio, e la lama divina?
Maria Antonietta, la Regina caduta,
coi capelli spettinati e la bocca cucita.
“Mi scuso, signori, se la mia testa disturba”
la voce tremava, la folla era turba.
Le presi la testa, sembrava una bambola rotta,
una regina, ridotta a una fogna corrotta.
Giù la lama, e via la sua vita,
la folla gridava, felice e sbandita.
Ma chi è più bestia? Io con la lama,
o chi urla e ride come chi brama?
E poi Robespierre, il grande tiranno,
lui che parlava di giustizia tutto l’anno.
Lo vidi tremare, sporco e disfatto:
“Sanson…taglia! È finito il mio patto!”
Mi guardò come fanno i dannati al mattino:
“Chi semina morte, muore da assassino.”
La sua testa rotolò, il terrore finì,
ma la Francia, signori, non si svegliò mai da lì.
Ed io? Io sono qui, con le mani insanguinate,
taglio teste per chi ha leggi mutate.
Ma chi decide chi vive o chi crolla?
Io? La lama? O la folla che sghignazza e controlla?
Ogni testa che cade, un’anima scappa,
ma io taglio ancora, finché il cuore si strappa.
Perché non si pensa, non si deve sentire,
se un boia riflette, non può più colpire.
E allora sapete, signori, che faccio?
Taglio pure la testa a questo mio straccio.
Zac! La coscienza, la pietà e il dolore,
io taglio la testa anche al mio stesso cuore.
Perché in questo mondo la verità è una sola:
chi comanda decide e il boia consola.
Ma la giustizia, signori, che forma ha?
La mia ghigliottina, oppure la pietà