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«Anche quest’anno non vedrò le Tremiti»
mi sono detto e, invece, eccomi qua:
amo smentirmi o, forse,
la vita stessa ama smentire me.
Al tempo strano delle cartoline, —
ma non saprei più dire quando — scarno
ho ricevuto quel messaggio arcano —
arcano perché più non lo ricordo —,
ma mi ricordo chi me l’ha spedito
(che, poi, non ne ha spedito un altro più)
e mi ricordo sì che mi ha stupito —
inatteso del tutto (immotivato?) —:
è stato un segno a vuoto, un dito
puntato contro il nulla
eppure, a lungo in me sedimentato
vapido e fosco come un vaticinio
del tutto inascoltato nel bailamme
d’urla, di risa, pianti, strilli, clacson,
sirene, botti, colpi di cannone,
di martelli, di timpani o di gong
per quarant’anni e più,
presagio ineludibile —
almeno io così l’ho interpretato —
che prima o poi ci sarei stato a Termoli;
in un meriggio asciutto, indiscernibile
da quelli finallora
nel prosieguo del flusso degli eventi —
degno, però, di una più chiara luce! —
turchine e scintillanti
forse non più agognate
alla fine a me pure sono apparse
tremolanti le Tremiti così:
turaccioli di pietra galleggianti
su un mare di banali avversità.
E ci voleva tanto?
Che resta di quei mille desideri
inopinatamente soddisfatti —
troppo tardi però! —
dal viluppo bizzarro degli eventi
che petali di giunco o di campanula
si perdono nei gorghi dei ruscelli?
Perché resto impigliato in queste reti
di casi inestricabili, di circoli
che infine non si chiudono, di sensi
controversi, difficili, di isole
che piuttosto dovrebbero svanire
anziché comparire,
levarsi in alto, indomiti pinnacoli —
minareti sottili, misteriosi
di meschite introvabili —
protratti in su fino a forare il cielo
di là per sempre e sempre inesplorate
(per questo manco sempre
ai miei appuntamenti col destino?)?
Eroe senza ritorno anch’io mi adagio
in una qualche
caletta di San Domino. Mi arrendo
ai giorni che si accorciano, alle nuvole
notturne che mi rubano la luna,
al buio che ha già intriso
questo lembo di cuore
vetusto e sbarazzino, quando muore
la mia stagione amata
che ogni anno vorrei finisse mai
e ogni anno finisce
e così mi consolo
smarrito in un manipolo di giorni
all’assalto lanciati delle notti,
se nel tramonto acute mi percuotono
le strida allegre delle diomedee.