I
Scorro lentamente i nomi
dei Caduti della Grande Guerra:
date, nomi e poi cognomi
ma il mio non c’è.
Eppure è qui
che sono morto,
è qui che mi hanno giustiziato:
è qui che sorgerà un altare
per le Vittime della Resistenza
ma, in questa data da ricordare,
mancherà la mia presenza;
nessuna gloria,
nessun onore,
non c’è memoria,
non si ricorda
un
traditore.
Anni vissuti a cavalcare la tigre,
a mietere vento
e seminare tempesta;
il fuoco della mia giovinezza
che scoppiava in testa
assieme alla guerra
che ti vuole soldato,
che ti invita a partire.
Ma la guerra non vuole
che sia tu a decidere:
la guerra ti chiede
ti chiede soltanto
che tu sappia uccidere,
ti chiede soltanto
che tu sappia morire.
E una spiaggia mi ricordo,
e noi, giovani leoni,
sopra tavole di legno
per domare i cavalloni
aspettando l’onda grande
aspettando l’onda giusta;
e alle nostre spalle un rombo
di battaglia ancor più grande
delle coste di Biscaglia
ed un urlo in quel trambusto
che gridava:
¡No pasaràn!
E invece passarono
quando scesero i Condor
dalle Alpi Narbonensi
con le bande crociate e i vessilli
dell’Impero Romano
sotto gli ordini folli
dell’Imperatore
Diocleziano.
Begonia, dov’eri?
L’Assemblea della Quercia
fu spazzata in un soffio:
Begonia, eri sola
con i tuoi capelli viola
e le tue labbra così dolci in un assaggio di more:
i tuoi occhi a stuzzicare quegli sguardi senza amore,
con quel corpo da affittare
a qualche stronzo di passaggio…
…Ed un torrido aprile che aspettava
il Calendimaggio…
II
Ora una candela in questo buio che barcolla
è un’ultima luce per queste mie pene
del mio corpo sagittato
e legato a una colonna,
lenito dalle cure di questa pia donna
che chiamano Irene…
E quegli occhi, gli occhi
di quel bambino
con quel ciuffo mosso di capelli rossi
e gli occhi sgranati a fissare il fucile
già ingranato
e pronto a obbedire all’ordine: Spara!
Quante volte ho sparato,
quante volte
davanti al nemico
cui avevo giurato
vendetta…
E non so se eran figli della mia stessa patria
gli amici dell’odio contro cui lottavamo
sul fronte dell’Ebro; e fuggimmo senza un visto
per l’espatrio, quando poi sapemmo come
tutti i nostri fratelli,
tutti i miei compaesani,
li chiamarono nemici di Cristo
e li trucidarono
nel suo nome.
Passano gli anni, e scorre l’orrore
del sangue che non disinfetta il dolore
di vecchie ferite mai cicatrizzate
in atrocità aperte
dai nervi scoperti
degli ultimi fuochi a brandelli e a lacerti
sulla frattura dell’Appennino,
dalla linea Gotica
a Montefiorino,
nell’ansia di spegnere il bavero nero
di ogni repubblichino;
nella foga febbrile
di aver catturato il nemico già in fuga
ed averlo in ostaggio:
e c’era chi urlava
e ne chiedeva il linciaggio,
chi invece già armava
il proprio fucile
e chiedeva al nemico di mostrare il coraggio
da una fuga febbrile.
…Era il ventiquattro di aprile
ed il maggio tardava…
III
Cercavi tu forse le rive del Garda
dai muri scavati dai maestri comacini?
Quegli angoli erosi, e i trafori già esplosi
da grandine grossa e un baglior di granate
ti furono strani;
e la Porta dei Principi
che il mezzogiorno guarda
si volse d’un tratto di più a settentrione:
riparò Wiligelmo
dalla contessa Matilde,
fermando i suoi passi
al famedio dell’uomo,
dove è chiuso lo sguardo
dentro un cubo orizzontale.
È questo lo spazio che dicevano ideale,
l’umanesimo spinto a sopraffare il divino?
Questo tempio rinascimentale
ridotto a magazzino?
Di chi era lo sguardo
che mi guardava?
Di chi era il coraggio?
…Era il ventiquattro di maggio
e la notte calava…
Calava la tenebra sopra la terra
e da terra s’alzavano i fumi e i fantasmi
che spengono il cielo
ed accendon la guerra.
La guerra che chiede
ad ogni soldato
che sappia ubbidire,
che sappia eseguire ogni ordine dato;
ed era l’ordine: Spara!
Ma io non sparai.
Guardavo negli occhi il Prefetto di Modena,
guardavo sua moglie e suo figlio abbracciati:
quel bimbo dal buffo casco di capelli rossi
e con gli occhi sbarrati
a guardare il fucile…
Gli ho regalato il mio berretto basco
e slegai il mio nemico, sì: l’ho liberato.
Gli dissi: fratello, prendi i tuoi cari
e portali via,
via da qua.
I nostri figli meritano
che qualcuno insegni loro
la Felicità…
Scagliammo un’altra freccia
da Mantova a Milano,
sagittando una fuga
per tradurla in Illiria,
verso il Porto di Durazzo:
dove i legionari dalmati
realizzarono un Palazzo
per
Diocleziano.
Non so se i suoi amici
lo riconosceranno:
magari diranno
che era un collaborazionista
scappato da Milano…
Mai si leggerà nei libri di storia
la storia di quel partigiano
che salvò un fascista.
Ma se in ogni notte triste
si parlerà di un fosco evento,
se la Provvidenza esiste
potrà il Mondo esser redento
senza odiarsi, tra fratelli,
in questo barbaro e cruento
gioco d’armi e di coltelli…
Questo dirò a chi mi parla e consiglia
prima che la storia sia per sempre finita:
ho lottato, ho ucciso nel nome di un’Idea,
per difender l’idea della Libertà;
ho incontrato la Morte, stanotte,
per difendere un uomo
per salvargli la vita.
Era un uomo dalle idee
diverse dalle mie:
le idee che combattevo
per un mondo più giusto.
Ma era un uomo onesto,
era un padre di famiglia.
San Sebastiano testo di Il Girfalco