Se devo essere sincera 1.1

scritto da Mariline
Scritto 9 mesi fa • Pubblicato 9 mesi fa • Revisionato 9 mesi fa
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Autore del testo Mariline

Testo: Se devo essere sincera 1.1
di Mariline

Mi guarda con quegli occhi indecifrabili e avvicinandosi la vedo trattenere quello che mi sembra un sospiro, mi fa una carezza. La sua mano è come fuoco sulla mia pelle. Mi sembrano così rari questi tocchi che ognuno di loro lo ricordo perfettamente. Mi gira intorno e va verso la credenza sta per prendere la ciotola, quella bella. Nello spostare bicchieri e qualche tazzina d'improvviso si blocca. Il suo corpo si irrigidisce, lo percepisco, vedo il calore dato dal ferro da stiro svanire dal suo bel viso.Vedo la sua mano tremare di fronte ad un pezzettino di carta. Tutto in quel momento è strano, illogico per me, c'è un'attesa carica di tensione ed io, seduta sulla sedia in ginocchio e protratta in avanti sul tavolo, involontariamente mi agito. Ma resto in silenzio. Qualcosa non va. So che quei cereali non mi verranno versati in quella maledetta ciotola. Resto ancora in silenzio e aspetto. Mamma si gira verso di me incrocia il mio sguardo ma non mi vede. Accenna un sorriso, anzi una smorfia che in qualche modo mi fa gelare il sangue. Quell'attimo durato un istante sembra un'eternità. Mi sento quasi male, mi sento stanca, sulla mia mente cala l'oscurità. Non riesco a muovermi e le ginocchia iniziano a farmi male, la paglia della seduta ormai preme sempre più in profondità contro la pelle sottile sulle rotule. Mamma, vorrei fare qualcosa, dire qualcosa, urlare e chiederti perché. Ah quanti perché vorrei chiederti. Lei ormai non vede e non sente nulla, si aggira per la cucina come una tigre in gabbia, avanti e indietro, si passa una mano sulla fronte poi prende l'ennesima sigaretta, e, come se io non ci fossi si dirige verso la camera lasciandomi sola. 

Mi arrendo a quello che sta succedendo. Scendo dalla sedia e mi accuccio nuovamente sotto il tavolo. Ora posso solo esistere lì sotto, nascondermi dietro i capelli setosi e gli occhi azzurri della bambola e raccontarle un nuovo sogno. 

Mamma di là piange. Piange e fuma.

 Il ferro ormai incandescente lancia sbuffi di vapore bollente, ora fa talmente caldo considerando la piccola metratura della stanza che inizio a sudare. Esco da sotto il tavolo con riluttanza per togliere la spina. E subito me ne pento. Mamma esce dalla camera, le lacrime le si sono asciugate sul viso lasciando dei segni orribili che corrono giù dagli occhi e sotto sul collo andando a morire sul petto, sul cuore. Odio questa immagine di lei, eppure questa è la versione che ormai conosco meglio di tutte le altre, se mai ce ne sono state delle altre. 

Ci troviamo così faccia a faccia, vorrei abbracciarla ma mi sento pietrificata, vorrei dire qualcosa ma non so cosa. Mi guarda la guardo e quel silenzio che aleggia fra noi mi prepara al peggio. Ho vissuto quella scena così tante volte che ora a bloccarmi non è solo la paura e l'angoscia ma la rassegnazione più assoluta. Abbasso gli occhi con un gesto impercettibile di consenso. Prendo la spina e la stacco. Manca poco, l'orrore è imminente. Vorrei piangere ma ho capito troppo bene che le mie lacrime sono quasi un fastidio che non può fare altro che alimentare il caos. 

Vorrei sparire, non posso. Mi nascondo sotto il tavolo di nuovo. In attesa. Ancora.

Guardo la bambola e sotto voce intono una melodia, l'ho sentita qualche giorno fa. Ero in piazza e c'era il sole. Tra il vocio delle persone e le risate dei bambini, da un bar risuonava una canzoncina. Guardandomi intorno mi sentivo su un altro pianeta, era tutto perfetto e allegro e colorato. I bambini correvano e giocavano e ridevano ed io mi sentivo fuori luogo. Ma c'era il sole. Caldo sulla pelle e accecante negli occhi. Ad ogni modo l'unica cosa su cui mi veniva facile concentrarmi era quella melodia, mi girai verso mio nonno, e chiesi se potessimo prendere un gelato proprio in quel bar. "Certo che possiamo. Qual è il tuo gusto preferito?" Quel consenso mi rese il cuore leggero e un sorriso apparve inconsapevolmente sul mio viso, tanto largo da farmi male le guance. Nonno prendendomi per mano mi portò nel bar ed ordinò il cono più grande che c'era con il mio gusto preferito, tutto cioccolato. Quando me lo porse gli occhi mi si riempirono di lacrime, che ovviamente trattenni. Quel giorno, per qualche ora mi sentii felice. Io il sole il gelato e quella canzoncina che mi rallegrava i pensieri.

Se devo essere sincera 1.1 testo di Mariline
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