Una ventata d'aria fresca

scritto da Fabi73
Scritto 7 mesi fa • Pubblicato 7 mesi fa • Revisionato 7 mesi fa
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Testo: Una ventata d'aria fresca
di Fabi73

Una ventata d'aria fresca

Oggi non ti sei fatto vivo, mi hai concesso una tregua, e così inizio a scrivere, di getto, come un messaggero che ha L’urgenza di raccontare la sua storia.
Oggi mi sento libera da te, crudele ospite del mio corpo che ingombrante, ormai da tempo mi accompagni.

Mi invadi, rubandomi tutta l’energia e lasciandomi svuotata.

E' Come se indossassi un abito aderente pesante come un armatura, di quelle indossate dai cavalieri nei film in costume. Ed io vorrei strapparmela di dosso. Ho capito che ti eri intrufolato nel mio corpo pochi giorni prima del mio quarantesimo compleanno…un gran bel regalo, di quelli che non dimentichi per il resto della vita, direi proprio un “compleanno memorabile”!

Per un po’ ho creduto che non sarei riuscita a convivere con te , a sostenere il peso di so?rire di qualcosa che in Italia definiamo morbo e non malattia. Perché la lingua Italiana sa bene come definire le cose e quindi usa questa parola che descrive esattamente cosa si prova. E questa parola fa paura, racchiude qualcosa di incerto , opaco e indefinito che ti fa ben capire l'inferno in cui potrebbe trascinarrti se non lo combatti.Sono rimasta attonita per giorni, anche mesi, non capivo,

ma non era una malattia che riguardava le persone anziane? Sapevo solo che ti faceva tremare le mani, mi ricordavo di Papa Giovanni Paolo II che non riusciva a stringere dei fogli e mi ricordavo di mio nonno. Ma loro non erano giovani, io si, ero giovane e non tremavo.

Poi mi sono ricordata che la sera quando ero a letto, prima di addormentarmi un lieve tremolio nella pancia lo avvertivo.

Mi chiedevo continuamente perché mi era accaduto,

perché proprio a me.

Quando ho realizzato che non era un incubo da cui mi sarei svegliata è esplosa la rabbia.

Ero furiosa, una malattia del sistema nervoso centrale, progressiva e senza cura… tremavo solo all’idea.

Avrei avuto solo medicine per alleviare i sintomi, ma non sarei guarita. Mai!

Mi sembrava di essere condannata e avevo paura del futuro. Avevo due bambine da crescere, allora di 8 e 5 anni, non volevo farle so?rire e metterle di fronte ad una tale di?coltà così presto.

E poi sono una bella donna, come avrei accettato i cambiamenti fisici?

E questi pensieri alimentavano la mia rabbia.Poi i mesi passavano e sebbene qualche peggioramento sopraggiungeva, riuscivo a tenere la malattia sotto controllo.

E non volevo dargliela vinta, non volevo che mi schiacciasse, sentivo che volevo combattere, questo dovevo fare, fino a quando avrei potuto. Dipendeva solo da me.

Deprimermi dalla mattina alla sera, essere arrabbiata o cercare di reagire e dare un senso a quello che mi era capitato.

Io, che fino a quel momento ero convinta che le cose accadevano per caso, che senso potevo dargli, non era facile.

Ma pensare solo di essere stata sfortunata non portava da nessuna parte.

A volte mi sembrava di aver trovato un senso, altre no, ma continuavo a cercarlo.

E pian piano cominciavo a capire qualcosa, apprezzavo la vita come non avevo mai fatto, la apprezzavo anche con la malattia e più di prima, come un dono, anche se non era come la volevo.

Prima non mi godevo nulla, sempre in attesa di qualcosa, non mi fermavo mai.

Non ero felice per ciò che avevo e di certo avrei potuto esserlo,  non mi bastava,volevo di più!. Era tutto scontato.Sicuramente avrei preferito accorgermene senza malattia ma intanto un lato positivo l’ho visto.

Poter parlare, respirare, camminare anche male a volte, ridere e ballare fuori tempo, ma poterlo fare. Poter vedere un tramonto ed emozionarmi, prima i tramonti erano tutti uguali, oggi no!

E non riuscire a trattenere le emozioni, anche questo è opera sua, ora non riesco più a rinchiuderle nelle mie scatolette, come facevo quando ero piccola, perché erano così forti ed avevo paura di loro e non volevo che nessuno le vedesse.

Ero convinta che se avessi mostrato chi ero veramente gli altri avrebbero visto le mie debolezze. E non mi avrebbero più amato.

Non ho pianto per anni, neanche in situazioni

drammatiche, ero come anestetizzata.

Così indossavo maschere, per paura di essere giudicata o non accettata, e questa malattia mi ha dato la forza e la voglia di vedere oltre le apparenze e vedere davvero.

A volte sogno di non avere piu il Parkinson, di vivere senza la sua presenza, vorrei tanto guarire, non sentire più questo peso, non essere schiava delle medicine, e del mio corpo che quando decide di ribellarsi trasforma tutto in unincubo.
Poi però passa e torna la voglia di riprendere da dove avevo lasciato e sono felice di essere viva e di poter fare ancora tante cose.

Mi piace stare con la mia famiglia e con i miei amici, che mi fanno sentire amata e vogliono stare con me anche se a volte appensantisco le serate con i miei dolori e malesseri.

Ma loro mi aiutano e mi comprendono sempre. Voglio dirvi "GRAZIE” e per me siete “FONDAMENTALI”.

Allo stesso tempo sono sicura di aver donato loro qualcosa anche io, gli dato la possibilità, attraverso questa esperienza, di apprezzare la vita anche nei momenti di?cili.

E non voglio più perdere neanche un attimo.

Cominciavo a dargli un senso.

“Carpe diem, quam minimum credula postero” scriveva Orazio nelle Odi e cioè a?erra il giorno confidando il meno possibile nel domani, nel senso di trovare una serenadignità e dare valore alla vita sfidando il passare del tempo e il suo stato e?mero.

Così ogni volta mi rialzo più forte di prima, fino a quando potrò.

Quella frenesia che mi allontanava dal mio essere profondo e mi impediva di vedere l’essenziale, cioè le cose per me importanti, si è calmata.
Non è stato un percorso facile ma ha rappresentato per me un’occasione di crescita, di evoluzione per essere più autentica, non verso gli altri, ma più aderente a me stessa e di conseguenza più felice.

Secondo me tutto questo è possibile grazie all’amore che provo verso la mia famiglia, i miei amici e verso me stessa, e per questo lotto con tutta l’anima.

Sono certa che donare amore, in tutti i modi possibili, da un sorriso ad un gesto fatto senza aspettarsi nulla in cambio, alimenti l’amore e tutto ciò ci eleva dalla parte più materica dell’esistenza.

La malattia mi ha aiutato ad intercettarmi, a recuperare la mia vera natura, ad entrare di nuovo in contatto con me e anche se lo ha fatto in modo crudele, me ne ha comunque dato l’occasione.

E questa forza, che ho trovato mi aiuta ad a?rontare i dolori, i crampi e la stanchezza, cercando di non prendermela con chi mi sta vicino, perché a volte non fa esattamente ciò che mi aspetto. E mi rendo conto che non è semplice. Perché chi mi sta vicino si sente impotente.

A volte vorrei che tutto girasse intono a me e quando sto male e mi sento incompresa e sola, sono un po’ gelosa che gli altri possono dimenticarsi del mio problema e io non posso.

Allora comincio a pensare a tutte le limitazioni che mi impone e che che senza di lui potrei volare fiera comeun’aquila, alta nel cielo e per colpa sua invece mi sento tarpata ma poi capisco che sto volando lo stesso, a modo mio, con le mie ali tatuate sulle braccia.

E voglio imparare ciò che non so e fare intravedendo comunque un futuro e non permettendo che la rabbia e la paura si impadroniscano della mia vita e mi impediscano di provare a volare.  L'amore può guarire tutto, bisogna solamente avere Il coraggio di avere fede, di fidarsi.

Dovremmo impararlo di nuovo, infatti da bambini lo facciamo in modo naturale, ci fidiamo subito dei nostri genitori. Poi man mano che cresciamo cominciamo adessere di?denti verso gli altri, e più di?cilmente ci lasciamo andare. Così alziamo delle barriere, per tutelarci.

Ma per proteggerci troppo non ci mettiamo più in gioco e ci perdiamo tante emozioni, ci anestetizziamo per paura di soffrire .

Rimaniamo in superficie, non tanto per incapacità ma per paura di essere delusi o traditi ancora una volta. Quindi per amare davvero bisogna fidarsi anche rischiando di essere traditi.

Sono passati quattro anni da quando ho scritto questo testo.

 La malattia si fa sentire con più prepotenza ma io non mollo. Anche se spesso vince lei, con molta fatica riesco a tornare su, superando i momenti di?cili.

E dopo anni in cui le medicine bastavano a contrastare i sintomi più fastidiosi, è arrivato il momento di provare la DBS (Deep Brain Stimulation). Una procedura che incute  paura ma l'unica arma che ho per contrastare i sintomi che non mi consentono più di fare una vita normale, indipendente, come lavorare, viaggiare, andare una  sera a cena e non avere l' incubo che dà un momento all'altro mi possa sentire male.

È una operazione molto invasiva ma che verosimilmente mi farà sentire meglio.
Sono passati due mesi dall’operazione, i crampi per ora non sono più tornati e non sento più il mio corpo pesante.

Quindi sebbene mi abbiano ripetuto svariate volte che non sarei guarita intanto mi godo questi momenti di pace, come una ventata d’aria fresca.

Una ventata d'aria fresca testo di Fabi73
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