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Piero Ascani, come ogni venerdì pomeriggio, si stava recando al pub La nave nera in cui lo attendeva Enrico, il suo compagno di bevute. Era una giornata uggiosa, un clima perfetto per una buona birra scura, pensava. Entrato nel locale, si diresse verso il fondo, in cui gli era sempre stato riservato un tavolo lontano dalla confusione del bancone. Il suo angolo preferito. Enrico ancora non era arrivato e nell’attesa Piero ordinò subito una stout. La nave nera dovrebbe effettuare qualche intervento di manutenzione, pensava tra sé e sé, mentre constatava l’instabilità del tavolino.
“Credo che una delle gambe del tavolo non poggi completamente a terra”, disse Enrico, già con il suo bicchiere in mano.
Piero, ancora intento a controllare la base del tavolo, alzò lo sguardo.
“L’altro giorno sono stato a cena al nuovo ristorante Hibernian; l’interno del locale era ricercatissimo, raffinato, roba di qualità, ma anche là mi è capitato un tavolo traballante. Sai cosa credo?” continuò Enrico.
“Hai un cappello nuovo?” domandò invece Piero.
“Sì”.
“Dovrebbe essere un fez, se non erro. Ne ho sentito parlare ieri in un documentario sul Marocco”, disse Piero.
“E non sbagli; un vecchio souvenir da uno dei viaggi di mio zio”.
“Ti si abbina perfettamente”.
“Comunque…”, pronunciò Enrico, cercando di riprendere il suo discorso iniziale.
“Giusto, stavi dicendo?”
“Credo che ogni tavolo, che sia elegante, che sia di legno o metallo, abbia il diritto di non essere perfetto o, meglio, di essere così com’è”.
“Un tavolo deve essere funzionale. Se traballa la sua funzione viene meno”, fece notare Piero.
“Un tavolo esiste soltanto affinché tu possa poggiargli il bicchiere sopra? Intendi questo?”
“Intendo che è un oggetto”.
“Chiaramente è un oggetto. Ma prova ad allargare il discorso verso altro, estendi i pensieri. Non te ne accorgi?”
“Potremmo mettere un pezzetto di carta sotto quella gamba, che ne dici?”
“E perché mai?”
“Come perché? Per sistemarlo”, rispose confuso Piero.
“Sicuramente se non saremo noi a farlo, qualcun’altro lo farà. Qualcun’altro correggerà il tavolo, lo porterà agli standard. Non sarà più sé stesso, sarà come gli altri. E questo discorso vale anche per noi”.
“Non credo di aver capito dove vuoi arrivare”.
“La vita delle volte non ti sembra una strada predefinita? Un percorso già assegnato, senza possibilità di scelta?”
“Non sono del tutto d’accordo. Le strade sono molteplici. Se esiste una strada predefinita, sei libero di non percorrerla”.
“Ne sei sicuro? Tutto ciò che è intorno a noi ci influenza. Ci influenza su cosa fare, su come vivere e se scegli un percorso diverso ti senti quasi colpevole. Prendi il mio cappello ad esempio. Ho sentito diversi commenti; mi davano del ridicolo, del grottesco. Anche su come ci dobbiamo vestire vogliono decidere. Tutto è controllato”.
“Ma te hai comunque indossato quel cappello, giusto?”.
“Sì, ma forse per l’ultima volta, il cappello è soltanto un esempio. Hanno ridotto la vita a un percorso a tappe, in cui se ne salti una ti fanno sentire incompleto, inutile e diverso”.
“E cosa dovremmo fare?”
“Non lo so, credo che tutto ciò sia frutto della storia dell’uomo. È un qualcosa di radicato ormai, difficile da estirpare”.
“Beh, noi ci possiamo provare nel nostro piccolo, con le nostre scelte”.
“E siamo sicuri che queste scelte siano completamente libere? Avevi davvero voglia di una stout o ti sei visto costretto a prenderla?”
“Sono in un pub, cosa dovrei fare?”
“Già. E ci si mette anche il governo adesso. Hai sentito l’ultima?”
“Riguardo?”
“Vogliono creare dei modelli di vita da seguire, divisi per classi. Ogni classe ha i suoi obiettivi da seguire, un percorso stabilito. E se ti allontani da quei modelli, loro interverranno, ti forzeranno per rimetterti sui binari”.
“Non credo sia possibile una cosa del genere”, commentò Piero.
I due si salutarono all’uscita del pub per recarsi nelle rispettive abitazioni. Lungo il cammino verso casa, Piero vide un panificio ancora aperto e con gli ultimi panini a metà prezzo.
Entrato, il commesso gli chiese se volesse del pane.
Piero si guardò intorno, meditabondo. Fece un grande respiro e rispose a gran voce: “No, grazie”.
Era in estasi, fiero di sé stesso. Così si fa, pensava complimentandosi.
Prese dalla tasca il suo telefono. Devo dirlo subito ad Enrico, un chiaro esempio di come si può divergere dalla strada predefinita, pensò. Ma non trovò il numero in rubrica. Devo averlo perso quando ho cambiato SIM, constatò amaramente. Sarà per il prossimo venerdì, concluse.
“Il grano è un elemento fondamentale, al pari dell’acqua”, affermava Enrico, mentre sorseggiava la sua weiss.
“Persino la mia birra è frutto della sua fermentazione”, aggiunse.
“Non mi ero mai soffermato a pensare quanto fosse importante”, ammise Piero.
“Poi ha una storia antichissima dietro, il grano è la storia del mondo!” esclamò Enrico, mentre Piero annuiva.
“Ma perché proprio il grano? Perché non un’altra pianta?”
“Caro Ascani, non sempre ho tutte le risposte. Credo per la sua facilità ad adattarsi a diversi tipi di terreno e clima. Per essere una fonte nutriente anche”.
“Mi viene in mente, adesso che parliamo del grano, di un episodio della scorsa settimana. Senti qua”, disse Piero.
“Lo posso immaginare”, rispose sicuro Enrico.
“Non credo proprio, caro Enzo. Sappi che ho fatto un qualcosa di imprevedibile. Altro che strada già tracciata”.
“Fermarsi in un panificio e non comperare il pane non mi sembra una grande azione”, commentò Enrico.
“Come facevi a saperlo?” domandò sorpreso Piero.
“Ho supposto”, rispose brevemente Enrico.
“Sorprendente”, ammise Piero. “Resta, comunque, una dimostrazione di come tutto dipenda da noi. Intorno a me tutto l’universo voleva che acquistassi almeno una pagnotta, ma io ho detto no. Io ho cambiato direzione, con la mia volontà. Verso un’altra strada”.
“E intorno a te cosa è successo?”
“Beh, niente”, rispose Piero Ascani.
“Sbagliato. Te lo spiego io: i presenti ti hanno cominciato a fissare in malo modo e sei uscito pieno di imbarazzo. Per strada ti vedevano come un folle, uno strambo, una persona da raddrizzare. Sono sicuro che non lo farai una seconda volta”.
Piero rimase in silenzio; si sentiva come una nave colpita da una cannonata che lentamente affonda.
“Guarda Piero! Il tavolo è stato sistemato. Che ti avevo detto? Era troppo diverso per continuare ad esistere in quel modo”.
“Certo adesso è più stabile”, osservò Piero.
“Ed è migliore per questo?”
A questa domanda Piero esitava. Se rispondeva affermativamente, significava ammettere che il diverso deve essere raddrizzato, riportato dove tutti si aspettino che sia. Rimase in silenzio.
“Stasera niente fez?” chiese improvvisamente ad Enrico.
“Stasera no e purtroppo non per mia scelta. Non pensavo che le cose andassero così velocemente. Le istituzioni si stanno muovendo, come già ti avevo detto. Vogliono controllare anche le piccole questioni, credono che quelle siano la base. La base per modellare ognuno di noi”.
“Che cosa è successo?”
“Il mio fez divergeva dalle linee guida. Mi è stato sequestrato l’altro giorno”.
“Davvero?” chiese stupito Piero.
“Le leggi saranno sempre più restrittive purtroppo. Dai libri da leggere, al bere, ai nostri passatempi, al lavoro. E quel che è peggio è che sarà tutto diviso per classi; la classe inferiore avrà un percorso più rigido, più tracciato. Pochi svaghi saranno ammessi”.
“Ma perché?”
“Semplice. È la classe che maggiormente si allontana dai loro standard e devono intervenire maggiormente. Siamo in un punto di non ritorno amico mio”.
Quella sera Piero entrò nel panificio ed acquistò due panini all’olio.
Quel venerdì Piero si presentò a La nave nera con un leggero ritardo, cosa che avveniva assai raramente. Trovò Enrico già al tavolo con lo sguardo preoccupato.
“Temevo che ti avessero fermato”.
“Chi?” chiese Piero Ascani.
“Stanno effettuando controlli su controlli; non li hai visti i posti di blocco?”
“No; che genere di controlli?”
Enrico bevve d’un fiato la sua IPA. “In poche parole, controllano ogni cosa”, rispose.
“Ma noi non abbiamo nulla da temere, giusto?”
Enrico sembrava non voler rispondere. “Dipende”, confutò infine.
“Vuoi sapere come mai sono arrivato solo adesso?”
“Sentiamo”, disse seccamente.
“Enrico sembri in collera con me”, fece notare Piero.
“Non sono arrabbiato, sono soltanto turbato da quanto sta accadendo e dal fatto che te, Piero, non sembri rendertene conto”.
“Vedrai che tutto andrà per il meglio”.
“Speriamo”, ribatté Enrico.
“Comunque mi sono fermato al supermercato, quello vicino alla piazza”, disse con entusiasmo, tirando fuori dalle tasche interne della sua giacca diverse bustine.
“Cosa sono?” chiese subito Enrico.
“E’ cibo. Cibo per il mio nuovo amico a quattro zampe. L’altro ieri, o era martedì, non ricordo. Comunque, mentre passeggiavo nel parco sotto casa, ho sentito miagolare. All’inizio pensavo fosse un bambino che piangeva, poi ho capito. Era in una scatola di cartone, qualcuno lo aveva abbandonato”.
“Hai preso un gatto?”
“Ho adottato un gatto”, precisò Piero.
“Un gatto?”
“Beh, sì. Che c’è di male. Già ha imparato ad usare la lettiera. Ancora non ho scelto un nome, anche se probabilmente sarà…”
“Piero, Piero, che c’è di male? Hai veramente chiesto che c’è di male?” lo interruppe Enrico.
“Non capisco”, balbettò Piero.
“Il sistema Piero! Il sistema!”, alzò la voce Enrico. “Hai riflettuto se questo fosse in linea con il sistema? Se fosse in linea, come la definiscono loro, con la guida istituzionale verso il benessere?”
“Perché non dovrebbe?”
“Anch’io mi feci la stessa domanda, quando sequestrarono il mio cappello. E hai ragione. Non dovrebbe esserci nessun problema, ma purtroppo non decidiamo noi. Sono loro che decidono. La legge sulle classi, su quello che tipi come noi possono avere o fare. O se devono”.
“E cosa implica questa legge?”
“Tra le tante, tra le molteplicità dei non possono e non devono, all’articolo 14, comma 3 è previsto che ai facenti parte della terza classe, cioè noi, è vietato avere animali domestici e/o piante”.
“È inconcepibile. Si tratta di una violazione dei nostri diritti. È davvero possibile che ne abbiano l'autorità?”
“Che ne abbiano o meno, adesso è così”.
“E se mi rifiutassi di obbedire?” chiese coraggiosamente Piero.
“Sono previste sanzioni ovviamente: il carcere, con un severo percorso rieducativo. Il gatto sarebbe sequestrato ovviamente”.
Piero finalmente si stava rendendo conto della nuova realtà. Stava comprendendo quanto ciò potesse impattare sulla sua vita, sulla sua tranquilla vita.
“Quanti altri sanno del tuo gatto” chiese Enrico.
“Nessuno, a parte te…”
“Qualcuno ti ha visto quel giorno al parco? Può essere che i vicini abbiano sentito miagolare?”
“Non credo, ero solo quella sera. Di questo sono sicurissimo. I vicini?”
“Già, potrebbero, anche involontariamente, origliare dall’altra parte del muro”.
“I muri sono assai spessi, se è questo che temi, ti dirò che non si sente nulla da una parte all’altra del muro”.
“Bene”, sospirò Enrico. “Ma…”, aggiunse.
“Ma cosa?” chiese angustiato Piero.
“Il supermercato. Loro sanno”.
Piero si alzò velocemente, “hai ragione, devo correre subito, devo correre subito a casa”, disse, “devo correre subito da Gattaca”.
La nave nera è insolitamente gremita questo venerdì, pensò Piero, mentre varcava la soglia il venerdì seguente.
“Tieni, indossala immediatamente”, disse Enrico a Piero, porgendogli una sciarpa.
“Grazie; è un regalo?” chiese con curiosità Piero.
“E’ un salvagente. Tra poco inizia la partita e dobbiamo almeno sembrare dei tifosi dell’ASR”.
“E per quale motivo? Non possiamo stare come sempre”.
“Non più, amico mio. È dovere di chiunque tifare per la squadra locale che milita nella categoria più alta. È la legge”.
“Un altro sopruso”, commentò Piero.
“Puoi ben dirlo. Guarda là!” esclamò Enrico, indicando verso il bancone.
Stavano portando via un cliente che aveva appena ordinato una coca-cola.
“Al pub solo birra”, commentò Enrico con rammarico.
“Come hanno fatto a beccarlo subito?” chiese stupito Piero.
“Alza gli occhi; ci sono telecamere ovunque. E sono anche tra noi”.
“Chi è tra noi?”
“Loro. Sono agenti in borghese, addestrati per cogliere in fragrante chiunque gli capiti. E per essere spietati”.
“Quel tale, infatti, non l’ho mai visto in questo pub”, disse sospettoso Piero.
“Non cadere nella loro trappola; loro ci vogliono far sospettare l’uno dell’altro. Ci vogliono divisi, lo capisci? Indebolirci”.
“Cosa possiamo fare?” domandò con poca speranza Piero.
“Resistere e resistere. Dobbiamo salvare il nostro essere noi stessi, tenendo botta. Il nostro io non deve essere intaccato. All’esterno potremmo far sembrare che stiano vincendo loro, ma dentro no. Piero deve rimanere Piero”.
“Io non lo seguo neanche il calcio”.
“Lo so, amico mio. Lo so”.
“Quindi Gattaca lo hai chiamato?” domandò sottovoce Enrico per spezzare il tono cupo di quella sera.
“Sì, che corsa mi ha fatto fare venerdì scorso”, rispose Piero sorridendo.
“Tutto regolare?”
“Gattaca era dove l’avevo lasciato. Ma non commetterò più una simile sciocchezza”.
“Me lo immagino, con il suo pelo arancione che ti aspetta davanti alla porta”, commentò Enrico.
“E’ proprio arancione, infatti. Devi vederlo; mi sembra che già capisca qual è il suo nome”.
“Lo terrai dunque?”
“Assolutamente. So essere forte anch’io. Sarà la mia ribellione, per quello che vale”.
“La nostra ribellione”.
Nel pub improvvisamente tutti iniziarono ad esultare. Piero ed Enrico si unirono urlando, cercando di essere il più naturali possibili.
“Per quanto tempo dovremmo mimetizzarci? Per quanto tempo dovremmo fingere di essere come vogliono loro?” chiese Piero.
“È arduo da prevedere. Nel frattempo, dobbiamo lottare con i nostri mezzi”.
“E non tradire mai quello che siamo, contro tutte le consuetudini e le imposizioni”, concluse Piero annuendo.
“Quel matto di Piero ancora non si palesa, eppure è venerdì”, disse scherzando Nicola Casadei, cliente abituale del pub, notando quel tavolo e quella sedia vuoti.
“Non hai saputo?” gli domandò Gianluca Ilari, il proprietario de La nave nera, mentre stava spillando dall’altra parte del bancone.
“Cosa?”
“Una brutta storia, molto brutta”, commentò un altro cliente, seduto accanto a Nicola.
“È successo lo scorso sabato”, riprese Gianluca. “È entrato armato di coltello dentro al supermercato e ha cominciato a minacciare una cassiera e la direttrice. Fortunatamente non è riuscito a far del male a nessuno”.
“Come?”
“Era completamente fuori di sé, fuori di testa. Invitava la gente a ribellarsi e a unirsi a lui”.
“Sembrava una persona così innocua. Con i suoi problemi sì, ma innocua. Una volta ci offrì anche da bere, ricordate?” disse Nicola. “E lui? Come sta adesso?”
“La situazione, da quanto mi hanno riferito, era molto pericolosa. Piero urlava frasi senza logica, dov’è il mio gatto, dove avete nascosto Gattaca. Poi inveiva contro la cassiera, additandola come una spia per non so quale organizzazione”.
“E?”
“Alla fine, si è scagliato contro la guardia giurata e questa ha aperto il fuoco, uccidendolo”.
“Una brutta storia”, disse nuovamente l’uomo accanto a Nicola.
“Hanno anche perquisito la sua abitazione e l’hanno trovato. Era nascosto dentro l’armadio”.
“Chi?”
“Gattaca”.