Il Grande Letargo

scritto da vitnir
Scritto Un anno fa • Pubblicato Un anno fa • Revisionato Un anno fa
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Ognuno dovrà essere libero di interpretare le parole di questa storia in relazione al proprio vissuto. Sei in cerca di adrenalina? In cerca della fede? Dimmi, dai meandri del tuo infinito, quanto dormiresti pur di risvegliarti diverso?
- Nota dell'autore vitnir

Testo: Il Grande Letargo
di vitnir

                                                                                                          NOTTE

E come di consueto il mondo va in letargo, l'aria si fa leggera, i profumi svaniscono, la carne si restringe, il cuore pompa, il nefasto meccanismo scalcia sulle pareti con furia e tutto sembra iniziare, ancora e ancora. E' lì che, tutto d'un tratto, i grandi cancelli si spalancano e l'oscurità divampa irrequieta, come benzina su un falò. 

E con la forza di un corvo volerei in mezzo al nulla, in mezzo ai milioni di palazzi, in mezzo alle miliardi di vite consumate ed esauste. Volerei li dove nessuno vorrebbe farlo, in quel buio involucro di sofferenza che ti soffoca, come uno spesso velo sopra il volto. Li in mezzo alle mille luci, dove la speranza viaggia indisturbata ed inesorabile, vorrei volare; 

L'ultimo a morire, l'ultimo ad abbracciare la consapevolezza. Li forse, un giorno, ti troverò steso ed inerme, ma felice. Ricco di sapienza, vorrei volare con te nei posti più bui che tolgono le certezze, che dilaniano il profumo di un'ottima fragranza. Sudato e tremante terrei la tua mano, impaziente di scavalcare tutti i cerchi che possiedo, nell'immensa attesa della lunga carezza che avvolge le mie guance e le mie labbra, dove le mie lacrime nutrirebbero gli stomachi ingordi che annienterai con la tua fantastica eleganza.

Volerei all'infinito se solo avessi la certezza di incontrarti, un giorno, nel mezzo del nulla, con intorno il lume che divampa sul mio angusto dintorno, diresti le parole con spensieratezza e leggiadria, privato dalle restrizioni. Per il momento sono un corvo e non riesco a smettere, come posso diventare qualcos'altro?

Tu, maledetto, mostrami le modalità, mostrami le scorciatoie, mostrami le soluzioni se davvero sei come ti ho sempre desiderato. Fallo, ti prego.

Perché non riesco a vederti, dopo tutte le cose, nel personalissimo vuoto? 

Dove sei?

Perché ti nascondi da me?

L'unica cosa che ci separa può unirci, ma devi fare il primo passo. Io ci ho provato, io sono morto e poi ho camminato inconsapevole, io ho fatto tutte le cose, ma sono morto tante altre volte. Rimarrò davvero quassù per l'eternità? 

Ti chiedo solo di toccarmi, solo una volta.

Toccami, spogliami, picchiami, distruggimi, ma illuminami. Non comprendo da tanto tempo se ormai volo senza meta, come se avessi ignorato tutto. 

Tienimi, sostienimi, aiutami a scendere, voglio toccare la terra, adesso. 

Voglio toccarti, ho bisogno di urlare in basso, li dove il mio eco può essere ascoltato soltanto da te, l'unico che conta. Solo tu puoi darmi la certezza che altri potranno sentirlo in futuro. 

Accerchiami, rendimi tuo. 

Il mio universo è troppo complesso, enigmatico, irrisolvibile e non posso sempre seguire i suoi meccanismi, finirei per schiantarmi in picchiata. Qui credo di urlare, se è così sono certo che rimbombo sui duri muri dei palazzi, senza avere nessuno spettatore.

E' un bene? Forse si, chi può saperlo a parte te? Forse ti ho già visto, trilioni di volte senza averlo mai capito. Eri una foglia che cadeva delicata sul terreno? Eri il tramonto dinanzi al tappeto blu? Eri il vuoto dinanzi alla montagna? Eri il gigante che volteggiava indisturbato di notte? 

Forse sei esistito qui su soltanto una volta, ma come riesco a ricordarti se mi sei sfuggito? Forse non sei mai esistito, ma allora come faccio a sapere di te? Forse lo so proprio perché non ci sei mai stato, forse non ti avrei mai desiderato.

Non è bizzarro?  

                                                                                                      GIORNO

Il dilemma continua a prendere radici anche qui. Non riuscendo a comprendere pienamente in quale dimensione sfoggiare la lama di sofferenza, non so più dove volare neanche quando il sottile velo oscuro si decompone, palazzo dopo palazzo, al conseguire del nuovo inizio. 

Continuerò a sbattere in altre strutture o tenterò un atterraggio? 

Tutti hanno paura della luce, io ho paura della luce; durante il primo evento tutto si ferma ed il resto si appresta a galleggiare nella mente, come un bicchiere nel torrente più arduo del globo, l'aria diventa piumatica, l'ammasso di carne abbraccia se stesso in una danza che sembra infinitamente stretta ed incontrollabile. 

Ma adesso un nuovo inizio è alle porte e con lui una catena sistematica di avvenimenti di cui ne comprendiamo in anticipo le catastrofiche circostanze. Nella comune solitudine guardiamo la grande stella innalzarsi sull'ellissoide che delimita e racconta ogni nostro passo, ogni respiro, contemplando inermi la triste ritirata del tenebrore lesionista. 

Che cosa farò adesso? Come affronterò tutto questo un'altra volta? Sarò in grado di arrivare all'ipotetico equinozio quotidiano senza riportare ferite gravi? 

Ma alla fine di tutto non resta che tentare. Tentare di respirare un'aria più calda e di non soffocarvici al suo interno. Tentare di non rimanere schiacciati per le prossime ore consecutive. E' difficile, non è vero? 

In fondo basti pensare che, a prescindere da ogni cosa, arriveremo al traguardo avvolti da una grossa e pesante coperta nera. Ma come può renderci sicuri da tutto una stupida allitterazione trasportata nella vera realtà che solo noi conosciamo meglio di tutte quelle botticelle senza coscienza? Infatti non lo fa per niente.

Siamo convinti che le problematiche diurne possano cessare una volta concluso il famoso ciclo orario, ma è proprio lì che fuoriescono come l'acqua incandescente di un geyser, pronte a distruggere quelle molteplici dozzine di minuti che spesso aiutano (temporaneamente) il così ricercato distacco dalla dinamicità. Vorremo staticità a volte, ma non è mai davvero possibile. 

Aiuterei me stesso con un'approfonditissima analisi logica dei connettori, alla disperata e spericolata speranza di avvistare uno spiraglio di luce, uno spiraglio di giorno magari. Guardare con la luce dà sempre delle soluzioni adatte, basti solo saperle gestire una volta afferrate meticolosamente. Forse se provassi a correre nella giusta via quando il satellite è momentaneamente morto, potrei trovare qualcosa di parecchio interessante.

Di cosa dobbiamo aver davvero paura? Della notte o del giorno?

Questo è l'horror che affronterai per macroscopici periodi di minuti ogni volta in cui ti fermerai di scatto e dirai "Dove sto volando adesso?" 

Ma in fondo gli horror non fanno poi così tanta paura se visti in con la compagnia che ti salva, mi sbaglio?  

Capiremo tutti dove volare, un giorno.

Il Grande Letargo testo di vitnir
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