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Ahimè, mi sono accorto solo adesso
che giunco non è più, non è più flessile
il mio cuore perduto negli stagni
cupi ed immoti dell’indifferenza
non è più resiliente:
nel suo cerchio vermiglio non accoglie
neppure più le rose damascene.
Era sferzante l’aria di quel giorno
nascente appena, frettolosi i passi
della mia corsa ed io troppo felice
— Sì, io con l’impeto
ti avrei amata — dissi — di un tumulto
gentile, con la foga
sguaiata e tenera
di una valanga al sole! —
(Se solo avuto avessimo il coraggio
di sfondare quel muro
di silenzi friabili, di intese
possibili e mancate:
lo stesso non volute!
A volte è molto meglio abbandonarsi:
chi si lascia ingannare, forse, è astuto
tanto di più
di chi non si è lasciato mai ingannare).
E quante volte ho finto, supplicato
di essere preso all’amo,
di essere fatto prigioniero, chiesto
di essere trascinato in un abisso
delirante di gioia e di menzogna
e, invece, sono qui stanco seduto
sul muretto del Tempio
Malatestiano e credo solamente
agli amori di Isotta e Sigismondo
e non ai miei.
Dissipati gli inganni e le illusioni,
svelate le menzogne
è rimasta poi vuota la platea;
così, stanco, disteso
sul mio lettino al sole con invidia
sento nascere amori ed amicizie
ed entusiasmi altrui …
Penso a quegli occhi
intensi e luminosi
cui quella volta si poteva credere.