NON C'E' GLORIA NELLE FONDAZIONI
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Certo, detto così pare avere poco senso, detto in un altro modo, pure.
Insomma, anni di dura università che a volte sembrano buttati al vento, dove il vento nel caso specifico non è altro che l’ottusità della gente, il loro semplice modo di porsi di fronte a ciò che è maestoso nell’ evidenza, facile da comprendere e da godere.
Milioni di foto scattate ogni giorno, bocche aperte e sgomente di fronte al capolavoro secolare del Colosseo, o al cospetto del prodotto finale di anni e anni a fare a gara di chi ce l’ha più lungo, e ora ce l’ha più lungo Dubai, ok. Si per ora hanno vinto loro, con lo spettacolare Burj Khalifa.
Ma non c’è gloria nelle fondazioni.
Forse una specie di gloria l’ha avuto il progettista della torre di Pisa, probabilmente un tale Diotisalvi, che nonostante avesse lasciato riposare per un anno intero le fondazioni prima di cominciare con l’elevazione (come era buon uso fare con torri e fari nelle vicinanze del mare), e non avendo però considerato la cedevolezza del terreno, costituito da pessime argille molli normalconsolidate, innescò l’ormai straconosciuta pendenza della torre e, sebbene in misura minore, la pendenza di tutti gli edifici nella piazza.
Ecco, è partito il geologo che c’è in me, non riesco a tenermi e non strafare quando si parla di edifici e costruzioni varie, non riesco a non parlare di ciò che vive e lavora per secoli sotto di loro, le fondazioni. Siamo noi, i geologi e geotecnici, che permettiamo alla gente che non sa guardarsi sotto i piedi di godere della magnificenza di opere come la L'Aldar Headquarters ad Abu Dhabi, conosciuto anche come la “Conchiglia” per via della forma lenticolare, spettacolare capolavoro di ingegneria del di fuori, garantito solo dalla stabilità della struttura del di sotto.
E, signori, quando si parla di pendenza, di fronte Al Capital Gate, sempre in Abu Dhabi, la Torre di Pisa la potremmo usare come semplice attaccapanni (non me ne voglia Diotisalvi)
Senza la scienza, il coraggio e l’ardire di chi sa cosa serve sotto per far vivere il sopra, non avremmo guadagnato il cielo, saremmo ancora dentro una specie di caverne, magari lussuose, ma caverne. Emerge spesso la rabbia e lo sconforto fatto di duri anni di lavoro, di scelte non facili, di pressioni costanti, di scavi profondi, di acqua che preme per risalire (odio l’acqua che preme per risalire), di archeologi disincantati o corrotti, di clienti che ti stressano e chi più ne ha più ne metta (la famosa frase di Rocco Siffredi…). È una rabbia che cresce ad ogni metro di terra che viene usato per ricoprire il cuore pulsante di ogni costruzione.
Rabbia si, perché alla fine non c’è gloria nelle fondazioni.
Ormai me ne devo fare una ragione, provo a spiegarlo e raccontarlo, ma la gente mi guarda perplessa e cambia discorso, chiedendomi spesso di quanti piani è composto o quanto è alto.
Nessuno mi chiede mai quanto è profondo.
Nessuno mi chiede mai quanto sono profondo io, nel mio intimo, nella mia insoddisfazione, nel mio incontenibile odiare la professione degli architetti, più o meno improvvisati, che si beano di forti e solide basi per dare sfogo ai loro virtuosismi eclettici fatti di acciaio, vetro e immaginazione. Quanto sono profondo io? Quanto puoi riuscire a convivere con l’inutilità di te stesso, quanto ingoi di fronte alla moglie che ti vive addosso, una moglie importante e quotato architetto di fama più che nazionale, che usa il marito come mero supporto delle sue mirabolanti idee, che usa il marito come facciata di una ormai rodata società di fatto, “Tu fai il tuo lavoro interrato, io faccio il mio estruso, e portiamo a casa soldi e benessere”.
Architetto del cazzo, dozzinale, imperiale troia che di questo marito ne hai fatto il sistema di deambulazione di un paio di corna ormai impossibili da nascondere e conviverci. Ecco di nuovo che ci troviamo di fronte alla solita questione, la mia testa fondazione, e le corna come creazione svettante della mia consorte troia architetto. Ne avevo spesso avuto il sentore, quel senso di malessere dato dal non essere più cercato ma solo gestito, da quella “vita di fatto” che si innesca come naturale processo di convivibilità, poca condivisibilità’, e serate passate da solo ad attendere il suo rientro da meeting messi in agenda in orari improbabili, ma assolutamente necessari per gli impegni incessanti di un quotato architetto.
Non c’è gloria nelle fondazioni, dicevamo.
E non c’è neanche Gloria nelle mie fondazioni.
Si, perché’ Lei ora riposa in pace nel piano mezzanino della nuova Stazione di Annibaliano, a Roma, in un getto di almeno un metro e cinquanta di cemento, un solaio alleggerito con inserti in polistirolo, dove lei ora è una parte di quel polistirolo.
Non c’è Gloria nelle fondazioni, perché quando ho deciso di spegnere la vita della gentile bagascia, le fondazioni, purtroppo, le avevamo appena finite di gettare.
Ora dalla mia testa “fondazione”, devo cercare di far sublimare via quel prodotto immaginario fatto di solida e coriacea cheratina, per molti invisibile, ma che per altri so essere il mio passaporto di patentato cornificato.
Tempo al tempo.
Non c’è la mia Gloria nelle fondazioni, continua a non esserci gloria nelle fondazioni, ma ora sto comunque meglio, e me ne farò una ragione.
Fine
Non c’è gloria nelle fondazioni testo di Luca C_Max