Quella Svizzera di un bambino di Varese

scritto da Michele 57
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Autore del testo Michele 57

Testo: Quella Svizzera di un bambino di Varese
di Michele 57

Quelle emozioni e quelle sensazioni che, nel corso della prima infanzia, persone, luoghi ed accadimenti vengono a suscitare in noi, giungono spesso ad intrecciarsi, ricomponendosi nella trama di un ricordo lieve, sulle cui forme, nei momenti di quiete, la memoria ama talora attardarsi, per un poco, con un velo di nostalgico rimpianto, per un tempo che, ormai, s’è irrimediabilmente congedato e che non ci sarà mai più dato d’incontrare ancora.

É certamente fra le pieghe di questo patrimonio di suggestioni che, per me, anche l’immagine della Svizzera giunge talvolta a tralignare leggera; di una Svizzera certamente irreale, piccina, limitatissima, parziale, come oggi si userebbe dire, addirittura alquanto minimale; si tratta, insomma, soltanto di quella Svizzera che, come tale, poteva essere compresa e percepita da un bambino di Varese. Un’immagine, forse, in gran parte irreale e vagamente misteriosa, ma, non per questo, meno evocativa e sentita, pur nella distanza di così tanti anni.

La mia prima percezione della Svizzera si era potuta riassumere in una visione notturna, quasi onirica, composta di doganieri col berretto tondo e l’uniforme grigia e di distributori di carburante, regolarmente affiancati dagli annessi negozietti di confine, che emanavano fragranze di caffè, di tabacchi, di dolciumi e cioccolato (quest’ultimo, però, non mi veniva mai acquistato, poiché i genitori si dicevano convinti che procurasse l’appendicite) . Per me, la Svizzera costituiva, dunque, essenzialmente un punto d’approdo; la meta finale di un viaggio nella notte (che mi pareva lunghissimo) il quale, quasi ogni settimana, dopo aver percorso una Varese serotina (semideserta e con un volto che le fredde luci dei lampioni valevano a rendermi quasi estraneo), superava Belforte, indi si dipanava nella buia discesa alla Folla di Malnate, per poi inerpicarsi, fra i boschi che facevano di contorno ai tornanti della strada che, finalmente, conduceva, dal Valico del Gaggiolo, sino alla Svizzera.

Ben poco d’altro, anni più tardi, avrebbe aggiunto qualcosa a quelle originarie emozioni la mia prima visita a Lugano, per la solenne occasione dell’acquisto di un Tissot d’acciaio, il mio primo orologio da polso; una città quasi deludente, nella sua sostanziale somiglianza alla natia Varese, anche se, probabilmente, di quest’ultima un poco più pulita ed ordinata (ma, forse, una tale impressione mi era stata inconsciamente inculcata dalle considerazioni dei genitori).

Quantunque, nei limiti accennati, fossi pervenuto a formarmi una qualche personale idea della Svizzera, pure, qualcosa d’importante ancora mi mancava: una precisa percezione degli Svizzeri e, a questa mia gravissima carenza, in prosieguo di tempo, sopravvenne a supplire, in certo qual modo, la televisione.

Ad un certo punto della mia giovinezza, infatti, dopo una pluriennale resistenza (era fermamente convinto si trattasse di un marchingegno instupidente), il babbo aveva finalmente ceduto alle reiterate suppliche dei familiari e si era dunque potuto procedere all’acquisto di un apparecchio televisivo. Sin quasi da subito, in casa, implicitamente ci si avvide di come, rispetto alle smaglianti produzioni irradiate dalla Rai, i programmi trasmessi dalla Televisione della Svizzera Italiana (di certo, assai più modesti e dal taglio pressoché casalingo), riuscissero a riverberare, nei nostri confronti, una sensazione di maggiore vicinanza; non si trattava, tuttavia, di una vicinanza che si limitasse ad esaurirsi su di un piano meramente psicologico, giacché, ad esempio, anche le previsioni del tempo indicate da quell’emittente elvetica, se riferite a Varese, parevano sempre rivelarsi alquanto più azzeccate, rispetto a quelle suggerite dalla Rai.

Sotto il profilo antropologico, poi, quello “Svizzero Italiano” che le trasmissioni contribuivano a rappresentare si riassumeva in un complessivo modello il quale, con qualche tratto vagamente arcaicizzante, appariva manifestarsi come del tutto analogo, rispetto ai più genuini fra i consueti archetipi varesini; insomma, la voce dell’ annunciatrice che s’esprimeva con la stessa cadenza della Schoura Rosa, che gestiva il banchetto di verdure nella Piazza del Mercato, od il Consigliere Federale che usava degli stessi modi di dire del Schour Renzo, l’indimenticabile gastronomo di Casbeno (la Castellanza dei miei nonni), mi parevano comporre un’ovvia propaggine degli aspetti della mia vita quotidiana più ordinaria ed usuale.

Un’ultima sensazione ancora; i programmi della Televisione Svizzera, ad un certo punto, riuscirono, per me, a tradursi, addirittura, in una sorta di motivo di conforto spirituale. Giacché, mentre in Italia, a seguito delle influenze d’ascendenza sessantottina, ci si andava sempre più riducendo a limitare le capacità di ragionamento, con l’attenersi a degli schemi preconcetti, deduttivamente mutuati dai rigidi stereotipi di certe ideologie (che non mi ritrovavo, e che tutt’ora non mi ritrovo, a poter condividere), al contrario, almeno per qualche anno ancora, l’emittente elvetica sarebbe riuscita, d’altronde, a continuare a produrre programmi e notiziari, ispirati a quella logica comune dettata dal più naturale buon senso: insomma, mi donava una boccata d’aria fresca, in un clima sempre più intristito dal condizionamento ammorbante delle dottrine più cupe. Era proprio in quell’epoca, fra l’altro, che, capitando a transitare per Lugano, Locarno o Bellinzona, mi ritrovavo a rimirare ammirato i muri intonsi dalle deturpanti scritte a vernice e le strade libere da sgangherate manifestazioni o da vocianti cortei, e mi scoprivo, così, a viepiù rammaricarmi, per quel diverso destino “non svizzero” toccato in sorte alla mia povera Varese, in dipendenza di un mero frutto del caso, di un accidente della storia o, forse, addirittura (se vogliamo dar credito a certi eccessi della retorica più patriottarda), in ragione di un superiore Disegno d’impronta divina …
Quella Svizzera di un bambino di Varese testo di Michele 57
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