Nella chiesa

scritto da Zenogrigio
Scritto 2 mesi fa • Pubblicato 2 mesi fa • Revisionato 2 mesi fa
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Autore del testo Zenogrigio

Testo: Nella chiesa
di Zenogrigio

Sono entrati in tre.

Io seggo dietro.

Li ho visti a braccetto.

Lei che sostiene lei, che sostiene lui.

Tutti coevi.

Potrebbero essere amici, fratelli, comunque parenti o solo amanti.

Non sono estranei.

Sono legati da un filo non occasionale: lo vedo da come si sorreggono, dalla forza muscolare che ci mettono.

Lo rintraccio nella presa ponderata delle braccia e nello sguardo compreso.

Quello sguardo presuppone conoscenza e poi fiducia.

Si seggono nella panca difronte a me.

Da seduti mantengono la stessa sequenza con la quale sono entrati.

L’uomo sulla destra del trio nasconde ora la faccia nei palmi delle mani.

Si è seduto con la donna al centro, al suo fianco.

Lei gli poggia la testa sulla spalla.

L’altra donna, alla sinistra, rimane perfettamente verticale. Non vuole sedersi.

I tre disegnano una elle scomposta.

Sussurrano parole che non comprendo.

Non una preghiera.

Come, invece, si rassicurassero guardando dritti alla navata.

E poi un rumore sordo e un oggetto finisce sotto i miei piedi.

Una piccola fiala di vetro si ferma sulla scarpa sinistra.

La raccolgo e vedo che è del liquore.

Subito la donna in piedi si volta e si scusa.  

È funerea.

Le restituisco la fiala, che miracolosamente è rimasta intatta.

Frettolosamente mi ringrazia e se ne va.

Lascia i due, che ora sono soli.

Intanto il rumore di una chiave che gira dentro il chiavistello.

La luce all’interno diminuisce progressivamente, così come le persone.

Siamo rimasti noi tre nel silenzio e nell’umidita.

Voltandomi, di lato, posso osservare particolari degli affreschi illuminati dalle candele.

Inspiro ed espiro velocemente.

Fisso un punto sostenuto nell’aria.

Attorno a me i rumori affievoliscono.

Prima un passo poi l’altro, si approssima il volto di un prete che confina, ora, con le nostre panche.  

Ci invita ad uscire.

La chiesa sta chiudendo al pubblico.

Mi scuote, perché non ottiene una reazione.

Mi alzo e indietreggio.

Ho terminato con il mio e sento il respiro dell’uomo, davanti a me, uscire violento.

È costretto ad alzarsi anche lui assieme a lei.

Indietreggiano verso l ‘uscita.

Voglio capire, vederli in faccia.

Mi rendo conto che lui ha ferite addosso.

I vestiti, anche se nell’oscurità, li vedo.

Sono imbrattati di sangue e ha numerose garze attorno al busto.

Un poco lo sorregge la donna accanto, un poco fa da solo.

Dove passa, lascia gocce di sangue.

Non si lamenta.

 Al contrario, procede, anche se claudicando.

È più veloce di me.

Escono prima loro, poi seguo io con il prete indispettito che inciampa sul mio incedere.  

Uscendo, un abbaglio ci sorprende.

Un fascio di luce, violento, ci fa coprire gli occhi.

Enormi gabbiani, mutanti, ci sovrastano e, in lontananza, gli stormi rassicurano.

Che mese dell’anno è?

Non ricordo.

Potrebbe essere primavera, forse già estate.

Ci vedo meno e le energie si presentano ad intermittenza.

Fuori è rimasta seduta anche l’altra donna.

Li ha spettati e ora si riaggancia a loro nella discesa delle scale.

Che in questo luogo sacro, speciale, sono erte e ripide.

È tutta una discesa o una salita, a seconda di come si decide di procedere.

Non c’è mai un avvallamento, mai una pianura.

Sono fuori e sono rimasto dentro la chiesa, con il desiderio di intuire le vite degli altri.  

 

 

 

 

Nella chiesa testo di Zenogrigio
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