Il destino di Lucas

scritto da ExMachina01
Scritto 4 anni fa • Pubblicato 2 anni fa • Revisionato 2 anni fa
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Racconto, tratto da un incubo fatto durante un periodo di stress e scarsa motivazione.
- Nota dell'autore ExMachina01

Testo: Il destino di Lucas
di ExMachina01

IL DESTINO DI LUCAS

Mi ero appena svegliato la mattina di una fresca domenica d’autunno. Il cielo era piuttosto nuvoloso, ma non abbastanza da bloccare tutta la luce del sole che riusciva ad accendere le strade e le abitazioni di forti grigi. Appariva tutto assai illuminato nonostante non riuscisse a passare nemmeno un raggio di sole attraverso quelle spesse nubi.
Mi sentivo carico per affrontare quel giorno alla grande come nessun’altro, il freddo che riempiva la stanza mi fece sentire più arzillo che mai. Scesi dal letto, mi cambiai, e mi diressi alla cucina per la colazione. Erano circa le 10.
Dopo pranzo sarei andarti a casa di Lucas, il mio migliore amico, per trascorrere un po’ di tempo insieme a lui. Ci conoscevamo da diversi anni ormai, dalle scuole medie per essere esatti, e divenimmo quasi subito amici; sapevamo praticamente tutto l’uno dell’altro, mai avevo avuto un amico come lui prima.
I miei genitori e mia sorella erano usciti e sarebbero rimasti fuori fino al tardo pomeriggio. Dopo aver trascorso un po’ di tempo a leggere qualche frammento di un piccolo romanzo giallo, iniziai a prepararmi un sandwich per pranzo…
Il cellulare squillò: era Lucas. Risposi con entusiasmo alla chiamata. La sua voce appariva molto stanca e spenta. Sembrava di star parlando con una persona affetta da qualche grave malattia in fase terminale.
«Ehi Tom, non penso sia il caso che tu venga oggi da me…»
«Perché?» chiesi incredulo e già preoccupato.
«Non è giornata. Ci sentiamo». E chiuse la chiamata senza dire altro. Lo richiamai. Volevo almeno una spiegazione di ciò che stava succedendo. Rispose quasi subito.
«Lucas, ti prego, dimmi che sta succedendo…»
Il mio cuore pulsava forte dall’ansia di sapere cosa potesse sconvolgerlo da farlo stare così.
«So che può sembrare una cosa stupida ma…», dopo qualche secondo di attesa concluse la frase:
«Morirò, Tom».
Quelle parole parvero una pugnalata. Quanto volevo che stesse solo scherzando. Sfortunatamente non era il genere di persona che scherza su queste cose.
«Che stai dicendo? Quando? Perché? Chi ti ha detto una cosa simile?»
«Non lo so, stamattina mi sono svegliato con questo pensiero che non riesco a togliermi dalla testa, non so cosa fare; i miei non mi credono e stanno pensando di mandarmi da uno psicologo perché pensano che sia per un trauma passato.»
«Forse hai fatto un brutto sogno.»
«Non ho sognato nulla stanotte. Ti faccio capire meglio: quanto fa due più due, Tom?»
«Quattro, perché?»
«Esattamente come tu sai che due più due fa quattro, Tom, io so che presto morirò. Non so quando, dove, o come, ma sono convinto che succederà».
Non c’era molto altro da dire, lo salutai per lasciarlo tranquillo e chiusi la chiamata. Non aveva senso quello che diceva, ma gli credevo, credevo alla sua paura e preoccupazione per la sua incolumità; forse stava passando un brutto periodo con i suoi e aveva bisogno di uscire con i suoi amici per allontanare la mente da quell’ambiente. I suoi erano separati; che io ricordassi non ci era mai entrato in conflitto, tuttavia non era una possibilità da escludere, forse non ne voleva parlare.
Mentre pranzavo, sforzandomi di mangiare giù i bocconi per il malessere, decisi di chiamare i nostri amici più cari per invitarli ad un’uscita al parco insieme a Lucas e aiutarlo a passare quel brutto momento: Mara mi disse che aveva un impegno ma che lo avrebbe rimandato volentieri per stare in compagnia di Lucas e aiutarmi a tirarlo su di morale; Isaac era disponibile; Ethan anche, ma ci avrebbe raggiunti un po’ più tardi. Poi informai Lucas per chiedergli di venire con noi al parco. Sapere che anche gli altri erano presenti lo avrebbe spinto a non rifiutare l’invito; è sempre stato uno molto socievole. Dopo pranzo presi le mie cose e mi diressi al parco incrociando prima Isaac, poi Lucas e infine Mara, Ethan si unì dopo circa venti minuti.
Ci sedemmo presso i tavoli di quel grande parco. Le condizioni meteorologiche non erano delle migliori per trascorrere una giornata all’aria aperta; faceva freddo e sembrava che avrebbe iniziato a piovere da un momento all’altro, nessun raggio di sole. L’umore di Lucas non era cambiato, era sempre triste e depresso, come se i suoi genitori fossero morti da poco in un terribile incidente stradale. Persino Isaac, che generalmente riusciva a strappare un sorriso a chiunque con le sue battute, si sentì impotente dinanzi alla tristezza di Lucas che raccontò la sua riflessione a tutti con un desiderio di vivere appena percettibile. Più parlava della consapevolezza del suo triste destino, più quell’idea, che sembrava un’assurdità in principio, pareva assumesse una forma, un senso, quasi logico, come se fosse un’ovvietà della quale non mi fossi accorto fino a quel momento. Forse aveva ragione a crederlo. Come avrei potuto immaginare che quelle parole che uscivano dalla sua bocca fossero così potenti da riuscire a convincermi fino a star male quasi quanto lui? E non sembrava che fossi l’unico a cui quelle parole facevano effetto. In quel momento dentro di me sentii che avrei potuto fare qualunque cosa, ma proprio qualunque, pur di fargli passare quel malessere infernale. Ma non feci nulla. Rimasi fermo a contemplare il cielo, dal quale iniziarono a sentirsi dei tuoni in lontananza, mentre piccole gocce scendevano con dolcezza in quella tranquilla serata grigia…
«Vado in bagno», disse improvvisamente Lucas mettendosi il cappuccio e dirigendosi verso uno dei molti bagni pubblici che si trovavano nel parco, dietro un gruppetto di alberi che ne nascondeva quasi completamente la vista, a molti passi da dove ci trovavamo seduti in quel momento. Mentre fissavo il vuoto sentii qualche istante dopo alzarsi le altre tre voci, una dopo l’altra, che iniziarono a seguire Lucas:
«Anch’io vado in bagno».
«Anch’io, vado a fargli compagnia».
«Mi aggiungo anch’io».
Mentre li sentivo allontanarsi sempre di più, alzai lo sguardo al cielo e lasciai che le goccioline di pioggia mi bagnassero il viso. Iniziai a ridere in quella posizione mentre le gocce cominciarono a bagnarmi gli occhi. Non so se fosse pioggia o lacrime, so solo che non riuscivo a smettere di ridere dal dolore. Era tutto così palese che non aveva bisogno di spiegazioni, come avevo potuto essere così stupido?
Non ricordo quanto durò quell’attimo di follia quando sentii dei passi avvicinarsi. Avvertì un improvviso vuoto allo stomaco seguito da un fortissimo senso di disgusto, quasi nauseabondo. Voltai lo sguardo in direzioni dei passi che si avvicinavano, anche se non era necessario: erano solo in tre, Lucas non c’era. Avevano gli sguardi persi e delle espressioni serenamente abbattute. Il loro dolore, tuttavia, non era paragonabile al mio. Nessuno aprì bocca per un bel po’, ma non mi importava, non ce n’era bisogno, sapevo già cos’era successo. Chi non avrebbe fatto qualcosa pur di porre fine alle sofferenze di una persona cara? Non ero arrabbiato, ma solo molto dispiaciuto, sapevo che era necessario.
Dopo un po’ ci alzammo tutti e quattro dal tavolo, ci salutammo, e ognuno se ne andò per la sua strada. Nonostante il dolore atroce per quella perdita, in fondo sentivo che potevo accettarlo: finalmente ero riuscito a comprendere Lucas e tutto ciò che ci aveva detto. Anche se non era intenzionato a farla finita quel giorno, il suo destino si era compiuto, e per il suo bene, fummo noi quattro a far sì che ciò avvenisse.

I morti non soffrono.

Il destino di Lucas testo di ExMachina01
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