L'eco del vicolo

scritto da itram
Scritto 4 mesi fa • Pubblicato 4 mesi fa • Revisionato 4 mesi fa
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Succede sempre così: inizia con una passeggiata, un gelato, un film. Finisce in un angolo nascosto, in un luogo rubato, tra mani che non chiedono e labbra che zittiscono. Lei lo sa, lo ha sempre saputo. Eppure ogni volta spera in un finale diverso.
- Nota dell'autore itram

Testo: L'eco del vicolo
di itram

Eravamo finiti in un vicolo, succedeva sempre, ogni volta che uscivamo lo sapevo che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi, e così cominciavo a prepararmi fin dall’inizio, fin da quando mi arrivava il suo messaggio nel quale mi chiedeva di andare insieme a fare una passeggiata, a prendere un gelato o a guardare un film. Ormai lo sapevo. Sapevo che tutte le volte non si sarebbe fermato lì, che non sarebbe stato per davvero solo quello, lo sapevo che saremmo finiti in un bagno, in un camerino, in un casolare abbandonate, dietro a una macchina, in un garage lasciato aperto per sbaglio da chi tutto si sarebbe aspettato meno che quello… proprio come me. Mi stupiva, mi riusciva a stupire ogni volta il modo in cui si ingegnava, l’astuzia che ci metteva nel trovare posti sempre diversi, l’intelligenza nel convincerci che in fondo non ci avrebbe visti nessuno, che lo facevano tutti, che a nessuno importava davvero e la caparbia che aveva per riuscire a farmi dire di sì tutte le volte. Eravamo finiti in un vicolo, succedeva sempre, lui aveva cominciato, mi sorrideva malizioso, lo conoscevo quello sguardo ormai, e alle volte avrei voluto poterlo vedere un po' meno e conoscerlo un po' peggio. Sentivo le sue mani addosso, facevano su e giù per il corpo, una volta era la coscia, l’altra mi afferrava il seno, poi il mento, l’inguine, il fianco, le labbra e la bocca per farmi stare zitta, per dirmi di non fare rumore o ci avrebbero sentito, cosa volevo fare, eh? Farci scoprire? Lo sapeva che non ero così stupida… La sua mano scendeva e il disagio aumentava, non tanto per i modi che aveva con me, a quelli mi ero abituata. Il disagio più grande me lo procurava la gente, il rumore dei passi, le voci, l’ansia di essere scoperti, la paura di essere trovata lì, con lo sguardo colpevole, mentre cercavo di diventare piccola piccola sotto lo sguardo giudicante di chi stava guardando solo una ragazzina che si faceva scopare in un vicolo. Avevo cominciato a lamentarmi sotto il suo tocco ma a lui non importava, molto volte avevo tentato di illudermi, avevo cominciato a credere e a sperare che per qualche motivo assurdo le sue orecchie funzionassero male, che processassero l’inverso di quello che io dicevo, che per una maledizione gli facessero sentire il contrario in realtà. “No, no ti prego, fermati, no dai ho paura che arrivi qualcuno, per favore fermati” speravo che le sue orecchie lo tramutassero in un sì e che quindi lui non lo facesse di proposito. Eravamo finiti in un vicolo, succedeva sempre, le sue mani avevano ormai sorpassato l’elastico delle mie mutande e io avevo finto per farlo smettere il prima possibile. Lui mi aveva chiesto di fare lo stesso e dentro di me pregavo che durasse poco, facevo del mio meglio ma a lui non bastava mai. “Non sei stata brava, ho finito solo perché avevo voglia, però sai cosa potresti fare per rimediare ai tuoi errori?” Le prime volte lo ascoltavo trepidante, adesso non c’era nemmeno bisogno che finisse la frase. Arrivavo a casa, mi spogliavo in fretta e furia e mandavo. Era più facile, era più facile di tutto. Lui diceva che era romantico, non so se lo facesse per convincere me, se stesso o entrambi, in ogni caso gli avevo sempre creduto. Eravamo finiti in un vicolo, succedeva sempre, e quel vicolo adesso mi possedeva, gli avevo lasciato una parte di me sperando nel suo silenzio.

L'eco del vicolo testo di itram
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