Il Mistero Della Piramide Di Bomarzo

scritto da Edgar Ros
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Serie "Real Mystery". Indagini su eventi inspiegabili avvenuti in varie zone d'Italia e del Mondo
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Testo: Il Mistero Della Piramide Di Bomarzo
di Edgar Ros

La nebbia del mattino si era appena alzata sulla valle del Tevere quando Luca arrivò al sentiero che portava alla Piramide di Bomarzo. Il bosco era silenzioso, troppo silenzioso. Solo il rumore dei suoi passi sulla terra umida. Aveva studiato quel luogo per anni, eppure non era mai riuscito a vederlo di persona fino a quel giorno.

La piramide era lì, scolpita in un unico enorme masso, con scale che salivano fino a un altare sommitale. Non era un'opera etrusca ordinaria. Le dimensioni, la precisione delle scalinate, la geometria delle cavità scavate nella roccia, tutto parlava di un'abilità ingegneristica che pareva anticipare di secoli la matematica greca. Ma quello che più intrigava Luca era ciò che i pochi archeologi che avevano studiato il sito avevano segnalato: strane proprietà acustiche, inspiegabili per le conoscenze dell’epoca.

Si fermò ai piedi della piramide. Il vento soffiò tra gli alberi, ma il suono che giunse alle sue orecchie era un ronzio basso, quasi un canto. Un fenomeno naturale? Forse. Ma sembrava modulato, ritmato.

«Non sei il primo a sentirlo.»

Luca si voltò di scatto. Dietro di lui c'era una donna, capelli raccolti, zaino in spalla.

«Scusi?»

«Il suono. È come un diapason che vibra, vero?» disse lei avvicinandosi. «Io sono Elena. Acustica dell’Università di Perugia. Sto studiando le anomalie sonore del sito.»

Luca annuì. «Sono un archeologo, sto lavorando a una ricerca sulla simbologia etrusca. Ma questo…» indicò la piramide, «non ha eguali.»

Elena sorrise. «Aspetta di sentirlo da sopra.»

Salirono insieme i gradini. Ogni passo sembrava risuonare in maniera innaturale: il rumore delle scarpe produceva echi secchi, come se provenissero da direzioni diverse. Arrivati in cima, Elena si mise al centro della piattaforma e batté le mani.

Luca sentì un suono che non avrebbe saputo descrivere. Non era un semplice eco: il battito si moltiplicava, diventava un coro di impulsi a frequenze regolari, come se la roccia fosse una gigantesca cassa di risonanza programmata per filtrare certe note e amplificarne altre.

«Incredibile,» mormorò.

«Lo è. Abbiamo registrato il fenomeno a diverse ore del giorno. Cambia con la posizione del sole. E ieri sera…» Elena abbassò la voce, «ho sentito una voce. O meglio, qualcosa che sembrava una voce.»

Luca aggrottò la fronte. «Una voce?»

«Non umana. Sembrava un canto arcaico. Ho portato con me un registratore. Vuoi ascoltarlo?»

Tirò fuori un piccolo dispositivo e fece partire l’audio. Un suono profondo, quasi un lamento, si alzò nell’aria, ma era scandito con un ritmo preciso, come se seguisse una scala musicale.

Luca rabbrividì. «Potrebbe essere il vento, o animali…»

«Lo pensavo anch’io. Ma la frequenza corrisponde a 432 Hz esatti. Troppo precisa per essere casuale.»

432 Hz. Luca ricordò i suoi studi: molte culture antiche associavano quella frequenza all’armonia cosmica, alla “musica delle sfere”. Era usata nei rituali sacri.

«Forse era proprio questo lo scopo della piramide,» disse. «Un luogo per connettersi con il divino tramite il suono.»

Elena lo fissò, seria. «O qualcosa di più.»

Quella notte decisero di restare sul sito per osservare il fenomeno. Piazzarono microfoni e sensori lungo i gradini e nei canali laterali. Luca sfiorò le incisioni sulle pareti: simboli etruschi, ma alcuni gli erano sconosciuti. Sembravano rappresentare onde, spirali e un uomo con le braccia alzate.

Il cielo si fece nero e il bosco venne avvolto da un silenzio innaturale. All’improvviso, un suono si levò dal nulla. Era un ronzio basso, che cresceva d’intensità. Le foglie tremarono, ma non c’era vento.

Elena guardava i sensori: «La frequenza sta salendo… 200 Hz… 300… 432!»

Luca sentì il petto vibrare. Era come se il suono gli parlasse direttamente nelle ossa. Poi, sopra al ronzio, si udì un canto. Parole in una lingua sconosciuta, ma cariche di emozione, come una preghiera.

«Registralo!» gridò Luca.

Elena annuì, ma i sensori impazzirono. Le luci dei dispositivi lampeggiavano. Il suono divenne più forte, finché parve esplodere e tutto si concluse nel silenzio.

«Che diavolo è successo?» ansimò Elena.

«Non lo so,» rispose Luca. «Ma l’ho capito: non è solo acustica. È una tecnologia.»

Il giorno dopo, analizzarono i dati. Le onde sonore non erano casuali: seguivano una sequenza numerica precisa, una progressione matematica che Luca riconobbe come la serie di Fibonacci.

«È impossibile,» disse Elena. «Questo implica conoscenze avanzatissime di acustica e matematica. E stiamo parlando del VI secolo a.C.»

Luca ricordò un antico testo che aveva studiato: un frammento attribuito a un sacerdote etrusco che parlava di una “porta del cielo” costruita nella pietra, che si apriva solo con il giusto canto.

«Forse questa è quella porta,» mormorò.

Elena lo guardò, incredula. «Vuoi dire che… questa piramide è un congegno?»

«Sì. E funziona ancora.»

Nei giorni successivi continuarono gli esperimenti. Scoprirono che producendo certi suoni, battendo le mani o cantando determinate note, la piramide rispondeva. Le pareti vibravano, amplificando le frequenze e creando un effetto di risonanza che faceva percepire voci, ombre, visioni.

Una notte, tentarono un esperimento più audace. Luca, che conosceva la lingua etrusca arcaica, provò a recitare un’invocazione trascritta in un antico rituale funerario.

Al termine delle parole, un bagliore si accese sulla sommità dell’altare. Elena gridò: «Lo vedi?»

Un fascio di luce si alzò verso il cielo, come un raggio. Il suono divenne un coro, centinaia di voci che cantavano all’unisono. Luca sentì una pressione nella testa e per un attimo si trovò altrove: un’immagine di uomini e donne vestiti di bianco, raccolti sulla piramide, che cantavano. Poi un volto, antico e severo, che lo fissava.

Quando la visione svanì, Luca era in ginocchio. Elena lo sorreggeva.

«Cosa hai visto?»

«Loro,» disse lui con un filo di voce. «Gli etruschi. E credo che volessero dirci qualcosa.»

Il resto della storia si diffuse tra gli studiosi. I dati acustici, le registrazioni, le analisi delle vibrazioni dimostravano che la piramide era stata progettata per funzionare come un gigantesco strumento musicale, in grado di generare risonanze che alteravano la percezione sensoriale.

Alcuni la definirono una primitiva camera anecoica inversa, altri un portale spirituale. Ma per Luca ed Elena era diventata qualcosa di più di un oggetto di studio: era un messaggio.

Un messaggio che diceva che, secoli prima di Pitagora, qualcuno aveva compreso che il mondo era fatto di numeri, di suoni, di armonia. E aveva lasciato quell’opera perché un giorno, qualcuno potesse ascoltarla di nuovo.

Quella sera, mentre il sole tramontava dietro la valle, Luca ed Elena salirono di nuovo in cima. Si sedettero sull’altare, in silenzio.

Il vento soffiava tra gli alberi, e il suono tornò: basso, vibrante, familiare.

«Forse non scopriremo mai tutto,» disse Elena.

«Forse no,» rispose Luca. «Ma è bello sapere che ci parlano ancora.»

Chiuse gli occhi, lasciando che il canto antico li avvolgesse. Non era più paura, né mistero. Era come tornare a casa.

Il Mistero Della Piramide Di Bomarzo testo di Edgar Ros
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