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Resto immobile
nel punto dove il mondo mi trattiene.
Ma dentro qualcosa si muove,
trova una fessura sottile, si allunga
e si orienta verso un nuovo spazio.
Allora capisco:
non sono fermo.
Cresco.
Dentro, oltre il silenzio.
La presenza non parla,
ma mi lascia sentire
la forza di un movimento che è solo mio.
Ora scivolo in avanti,
con passo più attento,
consapevole di ciò che accade dentro
e di ciò che posso lasciare andare.
All’improvviso lo sento:
la mente può piegarsi senza rompersi.
Non tutto ciò che mi raggiunge ha bisogno di un corpo.
Si apre un varco netto,
un lampo che non dovrebbe apparire lì:
non sono io a sentire la presenza…
è la presenza che mi usa per sentirsi.
Capisco una cosa sola, troppo tardi:
ci sono verità che non illuminano di luce propria,
ma sono solo riflessi di un’altra realtà distante.
Eppure, in quel riflesso, scorgo un respiro:
un frammento di ciò che potrei diventare,
se permetto al movimento interno
di crescere oltre il blocco, oltre la ferita, oltre il peso.
La presenza resta, silenziosa,
ma ora non mi paralizza:
mi guida verso spazi che non avevo visto,
dove il buio non è assenza,
ma energia che pulsa.
Mi muovo, allora, senza fretta,
sapendo che ogni passo è traccia
di ciò che ho lasciato andare,
di ciò che mi attraversa,
di ciò che mi ricorda:
anche quando tutto sembra fermo,
c’è sempre una fessura
dove il mondo non decide per me.