CIAO CARA, BUON NATALE

scritto da Bondorello
Scritto 14 anni fa • Pubblicato 14 anni fa • Revisionato 14 anni fa
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Autore del testo Bondorello

Testo: CIAO CARA, BUON NATALE
di Bondorello

Rabbrividisco. Sì, rabbrividisco al solo pensiero di tornare sul luogo della lite avvenuta tra me e mia moglie.
Entro nel vicolo a senso unico e fermo la macchina proprio davanti al cancelletto di legno. La strada è allagata, e in casa non sembra esserci nessuno: tutte le luci sono spente e l’unica macchina parcheggiata davanti alla mia è quella del vicino di casa, un noto avvocato molto puntiglioso che si attacca a tutto pur di averla sempre vinta. Esattamente come Monica.
Io l’avevo avvertita che tra di noi era tutto finito. Ieri, al telefono, le avevo chiaramente detto come stavano le cose, solo che lei non ne voleva sapere di rassegnarsi. Mi aveva rammentato del pranzo di Natale dell’anno scorso quando, seduti in soggiorno intorno al caminetto, avevamo scartato i regali insieme ai bambini ancor prima di mangiare. Laura era fiera del vestitino nuovo che aveva indosso mentre Andrea era intento a sfogliare con orgoglio il suo nuovo libro sugli animali; sì, tutto molto bello, ma io cosa potevo farci? E cosa posso fare ora?
È quello che mi chiedo mentre aspetto che ritornino.

Poco prima di arrivare qui sono passato da Renato. Ha davvero uno splendido pub in pieno stile irlandese, e non mi è affatto dispiaciuto sedermi al bancone in attesa della solita birra media con le immancabili patatine fritte. Poi, mentre me le gusto una ad una così come sono (senza cioè l’aggiunta di salse varie), osservo i clienti che si alternano al bancone, serviti quasi sempre dalla stessa ragazza. Uno in particolare, con indosso una camicia a strisce, mi colpisce più degli altri: mi si siede accanto e si accende una sigaretta nell’attesa di essere servito. Qualcuno si alza in piedi e gli fa notare che in un locale chiuso non si può fumare, ma lui non sembra farci caso e chiama ad alta voce la ragazza. Si chiama Lara e non sembra essere molto contenta di vederlo; ad ogni modo si avvicina e gli chiede cosa ci sta facendo lì e perché non è rimasto a casa. Lui risponde sbuffando che ha già messo a letto i bambini e che ha deciso di andare a bere qualcosa in giro. Lei si allontana lungo il bancone ignorando la sua ordinazione e lui si alza di scatto dallo sgabello per poi risedersi subito dopo.
Poi si gira verso di me: “Lo vedi come sono le donne?” mi dice. “Sempre a dirti tutto quello che devi fare in questa cazzo di vita.”
Annuisco.
“E’ bella, vero?” mi chiede volgendo lo sguardo verso di lei.
“Sì” gli rispondo. Avrei voglia di alzarmi e di andarmene approfittando del fatto che mi sta dando le spalle, ma qualcosa m’impedisce di farlo; un rimorso di coscienza forse, o semplicemente non mi va giù l’idea di avanzare delle patatine fritte così buone. Ad ogni modo lascio che continui.
“E tu invece? Sei sposato?” mi chiede girandosi verso di me.
“Sì, sono sposato con una donna bellissima” gli rispondo. “Però la nostra relazione da un anno a questa parte non funziona più come dovrebbe.”
“Ah sì?” mi chiede lui. “Anche tra me e Lara le cose non stanno andando bene. Io l’adoro, ma lei mi riprende in continuazione: non fare questo, non fare quello, metti a posto lì, pulisci là, mai un attimo di tregua…. è vero, ho fatto dei casini in passato, ma ora vorrei rimediare e lei non mi dà mai l’opportunità di farlo. Capisci cosa voglio dire?”
Annuisco e mi alzo dallo sgabello. Mi dirigo verso il bagno lasciando da solo quel bell’imbusto; mi avvicino al lavandino, apro il rubinetto e mi sciacquo il viso. Mi guardo poi allo specchio e mi accorgo di non essere più il giovincello di una volta, perché le rughe sotto gli occhi stanno aumentando. Sollevo le spalle, esco, e vado a pagare il conto; prima di andarmene però, lancio una breve occhiata al bancone e mi accorgo che il posto di quel tizio è stato occupato da un altro, poiché lui è in piedi intento a litigare con Lara, probabilmente per non essere stato servito o per chissà quale altro motivo.

Anch’io ho litigato con mia moglie. Dopo quel fottuto pranzo di Natale, i bambini erano andati nelle loro camere mentre io ero rimasto davanti al fuoco del caminetto per scaldarmi ancora un po’ poiché soffrivo (e soffro tutt’ora) il freddo, soprattutto alle gambe. Monica era andata invece in cucina e ad un tratto l’avevo sentita maledire il pezzo di torta che le era caduto per terra. Io ero rimasto fermo al mio posto senza dire una parola e, quando Monica era tornata in soggiorno per raccogliere dal tavolo i bicchieri e le posate, non mi aveva neanche degnato di uno sguardo. Ero stanco della sua freddezza nei miei confronti: si era forse arrabbiata con me perché non l’avevo aiutata prima di pranzo ad apparecchiare la tavola? O magari perché giorni prima le avevo inavvertitamente fatto cadere per terra il suo vaso da fiori preferito?
Così mi ero deciso: “Senti cara, me lo spieghi una volta per tutte cosa c'è che non va?” le avevo chiesto alzandomi in piedi.
“Non credo che la cosa debba interessarti” mi aveva risposto. Il suo sguardo era così feroce che sembrava quasi 'bloccarmi'.
"Lo credi davvero?"
"Certo" aveva replicato lei. "Sono argomenti troppi seri per uno come te."
Quella sua risposta mi aveva letteralmente 'stordito'. Mi ero rimesso a sedere e avevo fissato lo sguardo sulla grata del caminetto, dove il bel fuoco di prima si stava lentamente spegnendo. Avrei voluto avere qualcosa da rigirarmi per le mani, ma intorno a me non c'era nulla di adatto allo scopo.
"E quali sarebbero questi argomenti?" le avevo poi chiesto.
"Oh", aveva sbuffato lei. "Ti sei forse dimenticato di avere una famiglia? Una moglie? Dei figli?"
"Ovviamente no" avevo risposto io.
"Ma sentilo. Non se ne è dimenticato, meno male. E allora perché passi tutto il giorno seduto a leggere quelle maledette riviste di economia?"
"Perché mi aiutano in qualche modo a mantenermi 'vivo'. E' il mio lavoro in fin dei conti, no?"
"Già, è vero. Peccato che ti abbiano licenziato, signor Bonetti, e che non gestisci più il reparto di contabilità dell'azienda. O l'hai forse dimenticato?"
Avevo corrugato la fronte. 'Ridimensionamento del personale' l'avevano chiamato, una maniera 'gentile' per dire a me e ad altri trecento dipendenti che il rapporto di lavoro con loro era terminato. 'Tanto c'è la flessibilità' aveva affermato qualcuno scrollando le spalle con una noncuranza che a me pareva assai strana, ma in realtà la verità era (ed è tutt'ora) che, superata la soglia dei quarant'anni, trovare un lavoro è sempre più difficile. Sei troppo esperto, e di questi tempi tutti vogliono risparmiare...
Accendo l'autoradio, poiché l'attesa si sta facendo più lunga del previsto e voglio distrarmi un po'. Stanno trasmettendo 'Ordinary World' dei Duran Duran, e ad un tratto mi chiedo come sia in effetti la mia 'vita ordinaria'. Ogni mattina mi alzo dal letto e mi sento addosso una sensazione di vuoto che non riesco a spiegarmi. A volte chiudo gli occhi e immagino la classica scenetta della famigliola felice: la mamma buona e premurosa che saluta dalla finestra il marito che accompagna i bambini a scuola. I suoi denti sono bianchissimi, e il suo sorriso è così sincero e rassicurante che quel brav'uomo riuscirà sicuramente a sopportare una dura giornata di lavoro, caratterizzata dai colleghi invidiosi e da un capoufficio che non gliene darà mai vinta una. Poi li riapro e mi ritrovo dentro lo squallido appartamento microscopico in cui vivo. Davanti alla mia finestra si staglia, in tutta la sua 'maestosità', il classico palazzo popolare che tutto fa, tranne che rassicurarti. Che fine ha fatto Mario, il mio amico più intimo? Che fine hanno fatto tutti quelli che conoscevo fino a qualche anno fa? E, quasi senza accorgermene, mi ritrovo il viso rigato dalle lacrime, amare come le sofferenze che ho dovuto subire in tutti questi anni...

Da quanto tempo sono qui fermo ad aspettare? Da quasi un'ora credo, ed inizio a sentire il solito maledetto freddo alle gambe. Cerco di muoverle e di distrarmi un po', pensando alle persone che ho guardato guidando in questi giorni, tutte indaffarate a rientrare al più presto nelle rispettive case e cariche di pacchi e di buste della spesa in barba alla più nera delle crisi. D'altra parte Natale è ormai alle porte, e bisogna prepararsi in tempo per il pranzo, no?
Io invece me ne infischio delle feste e non faccio altro che osservare il cielo, questo grande spazio immenso che sembra non avere mai fine, e mi rendo ben presto conto che è pieno di fiocchi. Dapprima iniziano a scendere lentamente, quasi come se avessero paura di posarsi per terra; poi, a mano a mano che il tempo passa, cadono sempre più velocemente e mi ritrovo ben presto la macchina coperta di neve. Se voglio tornare a casa devo affrettarmi a ripartire: la strada da fare è infatti davvero tanta e ci vogliono almeno due ore per percorrerla in condizioni normali (figuriamoci con un tempo del genere). Iniziò così a girare la chiave e mi accorgo, con un certo rammarico, che la macchina non parte. Mi chiedo quale possa essere il motivo, la batteria scarica, l'umidità, o chissà cos'altro ancora, ma il risultato è sempre lo stesso: la macchina non si sposta di un millimetro.
Osservo, sempre più preoccupato, la neve che si accumula sui tetti e nelle fessure delle case circostanti, cercando nel frattempo di ricordarmi qual è il numero verde del soccorso stradale da chiamare. Poi, all'improvviso, sento in lontananza quello che sembra essere il rumore di un motore. Do allora un'occhiata veloce allo specchietto retrovisore e scorgo in effetti la luce dei fari di un'auto che si sta avvicinando. Scendo così in fretta e furia dalla macchina e mi piazzo nel bel mezzo del vialetto; l'auto frena bruscamente e per poco non m'investe. Il conducente apre lo sportello e scende; mi accorgo quasi subito che è una donna, che è bionda, che ha le lentiggini e che porta degli stupidi orecchini blu a forma di cerchio, che è lei, è Monica...

Mi sento insignificante di fronte a lei, colto da un rimorso di coscienza che non riesco proprio a spiegarmi. In fin dei conti non credo di aver fatto nulla di sbagliato: cosa c'è di male nel pensare al proprio lavoro, soprattutto quando ce l'hai più? E nel farlo, ho forse trascurato la mia famiglia? Non credo proprio.
In questo momento vorrei tanto essere qualcun altro, un uomo normale che alla vista della sua amata le corresse incontro dicendole 'Ciao cara, buon Natale' e lei, di rimando, gli darebbe un bacio sulla guancia e lo farebbe immediatamente accomodare in casa per non farlo morire di freddo. E invece mia moglie mi fissa con i suoi occhi azzurri, meravigliosi ma allo stesso tempo tristi, così come il suo sguardo. E' anche dimagrita dall'ultima volta che ci siamo visti, ed ho come l'impressione che da un momento all'altro non riesca neanche più a reggersi in piedi, proprio come me che faccio sempre più fatica a camminare e che vengo spesso colto da dei dolorosissimi crampi allo stomaco che nessuna medicina riesce a farmi passare.
Monica si accende una sigaretta ed, io quasi senza accorgermene, gliela tolgo dalla bocca e la butto per terra.
“Che fai adesso? Ti preoccupi anche della mia salute?” sbuffa lei.
“Dove sono i bambini?” le chiedo io. “Ho tanta voglia di vederli per fargli almeno gli auguri.”
“Sono da mia madre se proprio vuoi saperlo” risponde lei lanciando un'occhiata al cielo grigio. “E sono tornata qui solo per prendere i regali.”
“Ho la macchina che non parte” le dico.
“Come scusa è abbastanza scontata” mi risponde lei abbozzando un sorriso.
“Nessuna scusa Monica. La macchina non parte sul serio, ed io non so cosa fare.”
“E non hai pensato di chiamare il carroattrezzi?”
“Il carroattrezzi!” esclamo io. “Se continua a nevicare così mi sa che dovrò chiamare il gatto delle nevi.”
Monica scuote la testa. “Sei sempre il solito, non cambierai mai.”
“Senti chi parla” le dico.
All'improvviso le nostre mani si toccano, le dita s'intrecciano e le sua labbra si posano sulle mie. Un brivido di piacere mi corre lungo tutta la schiena, e vorrei che quest'attimo non finisse mai. Ma lei mi posa delicatamente le mani sul petto e mi allontana leggermente, quasi come se si sia pentita del bacio che mi ha appena dato; mi osserva a lungo, chiedendosi forse quali siano le mie vere intenzioni e poi, proprio mentre sto iniziando a rassegnarmi, avvicina la sua bocca al mio orecchio e mi sussurra le parole 'Ti amo'.
Io l'abbraccio con forza, quasi come se abbia una strana paura di perderla e poi, senza rendermi conto di quanto tempo stia effettivamente passando, le chiedo: “Senti Monica, possiamo entrare in casa? Io qui mi sto congelando tutti i piedi.”
Scoppiamo entrambi a ridere e ci avviamo verso il cancelletto...
CIAO CARA, BUON NATALE testo di Bondorello
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