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SONO NATO DAI TUOI FIANCHI
A che serve un poeta, se non a cantare
di bellezza e dolore;
dell'appassire di un fiore
o d'un amore che muore? Che germogli o finisca
una storia qualunque,
come il sogno egli nasce di notte
e ne traccia la rotta.
"Son belli i tuoi fianchi
torniti dal sole;
guarniti di perle e di te".
Lo scrive nei modi che sa,
con i moti e le ondate,
e le voci che gli salgon di dentro.
Lo dice, a quell'ora del buio
alla sua solitudine, alla debole luce;
o lo affida in inchiostro di fragole e more
al pallido foglio, ignaro custode
di quella musica antica.
"Li vesti della tua fine eleganza
e fiera di loro li porti con te: pennellate
d'onde sinuose nell'aria che gode,
come quelle del mare che hai appena lasciato".
Son versi anche quelli,
son note spontanee. Pianto di un Cosmo
appena alla vita affacciato.
Miracolo di una lingua mai studiata;
fiorita all'ombra attonita
e al muto incanto
di un monosillabo confuso
d'un occhio innamorato.
"Ode l'orecchio
la voce d'un afflato
issarsi dal tuo ombelico nudo.
Sollievo della terra.
Muore, sui tuoi fianchi
il mio sonno.
Nel tuo respiro vagisce
il mio respiro.
Esco alla luce dalla tua arnia divina.
Da quel tuo sacro cenote,
io germoglio;
e col tuo Sancta Sanctorum
simulacro di Eros, a te mi trattieni e mischi
come idromele nel calice.
Sono pianta; e tu la mia radice".