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Tutta la vita a tappare falle:
se a una metto toppa, l’altra s’apre.
Tutta la vita a stritolarmi il cuore,
ma sempre indosso la cravatta.
Io
in una casa di mattoni e di latta
di nastro adesivo
(ci si arrabatta)
col mocio e il secchio
(ci si arrabatta)
la tiravo lucida “perché se arriva qualcuno”.
Arrivava il temporale.
E io
sbarravo le finestre con la
colla, pie
gato
con il collo pie
gato.
Il vento riportava tutto il marcio:
e via col mocio.
Basta.
Con l’uragano che s’appressa, dunque,
mi perderò a riordinare le lettere di un libro
scompigliate,
pescandole da un mucchio,
come i passeri nel vento
mescolate.
Sarò nessuno.
Forse la libertà appartiene
a chi non si cura degli errori ortografici;
a chi fa tutto come fosse il nulla
oppure il nulla come fosse tutto.
Mentre io con un martello a martellate
(sempre indosso la mia cravatta)
faccio a pezzi le finestre e le lapidi,
faccio a pezzi le pa
role
e chiedo scusa
se ho anticipato il temporale,
chiedo scusa.