La tua vita in un monastero...

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Testo: La tua vita in un monastero...
di Old Typewriter

Frate Alcuino di Carvaldo 

LA TUA VITA IN UN MONASTERO 
COME COPISTA DI 
MANOSCRITTI MEDIOEVALI 

- XXVII Decembris MCMLXIX -


Introduzione 
La paternità del breve ma inteso trattato 
“La tua vita in un monastero come copista 
di manoscritti medievali”, è da attribuire, 
secondo alcuni studiosi, a Frate Alcuino di 
Carvaldo. 
Sebbene il manoscritto sia rimasto 
anonimo, lo stile del linguaggio, ricco e 
meditativo, insieme ai dettagli intricati della 
vita monastica, ha portato diversi esperti a 
riconoscere in queste pagine lo spirito e la 
sensibilità tipici di Frate Alcuino. 
Il trattato rappresenta una guida 
spirituale per chiunque intraprenda l’arte 
della copiatura, non solo come esercizio di 
tecnica ma come un cammino di crescita 
interiore. Le descrizioni contenute nel testo 
sono precise e al contempo poetiche, 
descrivendo minuziosamente l’organizzazione
della giornata monastica: le ore di 
preghiera, il silenzio come compagno fidato, 
e il lento avanzare delle giornate scandite dal 
 lavoro paziente di copiatura.  Ogni parola 
rivela un’attenzione profonda alla 
spiritualità insita in ciascun gesto, e le 
pagine dedicate all’arte della scrittura 
trasmettono un senso di rispetto quasi sacro 
per l’inchiostro, le pergamene e gli 
strumenti del copista, paragonati agli 
strumenti di una liturgia silenziosa e 
personale. 
Il testo esplora anche le prove interiori 
che il monaco copista affronta: il peso della 
solitudine, il sacrificio della rinuncia al 
mondo, e la pazienza che si costruisce 
giorno dopo giorno, linea dopo linea, in un 
lavoro che sembra interminabile eppure è 
pieno di significato. 
Alcuni passaggi rivelano un’intimità che 
molti studiosi trovano tipica di Frate 
Alcuino: “Ogni tratto della penna, se fatto 
con devozione, è una preghiera muta; ogni 
parola trascritta, un dialogo tra la mente e 
l’anima.” 
Molti ritengono che il trattato sia stato 
concepito da Frate Alcuino come una sorta 
di testamento spirituale, destinato a coloro 
che avrebbero seguito il suo cammino, per 
ispirarli a trasformare l’umile mestiere di 
copista in un’opera sacra, in cui la scrittura 
si eleva a rito, e ogni pagina diventa un’offerta. 
Questa capacità di unire l’artistico e 
quello mistico dell’aspetto lavoro ha portato 
gli studiosi a riconoscere in questo trattato 
una delle testimonianze più preziose della 
visione medievale della fede vissuta tramite 
l’arte e il lavoro. 


Breve nota biografica. 
Frate Alcuino di Carvaldo (1128 - 1196) 
nacque in un piccolo villaggio delle 
Ardenne, dove trascorse i suoi primi anni 
tra i boschi e le colline, sviluppando un 
legame profondo con la natura e il silenzio. 
Figlio di un fabbro e di una tessitrice, 
Alcuino dimostrò fin da giovane 
un’attenzione particolare per i dettagli e una 
mente curiosa, qualità che lo portarono a 
frequentare il monastero locale, dove ebbe i 
primi contatti con i manoscritti. Affascinato 
dalle pagine piene di parole sacre, trovava 
nella scrittura e nelle illustrazioni un mistero 
che lo rapiva, e a soli quattordici anni decise 
di entrare in monastero come novizio. 
Dopo anni di studio e disciplina, frate 
Alcuino scoprì il talento per la calligrafia. La 
sua mano era ferma e paziente, capace di 
tracciare linee eleganti e accurate. Fu allora 
che un monaco anziano, frate Ruggero, 
notò in lui un’abilità particolare e lo iniziò 
all’arte della copiatura, spiegandogli che 
ogni lettera doveva essere scritta come fosse 
una preghiera. Ogni parola copiava la verità 
sacra, e ogni tratto della penna sul foglio era 
un atto di fede. 
Nel 1156, dopo aver dimostrato la sua 
devozione e la sua abilità, fu inviato 
all’Abbazia di Saint-Michel, un centro 
rinomato per la trascrizione e la 
conservazione di manoscritti antichi. Fu qui 
che la sua vita cambiò: l’abate, 
impressionato dal suo stile delicato e dalla 
capacità di frate Alcuino di aggiungere 
piccole miniature a margine delle pagine, lo 
incaricò di trascrivere e decorare le copie dei 
testi più preziosi dell’abbazia, incluse le 
Sacre Scritture e alcuni trattati scientifici 
antichi. Per anni, frate Alcuino trascorse le 
sue giornate chino sui testi, copiando parola 
per parola e aggiungendo dettagli 
ornamentali, che divennero la sua firma artistica. 
 Frate Alcuino divenne famoso 
nell’abbazia per l’attenzione maniacale che 
dedicava al suo lavoro: era capace di 
trascorrere giorni interi su una sola pagina, 
affinché ogni lettera e ogni immagine 
fossero perfette. Spesso si perdeva nel 
significato dei testi che copiava, meditando 
su ogni frase e sviluppando una profonda 
comprensione spirituale che lo avvicinava 
sempre più a Dio. A volte, tra i margini dei 
manoscritti, inseriva simboli che 
rappresentavano la natura, come piccole 
foglie o uccelli, un tributo alla sua infanzia e 
alla bellezza della creazione. 
Negli anni della sua vecchiaia, Frate 
Alcuino venne riconosciuto come un 
maestro tra i copisti. Quando le sue mani 
iniziarono a tremare e la vista a indebolirsi, 
fu chiamato a formare i giovani monaci, 
trasmettendo loro non solo l’arte della 
copiatura ma anche l’importanza di vivere 
ogni parola come un atto di fede e 
devozione. Prima della sua morte, nel 1196, 
completò il suo ultimo manoscritto: 
un’edizione miniata del Vangelo di 
Giovanni, che divenne il tesoro del 
monastero. In memoria del suo straordinario 
contributo, l’abbazia dedicò una cappella 
alla sua figura, ricordando per sempre il 
“Copista della Luce”, come era chiamato 
dai suoi fratelli monaci.



1. 
Immaginando la tua vita entro le mura di 
un monastero, ove assumi l’umile ufficio di 
copista di manoscritti sacri, t’inoltreresti in 
un ritmo quieto e solenne, scandito da gesti 
che di antichità portano il peso e il mistero. 
Ti troveresti avvolto in atmosfere di 
silenzio profondo, simile al respiro della 
notte o al mormorio dei chiostri, e qui ogni 
pensiero s’acquieta, ogni moto dell’animo 
trova il suo riposo. 
E in tale calma, ogni tua azione, pur 
semplice e umile, s’innalza a dono profondo, 
assumendo un senso che trascende il 
mondo fugace e parla dell’eterno. 


2. 
Il monastero s’erge qual saldo ricetto, 
scampo dal tumulto e dal fragore del 
mondo, luogo ove il tempo par distendersi 
e rallentare, sì che quasi sospende il suo 
corso. Qui l’anima si dona a una quiete vetusta, 
e l’istante si fa eterno, conducendoti a 
dimorare in una contrada remota e 
benedetta, ove il presente s’intreccia col 
passato e ogni cosa risplende della luce del sacro. 


3. 
Ogni dì, ancor prima che l’aurora tingesse 
i cieli, saresti destato dal sacro rintocco della 
campana, che annunzia l’ora della preghiera. 
La tua cella sarebbe un’umile dimora, 
spoglia e priva d’ornamenti, fornita sol di 
ciò che al necessario s’attiene: un giaciglio 
semplice per il riposo, un inginocchiatoio 
per le devote suppliche, e uno scrittoio su 
cui troveresti i pochi strumenti di cui 
abbisogni nel tuo santo ufficio: pennini, 
calamai e pergamene, li umili arnesi del 
copista, con cui l’anima si fa penna e 
l’inchiostro si trasmuta in parola viva. 


4. 
All’alba, daresti principio al tuo dì 
accendendo una candela, lo cui fievole lume 
riverbera sovra le austere pietre della tua cella. 
In tal gesto semplice e devoto, avvertiresti 
un sacro invito alla luce interiore, un’umile 
esortazione alla quiete dell’animo e alla 
ferma serenità con la quale apprestarti alle 
opere del dì. 
Così, nella fiamma che rischiara il buio, 
scorgeresti il simbolo della divina pace, che 
guida il tuo spirito lungo il sentiero del 
servigio e della contemplazione. 


5. 
Appena fuoriuscito dalla tua cella, le 
prime luci dell’aurora s’insinuerebbero 
dolcemente attraverso le strette finestre del 
monastero, tracciando sottili strisce di lume 
dorata lungo le nude pareti e sulle pietre 
grigie e irregolari che compongono la sacra 
dimora. 
Questi raggi, rischiarirebbero qual le 
dita celesti, ombre dell’antico 
edificio, recando con sé un riverbero di pace, 
quasi a ricordare la divina presenza che 
permea ogni pietra e ogni angolo di cotesto 
santo ricetto. 
La luce sarebbe tenue e velata, simile a 
una dorata bruma, e l’atmosfera nel 
monastero parrebbe sospesa, come avvolta 
in un silenzio sacro, mentre il dì scaccia con 
lenta grazia le ombre della notte. 
Dopo un breve momento di 
raccoglimento, ti recheresti alla biblioteca, 
luogo intimo e solenne, ove gli scaffali 
traboccano di pergamene manoscritte e di 
antichi libri dal cuoio logoro, legati con 
somma cura e perizia, taciti testimoni della 
sapienza tramandata e del sacro officio al 
quale sei chiamato. 


6. 
In questo luogo ovattato e discosto dal 
tumulto del mondo, prenderesti a compiere 
il tuo lavoro di copista. 
Con devota diligenza appronteresti ogni 
cosa: mescoleresti gl’inchiostri con mano 
attenta, sceglieresti il pennino più adatto al 
tratto da imprimere, accarezzando il velluto 
delle pergamene come fosse cosa sacra e 
con sguardo attento veglieresti su ogni 
dettaglio, affinché tutto fosse ordinato e 
pronto prima di tracciare il primo segno. 
Così, nell’aura silente che tutto abbraccia, 
ti accingeresti alla trascrizione, conscio che 
ogni parola è preghiera e ogni tratto, offerta 
al Divino. 
Lavarsi le mani innanzi a toccare la 
pergamena, per esempio, non sarebbe mera 
consuetudine, bensì atto di riverente 
rispetto verso il sacro testo e verso l’onore 
del compito a te affidato.

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