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T’aspettavo a piedi nudi sotto il cedro,
le dita mute a scrivere t’amo sul tronco rude,
un tappeto soffice d’aghi e gonne striscianti
e l’attesa che trasformava gli occhi in diamanti.
T’aspettavo per ricolorare i tramonti
dalla cima dei rami più alti,
cuor di gitana e capelli di vaniglia,
acini di rugiada impigliati tra ciglia.
Arrivavi al crepuscolo delle mie notti,
odorando d’abbracci e nebbie precoci,
cercavo stelle nel tuo sguardo
ma tu eri un animo dinamitardo.
Capelli incolti e sigaretta accesa,
mi guardavi da lontano, incedendo piano,
canzonandomi, per il libro che tenevo tra le mani,
tra le tue, sempre, quel fior di stagione
colto sulla via che porta il nostro nome.
Nel tronco è ancora inciso un cuore,
ma son orli di labbra divenute dimore
e nell’aria aleggia lo spirito di quel bacio zingaro,
sospeso tra specchi di resine e cieli indaco.