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Il pettinino di Tania
Tra i rami dell’albero è rimasto impigliato un piccolo pettinino di plastica colorata, di quelli usati per intrecciare i capelli. È il simbolo di Tania, una bambina del Bangladesh che portava sempre acconciature particolari, eleganti e curate, specchio della sua cultura e della sua delicatezza.
Tania aveva due genitori presenti e un rendimento scolastico brillante: voti che oscillavano tra l’otto e il dieci. Una studentessa modello, educata, rispettosa, con un sorriso che accendeva la stanza. E allora perché era al centro diurno? Perché Tania, pur avendo una famiglia stabile e risultati eccellenti, non era accettata da nessuno. Non dalla comunità italiana, che la guardava come “diversa”. Non dalla comunità bengalese locale, che la giudicava troppo distante dalle proprie regole. Nemmeno dai coetanei, che la escludevano dai giochi, dalle chiacchiere, dalle amicizie.
Il padre gestiva un negozio, e per lei le giornate erano spesso interminabili: uscita da scuola stava ore e ore dietro il bancone, fino a sera. Tania aveva bisogno di respirare, di parlare, di giocare, di essere semplicemente una bambina. Al centro trovava questo spazio: con la sua risata limpida, con la grazia dei suoi modi, con la pacatezza che colpiva chiunque la incontrasse.
Era una ragazzina piena di doni da offrire, ma poche erano le occasioni in cui qualcuno glieli accoglieva. Nel giro di un anno e mezzo, piano piano, prese coraggio e costruì qualche amicizia: legami fragili ma veri, piccoli semi di fiducia. La sua situazione familiare e sociale non cambiò radicalmente, ma un po’ di luce filtrò tra le fessure.
Ricordo la gioia di incontrarla, dopo qualche anno, in un parco. Non era sola: c’era con la mamma, insieme ad altre donne e bambine. Non so se fossero parenti, vicine o nuove conoscenze, ma non importava. Importava che finalmente c’era uno spazio di socialità, un contesto in cui Tania e sua madre potevano sentirsi parte di una città, non più isolate.
Il pettinino rimasto sull’albero parla di identità e di appartenenza. Ci ricorda che anche chi sembra avere “tutto a posto” — la famiglia, la scuola, i voti — può vivere il dolore dell’esclusione e il bisogno profondo di essere accolto. L’educazione non è solo accompagnare chi fatica apertamente, ma anche riconoscere chi, silenziosamente, porta il peso di un isolamento che non ha scelto.
Tania ci insegna che la delicatezza è una forza, che l’integrazione si costruisce con piccoli gesti quotidiani e che ogni bambino, indipendentemente dalla cultura o dai voti, ha diritto a un posto nel gioco e nella vita.
Il nostro stile: l’educazione esperienziale
Come avrete intuito dalle pagine di questo libricino, il nostro stile educativo non è teorico né distaccato: è esperienziale. Significa che i bambini e i ragazzi non vengono semplicemente “istruiti”, ma vivono esperienze concrete – laboratori di cucina, teatro, giochi, sport, arti visive – che diventano storie da raccontare. Il Centro Diurno non è un’aula scolastica parallela, ma un luogo in cui le esperienze si trasformano in narrazione e la narrazione diventa esperienza condivisa. Un grembiule, un pallone, una penna o un pettinino non sono solo oggetti: sono tracce di vita, segni concreti che raccontano percorsi di crescita. Per questo motivo, la scrittura di questo libricino non è un esercizio letterario: è un atto educativo.
Raccogliere storie significa restituire dignità, aprire spazi di riflessione, far sì che ciò che è accaduto a ciascun bambino colpisca cuore e mente di una società che dovrebbe tutelarli. L’albero delle cose lanciate sopra è un luogo vivo, che continua a crescere, a cambiare, a raccogliere nuovi oggetti e nuove storie. Ogni bambino, ogni ragazzo che passa lascia un segno, una traccia, un frammento di vita. Educare non è un lavoro perfetto, ma un incontro: fragile, faticoso, eppure pieno di bellezza e di speranza. Significa accompagnare i bambini e i ragazzi a scoprire chi sono, a esprimere ciò che sentono, a costruire il loro futuro. L’albero delle cose lanciate sopra è qui per ricordarcelo: ogni bambino merita di essere ascoltato, ogni storia merita di essere raccontata, ogni oggetto merita di essere custodito.
Perché educare è, prima di tutto, un atto di amore.
LUIGI PAULESU