Non passa giorno in cui la mia mente non sia turbata quando rifletto sulla vita e la morte e l'eternità, mi commuovo sempre perché avverto una perdita di orientamento che nella mia quotidianità è piena di nuove scoperte che non ho mai sperimentato.
Quando sono sui monti se smarrisco un sentiero, con la mappa e la bussola, ritrovo la via principale che mi porta alla meta.
Esplorare questi temi e avverto un sentimento di ansia, poi i dubbi sulla mia limitazione nella comprensione di questi argomenti che da sempre mi hanno affascinato.
Rifletto, mi immergo in uno stato mentale in cui riesco a visualizzare quando il mio corpo inizierà a putrefarsi, sapendo che ciò accadrà pure a chi diffonde costantemente pettegolezzi, a chi partecipa ai banchetti dei massacri.
Poi, rifletto su un'altra questione: sulle gioie della vita, sulla morte e infine sulla resurrezione.
Mi chiedo: cosa rappresento se non una coincidenza, dato che il fine sarà inevitabilmente la morte?
Come al mio solito vagheggio sulla concezione dell'anima e riemergono domande, dubbi che riecheggiano come il ricordo del sacrificio necessario compiuto per arrivare dove sono ora, ma non solo, mi sovviene l'emancipazione, il perdono dato e ricevuto, la fame nel mondo, le guerre, le distruzioni e nel contempo il mio pensiero è rivolto alle meravigliose montagne che amo, al blu del mare che adoro e l'incontro con me stesso.
E se fosse proprio nella memoria l'habitat originale dell'anima?
Quante volte ho riflettuto su questa domanda e solo dubbi e incertezze; però tra queste comprendo che solo gli esseri viventi senza eccezioni hanno la capacità di ricordare, ma solo l'essere umano può percepirsi in modo oggettivo.
Io mi considero un'entità indeterminata e casuale.
E, Dio?
Il Dio benevolo che sa ogni cosa, descritto nei testi narrativi come un'entità superiore e, accogliente, supplichevole e al contempo signore e sovrano, e in quelle che sono definite le sacre scritture sempre in equilibrio tra opportunità e sacrificio.
Un Dio che ammonisce, che esclude e include in un disegno salvifico che avviene in ogni caso dopo la morte.
Ma c'era proprio bisogno della prova terrena per la salvezza nell'oltre?
C'era proprio bisogno di rendere così palesi le brutture dell'essere umano che compie atti che vanno dal genocidio, alla persecuzione, alle guerre?
E se in un altro universo, supponiamo quello che definiscono paradiso, le particelle trovassero un accordo con il divino e si sviluppassero e si interconnettessero nell'antecedente, mi riferisco ad ancor prima che fossimo nati, cosa avverrebbe? Una sola certezza, il dubbio.
Dubbio sempre e poi sempre questo maledetto dubbio testo di Attila