Colombi dell'inferno - Il richiamo della zuvembie

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di Robert Ervin Howard (Peaster, 22 gennaio 1906 – Cross Plains, 11 giugno 1936)
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Testo: Colombi dell'inferno - Il richiamo della zuvembie
di davi55

III-Il richiamo della zuvembie

Restarono tutti e due immobili per alcuni istanti, dopo il volo dei colombi.
“Bene, alla fine li ho visti anche io,” mugugnò Buckner.
“Soltanto i dannati li vedono, purtroppo,”disse a bassa voce Griswell. “Il vagabondo li ha visti.”
“Bene, vedremo,” rispose tranquillamente l’uomo del Sud, scendendo dalla macchina, ma a Griswell non sfuggì l’occhiata che inavvertitamente lanciò verso la sua pistola.
La vecchia porta pendeva dai cardini rotti. I loro passi risuonavano sul dissestato vialetto di mattoni. Le buie finestre riflettevano il tramonto come fossero incendiate. Come entrarono nella vasta anticamera Griswell vide sul pavimento, la striscia di tracce che andava dentro la camera, che segnavano il tragitto di un morto.
Buckner aveva preso delle coperte dall’automobile. Le distese davanti al camino.
“Io starò vicino alla porta,” disse. “Tu ti metterai dove stavi l’altra notte.”
“Accenderemo il fuoco nel caminetto?” Domandò Griswell, al pensiero dell’oscurità che avrebbe ammantato i boschi, una volta si fosse spento del tutto il tramonto.
“No. Tu hai una torcia come l’ho io. Resteremo sdraiati al buio e vediamo cosa succede. Puoi usare la pistola che ti ho dato?”
“Penso di sì. Non ho mai sparato, ma so come si fa.”
“Bene, lascia sparare a me, nell’eventualità.” Lo sceriffo si sedette a gambe incrociate sulla coperta e vuotò il tamburo della sua grossa rivoltella blu, ispezionando meticolosamente ogni cartuccia, prima di reinserirla.
Griswell andava avanti e dietro nervosamente, rammaricandosi del lento svanire della luce come un avaro rimpiange il minimo decrescere della sua ricchezza. Si appoggiò con una mano alla mensola del camino, guardando le ceneri ricoperte di polvere. Il fuoco che aveva prodotto quella cenere doveva essere stato acceso da Miss Elizabeth Blassenville, più di quarant’anni prima. Il pensiero era avvilente. Oziosamente rimescolò quella cenere con un dito. Qualcosa venne alla luce in mezzo ai resti del fuoco, un pezzo di carta sporco e ingiallito. Pigramente si piegò per tirarlo fuori dalla cenere. Era un blocco-note con il retro di cartone completamente rovinato.
“Cosa hai trovato?” Chiese Buckner, abbassando la luccicante canna della sua pistola.
“Soltanto un blocco-note. Sembra un diario. Le pagine sono coperte di scrittura, ma l’inchiostro si è così scolorito, e la carta è in uno stato di degrado tale che non posso dire altro. Come è possibile che sia finito nel fuoco senza bruciare?”
“Vi è stato messo molto tempo dopo, quando il fuoco era spento,” dedusse Buckner. “Probabilmente trovato e gettato da qualcuno che stava rubando qualcosa. Verosimilmente un analfabeta.”
Griswell sfogliava senza grande interesse le malridotte pagine, nella penombra, strizzava i suoi occhi sugli ingialliti scarabocchi. Ad un certo punto si irrigidì.
“C’è una parte ancora leggibile, ascolta!” Iniziò a leggere:
“Io so che insieme a me c’è qualcun altro nella casa. Che la notte, esso si aggira furtivamente, dopo il tramonto, quando la pineta è immersa nel buio. Spesso, nel buio, lo sento armeggiare dietro la mia porta. Chi è? E’ una delle mie sorelle? La zia Celia? Se è qualcuna di loro, perché si aggira per la casa di nascosto? Perché spinge contro la porta, per poi dileguarsi appena la chiamo? Dovrei aprire la porta e seguirla? No, no! Non oso! Ho paura. O Dio, cosa farò? Non ho il coraggio per rimanere qui, ma dove vado?”
“Mio Dio!” Sbottò Buckner. “Questo deve essere il diario di Elizabeth Blassenville! Continua!”
“Non posso leggere altro di questa pagina,” rispose Griswell. “Ma andando avanti posso ancora decifrare qualche riga.” Lesse:
“Perché tutti i neri sono fuggiti quando è scomparsa zia Celia? Le mie sorelle sono morte. Ne sono certa. Morte, mi sembra di avvertire, in una maniera orribile, nel terrore, tra i tormenti. Ma perché? Perché? Se qualcuno ha ucciso zia Celia, per quale ragione questa persona avrebbe ucciso le mie sorelle? Erano gentili con i neri. Joan..” Si fermò, scrutando inutilmente.
“Un pezzo della pagina è stato strappato. Ecco qui ancora qualche riga in un’altra data, a prima vista mi sembra una data. Ma non ne sono sicuro.”
“..l’orribile cosa alla quale hanno accennato i vecchi neri? Hanno nominato Jacob Blount, e Joan, ma non hanno parlato chiaramente; forse per paura.”
“ Da qui si passa a questo; poi:”
“No, no! Come può essere? Lei è morta, o andata via. E’ vero, è nata e cresciuta nelle Indie Occidentali, ma dagli indizi che ha disseminato in passato, so che si è avvicinata ai misteri del voodoo. Credo abbia persino danzato in una delle loro orribili cerimonie, come è potuta essere una creatura tanto orripilante? E questo, questo orrore. Dio mio possono esistere cose come questa? Non so più cosa pensare. Se è lei che si aggira di notte per la casa, che gratta alla mia porta, che fischia in quella maniera sfrontata e melodiosa: no, no. Sto impazzendo. Se resto qui da sola morirò senza che nessuno lo sappia, come è accaduto alle mie sorelle. Di questo, sono convinta”
La frammentata cronaca terminava improvvisamente come era iniziata. Griswell era così impegnato a decifrare la scrittura che non si rese conto che su di loro, era calata l’oscurità, a malapena cosciente del fatto che Buckner stava reggendo la torcia per farlo leggere. Ritornando alla realtà iniziò a lanciare rapide occhiate verso la buia anticamera.
“Che cosa pensi?”
“Ciò che avevo sospettato dall’inizio,” rispose Buckner. “Joan, la ragazza mulatta è diventata una zuvembie per vendicarsi su Miss Celia. Probabilmente odiava tutta la famiglia come odiava la sua padrona. Deve aver preso parte alle cerimonie voodoo nella sua isola fino a quando non fu ‘pronta,’ come ha detto il vecchio Jacob. Aveva soltanto bisogno della Mistura Nera, e lui gliel’ha fornita. Ha ucciso Miss Celia e le tre sorelle più grandi; ed avrebbe preso anche Elizabeth, ma per fortuna. Si è aggirata in questa vecchia casa per tutti questi anni, come un serpente tra le rovine.”
“Ma perché uccidere degli sconosciuti?”
“Hai ascoltato ciò che ha detto il vecchio Jacob. Una zuvembie prova piacere nell’uccidere esseri umani. Lei ha chiamato Branner su per le scale spaccando a metà la sua testa poi ha messo l’accetta nelle sue mani, quindi lo ha mandato giù per ucciderti. Nessun tribunale lo crederebbe mai, ma se possiamo portare il suo corpo, ci sarebbero prove sufficienti a dimostrare la tua innocenza. La mia parola sarebbe accolta, lei ha ucciso Branner. Jacob ha detto che una zuvembie può essere uccisa.. e nel riferire riguardo a questo affare non devo essere molto accurato nei particolari.”
“E’ arrivata ed ha guardato verso di noi affacciandosi dalla balaustra delle scale,” mormorò Griswell. “Ma perché non abbiamo trovato le sue tracce sui gradini?”
“Può essere tu l’abbia sognato, oppure che una zuvembie possa emanare una sua immagine, diavolo! Perché provare a razionalizzare qualcosa che è oltre i limiti della ragione? Su, iniziamo la nostra veglia.”
“Non spegnere la luce!” Scappò detto a Griswell. Poi aggiunse: ”naturalmente. Spegnila pure. Dobbiamo restare al buio come,” provò a scherzare, “io e Branner siamo stati.”
Ma la paura, come una malattia del fisico, lo assalì non appena la stanza piombò nell’oscurità. Giaceva tremando e il suo cuore batteva così forte che si sentiva soffocare.
“Le Indie Occidentali devono essere il posto più infestato del mondo,” bisbigliò Buckner, un ombra che si confondeva con la sua coperta. “Ho sentito parlare di zombie. Ma non avevo nessuna idea di cosa una fosse una zuvembie. Evidentemente un intruglio di droghe preparato dagli uomini del voodoo, può indurre la follia nelle donne. Questo, ritengo, non spiega le altre cose: i poteri ipnotici, la longevità fuori della norma, la capacità di controllare i corpi; no, una zuvembie non può essere semplicemente una donna impazzita.”
“E’ un mostro, qualcosa che più o meno somiglia ad un essere umano, un maleficio che germoglia in oscure paludi e foreste; bene, vedremo.”
La sua voce si zittì, nel silenzio Griswell ascoltava il battito del suo cuore.

Nell’oscurità del bosco un lupo ululò lugubremente, seguito dal verso di un gufo. Il silenzio scese di nuovo come una buia nebbia.
Griswell si sforzava di rimanere immobile, disteso sulla coperta. Il tempo sembrava non passare mai. Si sentiva soffocare. La tensione era salita ad un livello insopportabile; lo sforzo che faceva per mantenere il controllo dei suoi nervi scossi, ricopriva il suo corpo di sudore. Stringeva i suoi denti al punto che gli facevano male le mascelle, le unghie delle dita serrate affondavano nel palmo delle sue mani.
Si chiedeva cosa stesse aspettando. Il mostro avrebbe colpito ancora, ma come? Sarebbe stato ancora quell’orribile, melodioso fischio, i piedi nudi che scendevano gli scricchiolanti gradini, o l’improvviso colpo di ascia nel buio? Avrebbe scelto lui o Buckner? Oppure Buckner era già morto? Non poteva vedere niente in quell’oscurità, ma lo sentiva respirare tranquillo. Quell’uomo del Sud doveva avere nervi d’acciaio. Ma era il suo, il respiro che ascoltava, a breve distanza nelle tenebre. Forse quell’orrore aveva già colpito silenziosamente, aveva preso il posto dello sceriffo e giaceva in una macabra allegria in attesa di colpire ancora? Migliaia di spiacevoli fantasie, con unghie e denti, assalirono Griswell.
Iniziò a sentire che sarebbe impazzito se non si fosse alzato in piedi, urlando, e fuggendo a precipizio da quella casa maledetta: nemmeno la paura dell’impiccagione, poteva ancora tenerlo sdraiato in quelle tenebre; il ritmo del respiro di Buckner si interruppe bruscamente, e Griswell ebbe la sensazione che un secchio di acqua gelata gli si fosse rovesciato addosso. Da qualche parte, sopra di loro si levò il suono curioso, invitante di un fischio.
Griswell perse la padronanza di sé, facendo scendere sulla sua mente una tenebra più profonda di quella fisica che lo avvolgeva. Ebbe un periodo di assoluta incoscienza, nel quale la consapevolezza che stava in movimento, fu la prima sensazione di ritorno della sua coscienza. Stava correndo, follemente, incespicando su una strada estremamente accidentata. Intorno a lui soltanto buio, correva alla cieca. Vagamente realizzò che doveva essere fuggito dalla casa, e di avere percorso diverse miglia prima che la sua mente agitata tornasse a funzionare. Non gli importava di nulla; morire sulla forca per un delitto che non aveva commesso non lo terrorizzava più di tanto rispetto all’idea di tornare in quella casa degli orrori. Era sovrastato dall’urgenza di correre, correre, correre come stava facendo adesso, senza una meta, fino a quando non avrebbe avuto più fiato. La foschia che avvolgeva la sua mente non si era levata del tutto, ma si rese conto, ed era un’amara consapevolezza, che non poteva vedere le stelle attraverso i rami scuri degli alberi. Desiderò vagamente di almeno sapere dove stesse andando.
Credette di stare salendo una collina, e questo era strano, dato che per miglia, non c’erano alture intorno alla casa.
Poi in alto, di fronte a lui, si accese un tenue bagliore.
Iniziò a salire verso di esso, arrampicandosi su delle sporgenze che andavano via via assumendo un’inquietante simmetria. Poi fu colpito dal terrore, quando realizzò che un suono giungeva alle sue orecchie: un insolito, beffardo fischio. Il suono dissolse la nebbia. Perché, cosa era dunque? Dove si trovava? Il risveglio e la constatazione giunsero come il folgorante colpo di una mannaia da macellaio. Non stava fuggendo lungo la strada, o scalando una collina; stava calpestando dei gradini. Si trovava ancora all’interno della villa dei Blassenville! E stava salendo le scale!
Un grido inumano sgorgò dalle sue labbra. Su di questo si levò il fischio bestiale in una macabra modulazione di demoniaco trionfo. Tentò di fermarsi, di tornare indietro, persino di lanciarsi oltre la balaustra. Il suo grido stridulo crebbe, insopportabile nelle sue orecchie. Ma la sua volontà era caduta in pezzi. Semplicemente non esisteva. Non aveva una volontà. Aveva spento la sua torcia, e dimenticato la pistola che aveva in tasca. Non era padrone del suo corpo.
Le sue gambe, muovendosi a scatti, si comportavano come le parti di un meccanismo distaccato dal suo cervello, obbedendo ad una volontà estranea. Incedendo pesantemente lo portarono, urlante, su per le scale verso l’ammaliante bagliore che scintillava davanti a lui.
“Buckner!” Gridò. “Buckner! Aiuto! Per l’amor di Dio!”
La voce gli morì in gola. Era arrivato nell’androne di sopra. Avanzava, barcollando attraverso di esso. Il fischio scese d’intensità, cessò del tutto, ma la sua forza ancora lo guidava. Non poté vedere la direzione dalla quale giunse quel chiarore. Sembrava irradiarsi da un punto indistinto. Ma vide una confusa figura che si muoveva verso di lui. Sembrava una donna, ma nessuna donna aveva mai camminato con un’andatura così flessuosa, con un passo così felpato, e nessuna donna aveva mai avuto un simile, orribile viso, quel ghignante, giallastro alone della follia: provò a gridare alla vista di quel volto, al riflesso del sottile acciaio stretto nella mano di lei levata in alto, pronta a colpire; ma la sua lingua era bloccata.
Poi udì un sordo schianto, dietro di lui; le tenebre furono squarciate da una lingua di fuoco che illuminò un’orrenda figura che cadeva all’indietro. Dopo di questo si levò forte, un disumano lamento.
Nell’oscurità seguita al lampo, Griswell cadde sulle ginocchia coprendosi il volto con le mani. Non sentiva la voce di Buckner.
La mano dell’uomo del Sud poggiata sulla sua spalla lo risvegliò dal suo delirio.
Una luce lo accecava. Sbatté le palpebre, schermando i suoi occhi guardò il volto di Buckner, girato verso il bordo del fascio di luce. Lo sceriffo era pallido.
“Sei ferito? Dio, uomo, sei ferito? C’è un coltello da macellaio sul pavimento.”
“Non sono ferito,” bofonchiò Griswell. “Hai colpito appena in tempo, quell’orrore! Dove sta? Dov’è andato?”
“Ascolta!”
Da qualche parte, nella casa, si sentiva un ripugnante dimenarsi e sbattere, come qualcosa che annaspava, soffocava negli spasmi della morte.
“Jacob aveva ragione,” disse tristemente Buckner. “Il piombo li può uccidere. L’ho colpita, tutto a posto. Non mi sono azzardato ad accendere la torcia, perché c’era abbastanza luce. Quando il fischio è iniziato a momenti mi calpestavi, uscendo. Sapevo che eri ipnotizzato, o qualcosa del genere. Ti ho seguito su per le scale. Stavo appena dietro di te, però accucciato, in modo che non avesse potuto vedermi, e magari fuggire via. Forse ho esitato troppo prima di sparare, ma la vista di lei quasi mi ha paralizzato. Guarda!”
Girò la torcia verso l’anticamera in basso, adesso splendeva chiara e limpida. Illuminava un’apertura spalancata nel muro dove prima non c’era nessuna entrata.
“Il pannello segreto scoperto da Miss Elizabeth!” Sbottò Buckner. “Vieni!”
Attraversò di corsa l’androne, mentre Griswell, poco convinto lo seguiva. Lo sbattere e il trascinarsi proveniva da quella misteriosa apertura, ma adesso era cessato.
La luce rivelava uno stretto corridoio, come un tunnel che evidentemente passava attraverso uno degli spessi muri. Buckner lo imboccò senza nessuna esitazione.
“Può essere che non pensi come un essere umano,” mormorò, lanciando il fascio di luce davanti a lui. “Ma cancellare le tracce, come ha fatto l’altra notte, in modo che non potessimo seguirla fino a quel punto nel muro e magari scoprire il pannello segreto, è una cosa dannatamente scaltra. Più avanti c’è un’altra stanza, la stanza segreta dei Blassenville!”
Griswell si lamentò: “Mio Dio! E’ la stanza senza finestre che ho visto nel sogno, quella con i tre corpi pendenti: ahhhh!”
La luce di Buckner che frugava la stanza circolare si fermò bruscamente. Nell’anello di luce apparvero tre figure, disseccate, avvizzite come mummie, abbigliate negli appassiti indumenti del secolo scorso. I loro piedi non raggiungevano il pavimento dato che pendevano da catene strette attorno ai loro colli avvizziti, catene che erano fissate al soffitto.
“Le tre sorelle Blassenville!” Mormorò Buckner. “Miss Elizabeth non era pazza, dopo tutto.”
“Guarda!” disse Griswell che poteva a malapena parlare. “Là, in quell’angolo!”
La luce si mosse, si fermò.
“Quella cosa era una donna una volta?” Bisbigliò Griswell. “Dio, guarda quella faccia, anche nella morte. Guarda quelle mani simili ad artigli, le unghie nere come quelle delle bestie. Si, era un essere umano, penso, perfino i brandelli di un vecchio vestito da ballo. Perché una ragazza mulatta avrebbe dovuto indossare un tale vestito, mi domando?”
“Questa è stata la sua tana per oltre quaranta anni,” disse Buckner, contemplando il macabro sorriso sul volto della cosa distesa nell’angolo. “Questo ti discolpa, Griswell: una pazza con un’accetta; questo è tutto quello che le autorità devono sapere. Dio, che vendetta! Quale disgustosa vendetta! Doveva avere una natura così selvaggia già da prima, fin dall’inizio, per immergersi nel voodoo come deve aver fatto.”
“La donna mulatta?”, disse piano Griswell, che percepiva un orrore che superava tutto il terrore precedente.
Buckner scosse la testa. “Abbiamo frainteso lo sproloquio del vecchio Jacob e ciò che Miss Elizabeth scrisse, ella doveva sapere ma l’orgoglio della famiglia ha serrato le sue labbra. Griswell, ora capisco; la donna mulatta ha avuto la sua vendetta, ma non come noi abbiamo supposto. Lei non bevve la Nera Mistura preparata dal vecchio Jacob. Era per qualcun altro, da mettere segretamente nel suo cibo, nel caffè, senza dubbio. Poi Joan è fuggita, lasciando crescere il seme dell’inferno che lei stessa aveva sparso.”
“Quella.. non è la donna mulatta?”, domandò Griswell.
“Quando l’ho vista nell’androne ho capito che non era mulatta. Pur nei lineamenti alterati, ancora si vede una somiglianza. Ho visto un suo ritratto, e non mi posso sbagliare. Lì giace la creatura che un giorno fu Celia Blassenville.”
FINE

Traduzione di davi55

POSTFAZIONE
Mi sembra un doveroso atto di modestia, che le mie parole siano scritte soltanto alla fine di questo racconto. Ci sarà pure una ragione se Stephen King ha definito questa storia, “uno dei migliori racconti horror del secolo scorso.”
La traduzione è un procedimento ricorsivo, leggi e rileggi decine di volte una frase, cambi una parola, l’ordine delle stesse: questo per essere sicuri di avere bene interpretato il concetto espresso dall’autore. La parola “Southener”, in lingua Americana ha un senso ben preciso, che il nostro, solo dispregiativo, “meridionale” non rende bene. Ancora peggio se avessi scritto “sudista”, questo avrebbe spostato di molto il significato: così ho preferito “uomo del sud”.
Una delle chiavi di lettura di questa storia ci viene offerta dal siparietto iniziale sulla ricerca della legna per il fuoco. I due spilungoni del New England, dipinti come persone in genere poco pratiche, non vanno a raccoglierla per pura pigrizia, riconoscendo un istante dopo, di essere stati saggi, a non esporsi ai pericoli della foresta di notte. La contrapposizione è con lo sceriffo, basso e tarchiato uomo del sud, estremamente pratico.
Solitamente questi racconti mancano di particolari, invece qui l’autore ne fornisce almeno due che vale la pena vedere più da vicino perché sono estremamente realistici. Si trovano entrambi nella descrizione della capanna vicino alla palude, quella dove vive il vecchio Jacob. Il primo, devo essere sincero, mi ha provocato più di un grattacapo, eccolo: la descrizione del comignolo dal quale esce il filo di fumo è espressa così, “stick-and-mud chimney,” comignolo bastone e fango, tradotto letteralmente. L’infodemia è venuta in mio soccorso, ho trovato un video della durata di circa tre minuti, dove un boscaiolo che indossa una di quelle immortali camicie americane ritagliate da un plaid, ne costruisce uno per il suo capanno di tronchi, nella solitudine dei boschi. E’ una canna fumaria di forma squadrata, fatta di bastoni affondati nel fango, esterna all’abitazione poggiata contro un muro della stessa: alla sua base c’è uno spazio dove accendere il fuoco direttamente dall’interno. E’ un discreto metodo per mantenere un piccolo fuoco, lontano dal resto della casa.
Il secondo, riguarda la porta della baracca, una sfoglia sottile di qualcosa che ha per cardini, due strisce di cuoio incollate, che le permettono un certo elastico movimento, sia in un verso che in un altro. Ecco, con questo penso di avere finito: “..Sembra mi sia addormentato, gentile signore: non ricordo, chiedo il vostro perdono. I vecchi si addormentano davanti al fuoco, come fanno i cani, quando sono vecchi anche loro.”
Colombi dell'inferno - Il richiamo della zuvembie testo di davi55
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