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Il suono della sveglia diede inizio a quella calda giornata di giugno e, come sempre, ero in ritardo. Ebbi a malapena il tempo per lavarmi i denti, vestirmi e dare un fugace bacio a Luca, che fu già il momento per correre in macchina. Percorsi i brevi chilometri che mi separavano dall'ufficio e timbrai. Otto in punto. E anche questa volta, ritardo scampato. Con un sorriso vittorioso stampato in volto, presi il telefono e aggiornai Luca sul mio trionfale arrivo in orario a lavoro.
Imboccai la scalinata che portava al secondo piano della palazzina, dove stava il mio ufficio e, dopo aver partecipato ai soliti "buongiorno" che, assonnati, i dipendenti si scambiavano di prima mattina, posai il mio computer e mi diressi alle macchinette del caffè. Senza colazione potevo anche stare, ma senza il caffè, mai.
Dopo il solito macchiato con tre tacche di zucchero, ragionando su come facessero i temerari a bere il caffè amaro, tornai alla mia scrivania e mi decisi, finalmente, ad aprire il pc e iniziare a lavorare.
Passarono circa quaranta minuti e l'ufficio fu al completo. Quasi tutti uomini intorno a me, come è comune nei luoghi che trattano di informatica. Il mio sguardo, però, ricadde su di lui, Stefano. Un uomo sulla quarantina, occhi azzurri e capelli brizzolati; indosso una camicia azzurra che, stretta nel suo metro e novanta di altezza, gli lasciava intravedere i muscoli delle braccia. Mi rivolse uno sguardo fugace e mi sorrise leggermente, sollevando un angolo della bocca. Ricambiai, così, il sorriso. Il mio però molto più timido ed imbarazzato. Subito, il pensiero mi volò su Luca, sul nostro rapporto così bello, sulla sua gentilezza, sulla sua empatia nei miei confronti. E mi sentii così in colpa, così sbagliata nel provare attrazione per un altro uomo, un mio collega e di 14 anni più grande di me; con una moglie e due bimbi, per giunta. Ma, ehi, alla fine lo trovavo solo un bell'uomo, attraente di sicuro, ma finiva lì; un gustarsi gli occhi, senza malizia né alcuna intenzione di azione.
La mattinata trascorse tranquilla, tra qualche telefonata e alcune riunioni su Teams. Ormai, purtroppo, le call online erano arrivate a sostituire le classiche riunioni in presenza, a mio avviso molto più profique e di gran lunga meno noiose. Finalmente, tra queste riflessioni, giunse l'ora di pranzare. Mi diressi verso la mensa con tutti i miei colleghi.
"Questo venerdì c'è il gran gala dell'azienda. Ci siete tutti, vero?" Chiese Stefano.
"Cosa? Che gala?" risposi, stupita di non saperne nulla.
"Tu non leggi mai le e-mail, vero Lara?" mi rispose lui, sghignazzando.
"Le risorse umane programmano questo evento da almeno un mese - intervenno Luigi - sarà una festa molto elegante, con tanto di discorso e premio alla carriera". Osservai quel ragazzo che, ad appena vent'anni, rappresentava tutti gli stereotipi che potessero essere associati ad un informatico. Era, infatti, un ragazzo di appena un metro e sessanta, magro e pallido, con due occhiali tondi e spessissimi. Mi stupii la sua enfasi per questo gala, dato che la sua attività preferita era hackerare i giochi dei Pokemon sul suo Nintendo ascoltando musica classica.
"Ci sarai, vero?" mi incitò lui, ridestandomi da quei pensieri.
"Certo che ci sarò - replicai - e si, le leggo le e-mail, ma solo quelle importanti". Velocizai il passo verso la mensa, lasciando le risatine alle mie spalle. Sembrò forse che volessi fare un'uscita ad effetto, ma, nella realtà, ero solo tanto affamata.
*
“Sei bellissima amore” mi disse Luca, guardandomi. Mi girai e mi rimirai sullo specchio dell’armadio. Un morbido abito viola scuro mi scivolava sul corpo, arrivando alle caviglie, dove un paio di tacchi neri completavano il mio abbigliamento. Avevo raccolto i capelli in una morbida treccia rigirata all’interno, fermata con alcune forcine e, sul viso, un po’ di fard sulle guance dava un po’ di colore alla mia carnagione molto bianca. Finii di truccarmi con un classico mascara, misi i miei orecchini preferiti, d’oro, a cerchio e, per una ultima volta, mi voltai a guardare la mia immagine riflessa. Dai, dopotutto non ero così male.
“Sicuro che non sia troppo elegante?” chiedi a Luca, titubante.
“Sei bellissima” mi ribadii lui, con quel suo tono amorevole e tranquillizzante al tempo stesso.
Mi decisi, quindi, a dargli ascolto e, prima di cambiare idea e sostituire quello splendido vestito con un paio di jeans ed un top, gli diedi un bacio, afferrai la borsetta e uscii di casa.
Arrivai all’azienda in pochi minuti, scesi dall’auto e varcai la porta scorrevole automatica. Subito, mi accorsi della musica di sottofondo e decisi di seguirla. Avevano addobbato la mensa con lucine, fiori e loghi dell’azienda, avvicinando molti tavoli e posizionandoli in prossimità delle pareti, in modo da lasciare un grande spazio al centro.
Individuai Giulia, al lato opposto della sala, e mi diressi velocemente verso di lei. Non potei fare a meno di notare gli sguardi incuriositi ed affascinati che si volgevano nella mia direzione. Dopotutto, erano abituati a vedermi struccata, in jeans e maglietta e con le scarpe da ginnastica; potevo comprendere il loro disorientamento. Salutai Giulia, l’unica collega del mio stesso sesso nel mio ufficio. Era una ragazza estremamente vivace e perennemente allegra. I suoi lunghi capelli ramati erano raccolti in una coda alta ed indossava un bellissimo tailleur color turchese; ai piedi due comodi sandali bianchi ed eleganti.
A quanto pare, arrivai giusto in tempo perché le risorse umane iniziassero a chiederci di prendere posto al tavolo. Ci accomodammo, con gli altri colleghi, al tavolo più lontano ed isolato della sala.
Fu a quel punto che lo vidi fare il suo ingresso. Indossava un abito nero ed una camicia bianca, che risaltavano i suoi occhi azzurri e riprendevano il colore dei suoi capelli, sempre apparentemente spettinati, ma al tempo stesso minuziosamente in ordine. Il suo passaggio raccolse tutti gli sguardi ammaliati delle ragazze ed il mio non fece eccezione. Con lunghe falcate si diresse nella nostra direzione e si sedette sull’unica sedia rimasta libera, la sedia proprio alla mia sinistra. Un brivido mi percorse la schiena quando percorse il mio corpo con lo sguardo, evidentemente anche lui, come gli altri, stupito di quel mio aspetto così elegante. D’istinto mi voltai e i nostri sguardi si incrociarono. Ci salutammo con un timido cenno del capo, ma i nostri occhi rimasero inchiodati gli uni agli altri, incapaci di sciogliere la danza che le nostre fantasie stavano evidentemente facendo.
Una risata lontana ci ridestò. Rapidamente, mi voltai e mi accertai che nessuno avesse colto quello strano momento, ma tutti, fortunatamente, sembravano persi in scherzi e chiacchiere.
Che questa strana serata abbia inizio pensai, tra me e me.