Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Il sapiente Isma’il Abu Mustafa Al Homsy fu per lungo periodo a Baghdad un principe dei teologi, il più importante tra i giudici della città, e si trovava nell’anno 468 dopo l’Egira, ossia il 1090 per i Cristiani, in un viaggio accompagnato da una carovana che l’avrebbe condotto dopo tre mesi a Mecca e Medina, dove avrebbe incontrato altri grandi dotti del diritto islamico e dove avrebbe potuto compierei suoi doveri religiosi e fare visita alla tomba del Profeta.
La guida della carovana fu affidata a un genero del califfo: soldato giovane e brillante, figlio di uno dei generali dell’impero, ma anche arrogante, inesperto e impaziente di affermare il suo posto nella vita di corte. Fu per le sue scelte che arrivati alle porte del deserto si decise di non seguire la via più lunga e battuta dei caravanserragli, ma di risparmiare almeno sette giorni seguendo il percorso che taglia per diritto la distesa di sabbia. E fu per sua scelta che si continuò quella strada, nonostante le guide assunte per accompagnarli lo avessero avvisato della presenza da mesi di numerosi predoni armati. Quelle guide non conoscevano il valore dei suoi cinquanta cavalieri, tutti figli delle nobili famiglie di Baghdad che il nobile si era scelto per garantire la sicurezza della caravana, ne le guide avevano visto la potenza dei loro cavalli, ne il pregio delle armi che portavano con se. E fu lui, Omar figlio di Yusuf, a sua volta figlio di Abdullah, figlio di Hamid, figlio di Hamza, figlio di Yazid, figlio di Ja’far, proprio lui, fu lui il primo a essere colpito da una freccia, che gli trapassò il collo, lo disarcionò da cavallo e lo fece crollare per terra con il viso immerso in una pozza del suo stesso sangue. I cavalieri che erano giá in sella sguainarono le splendide spade di Damasco, che brillavano al sole dell’alba come fulgide stelle di giorno, mentre gli altri soldati uscivano di corsa dalle tende allestite per la notte, ma uno a uno venivano colpiti dalle frecce dei briganti, fino a che i superstiti della scorta girarono i cavalli e si diedero alla fuga, lasciando la carovana al suo destino di essere derubati e presi in ostaggio per riscatto, o peggio.
Uno dei destrieri che aveva perso il suo cavaliere e girava spaesato per l’accampamento si fermò vicino a Isma’il Abu Mustafa: Abu Mustafa aveva sì superato la cinquantina d’anni e la barba nera e lunga che era il suo vanto da giovane era già bianca come il cotone, ma Dio il Misericordioso gli aveva fatto dono di preservargli i muscoli e i tendini di un giovane valente, e non fosse stato per la sua posizione di sapiente in varie occasioni avrebbe potuto sfidare molti ragazzi delle armerie a corsa o al tiro alla corda. Vedendo il cavallo già sellato avvicinarsi a lui non ebbe necessità di riflettere e con un piede sulla staffa si issò con un salto sulla groppa e lanciò la sua montatura verso un punto vuoto nella formazione di predoni che circondava la carovana. Ci furono molte frecce che gli passarono accanto, molte urla e parole scurrili che i banditi gli lanciarono appresso mentre il teologo in groppa passava veloce dietro le loro linee, sferzando disperatamente il cavallo verso l’orizzonte dorato del deserto. Fu in questo modo che Isma’il Abu Mustafa sparì dal suo racconto.
Quella mattina, nell’oasi di Wadi Dunya, Khalid Ibn Junayd uscì prima del solito dalla sua abitazione in legno e pelli di caprone per bere un po’ d’acqua e fare i suoi bisogni. Si fermò lungo la strada per la latrina davanti alle tende che aveva eretto per ospitare i soldati che si erano presentati all’oasi due giorni prima. L’arrivo di quello stanco gruppo di uomini impolverati e dallo sguardo feroce, che dicevano di essere pellegrini in viaggio verso la Mecca, aveva spaventato i suoi fratelli e le loro mogli, ma tutti sapevano quanto fosse meglio per loro accondiscendere alle richieste, fossero anche stati dei predoni del deserto. Eppure anche attraverso lo sporco e il sangue, si vedeva quanto i loro vestiti fossero belli e costosi, troppo per dei ladri; le loro armi, fatte in acciaio di Damasco, non erano di una fattura che si era mai vista da quelle parti, se non in qualcuna delle ricche carovane provenienti dalla capitale.
Ibn Junayd combattè lo stimolo pressante che proveniva dal suo ventre per sbirciare dentro una delle tende e a sua volta si trovò osservato da vicino da un paio di occhi: uno dei soldati era rimasto fuori dalla tenda durante la notte per fare la guardia, ma Ibn Junayd non lo aveva visto. Abbassò lo sguardò e proseguì oltre, sollevato dal fatto di non sentire passi alle sue spalle; anche il suo ventre si rilassò e dovette correre per arrivare in tempo alla latrina.
Dopo essersi lavato Ibn Junayd si incamminò per mungere le capre e poter dar da mangiare ai suoi ospiti, ma di nuovo il suo sguardo fu attratto da qualcosa, qualcosa di lontano. Strizzò gli occhi, si portò una mano sulla fronte per coprire i raggi del sole che sorgeva, ma non riusciva a vedere più di un puntino che si muoveva sopra le dune a est dell’oasi. Lentamente la figura si faceva più e più grande e alla fine Ibn Junayd potè vedere con chiarezza che si trattava di un uomo che viaggiava da solo. Si girò verso il soldato di guardia, a cui nel frattempo si erano aggiunti gli altri suoi compagni usciti dalle tende: anche loro guardavano verso il nuovo arrivo, ma senza mostrare fretta di andargli incontro. Uno di loro si guardò intorno, incrociando per un attimo lo sguardo di Ibn Junayd, poi si girò verso quello che gli altri trattavano come il capo della pattuglia e gli disse qualcosa di inudibile coprendosi la bocca con la mano. Il volto color bronzo del capo dei soldati si accigliò e lui rimase alcuni secondi in silenzio guardando per terra, poi disse qualcosa agli altri e si incamminò verso la latrina, mentre degli altri qualcuno si sedette, qualcun altro rimase in piedi per controllare l’avvicinarsi del visitatore.
Ibn Junayd finì di mungere le capre, entrò in casa per raccontare l’avvistamento alla moglie, già indaffarata a tagliare la carne, e le chiese un piatto di datteri da portare insieme al latte. Uscì e servì la colazione ai soldati, taciturni e poco grati; allungò lo sguardo verso il visitatore e vide che era arrivato al confine dell’oasi. Era da solo ed era un vecchio, con un turbante in testa e addosso dei bei vestiti completamente laceri.
Ibn Junayd gli andò incontro, vincendo la incallita prudenza degli abitanti dell’oasi di Wadi Dunya; lo raggiunse talmente di fretta che stava quasi per mettersi a correre e vedendo l’anziano straniero trascinarsi lo prese per un braccio e lo aiutò a raggiungere le case della sua gente, dove avrebbe potuto lavarsi e mangiare.
“Baba, come ti chiami?”
“Isma’il Abu Mustafa, figliolo.”
“Isma’il, cosa ti ha portato da solo a piedi nel deserto?”
“Ero in una carovana, ma dei briganti la hanno attaccata: sono fuggito e ho camminato un giorno e una notte prima di vedere questa oasi.”
“Dio maledica quei criminali che girano per il deserto ad attaccare povera gente indifesa. Sai un tempo quanti viaggiatori si fermavano qua, a comprare i miei datteri e le mie pelli di capra? E sai adesso quanti ne passano? Più nessuno! Comunque,vieni con me, fatti aiutare baba Isma’il: sarai mio ospite.”
I due lentamente stavsno rienttando verso la porta di casa di Ibn Junayd; vicino all’ingresso trovarono il gruppo di soldati, in piedi e in attesa, con il loro capo davanti a loro e con la spada legato alla vita. Non dicevano niente, i loro volti erano tesi e duri; qualcuno di loro muoveva lo sguardo prima verso Ibn Junayd e Abu Mustafa, poi verso il loro capo e poi di nuovo verso i due uomini.
Ibn Junayd guardò l’anziano e i soldati e chiese perplesso:
“Pellegrini, conoscete questo uomo che è stato aggredito dai predoni e che Dio ha salvato dal deserto?”
“Ibn Junayd, quello che tieni sotto il tuo braccio è Abu Mustafa al Homsy, giudice capo a Baghdad e gran maestro della Legge Religiosa. Conoscono il suo nome dal Khorasan fino all’Egitto.”
La fronte di Ibn Junayd si corrugò tradendo un moto di incredulità nel suo animo.
“Chi sarebbe? E come? Uno così a Wadi Dunya? A casa mia?”
Alla fine si convinse di ricordarsi il nome dell’illustre ospite e ricostruì un’immagine in cui parlava con qualcuno della giustizia e della saggezza di questo sapiente che andava a pranzo col califfo e passava la notte in preghiera. Abbandonò il braccio di Abu Mustafa come fosse diventato un tizzone di fuoco e si gettò ai suoi piedi.
“Figliolo, tirati su, vergogna! Ci si inchina solo davanti a Dio l’Altissimo, non davanti a un uomo come te.” disse Abu Mustafa.
Ibn Junayd si rimise in piedi e rimase immobile, messo in crisi nella riflessione su quale fosse dunque il comportamento corretto da tenere con un ospite di tale livello.
Davanti a loro i soldati rimanevano impassibili. Abu Mustafa cercò di nuovo appoggiò sul braccio di Ibn Junayd e si rivolse a loro:
“Siete pellegrini diretti alla Mecca?”
“Si mio signore, andiamo alla casa di Dio a chiedere il perdono e la vittoria su chi ci si oppone.” rispose un soldato dal fondo del gruppo.
“E a voi, vostra eccellenza, cosa vi è successo per farvi perdere nel deserto?”
Disse il capo dei soldati riprendendo il posto nella conversazione, posando la mano sul pomo della spada e giochicchiando con il pomolo.
Abu Mustafa notò il gesto e con voce stanca ma ferma rispose al suo interlocutore: “Sono stati i predoni mio giovane, ci hanno attaccati. Io sono riuscito a scappare ed ho vagato nel deserto per due giorni prima di incontrare quest’oasi.”
“Ma di sicuro dovevate avere una scorta: che fine hanno fatto?”
“Dio abbia misericordia di loro, sono tutti morti: hanno provato a fingere una ritirata per distrarre i predoni, per aggirarli e prenderli alle spalle, ma è arrivato un gruppo di compagni di briganti e li ha sopraffatti. Che perdita!”
Il capo dei soldati allargò la bocca in un sorriso :
“Già. Sicuramente le loro famiglie ne saranno rattristate.”
“Sicuramente, ma il racconto del loro eroismo e la gratitudine mia e del califfo potrebbe aiutare i parenti a sopportare il dolore.”
“Credo che sarebbe un gesto che quei poveri disgraziati dei soldati avrebbero gradito e per cui potrebbero testimoniare a vostro favore e del califfo nel Giorno del Giudizio, o sommo tra i teologi.”
“Che Dio lo conceda. Ora vi chiedo scusa ma ho bisogno di sedermi e di bere dell’acqua. Mi puoi fare questa cortesia di portarmi ad una sedia, Ibn Hussain?”
“Ibn Junayd eccellenza.”
“Un ultima cosa.” disse il capo dei soldati, mettendosi di lato alla porta.
“So che voi siete esperto in tante scienze e arti, e da qualche giorno ho in mente l’inizio di una poesia nota dalle mie parti, ma non ne ricordo la continuazione. Ho paura che questo pensiero mi rimanga conficcato nella testa e che sia stato mandato da Satana per distrarmi dal solo ricordo di Dio durante il pellegrinaggio. Volete provare a completare la poesia per farmi questo piacere?”
“Con tutto il rispetto, non sarebbe meglio aspettare che si riposi un po’?”
intervenne Ibn Junayd, ma il soldato non gli diede neanche uno sguardo. Abu Mustafa guardò il guerriero e fece uno stanco cenno d’assenso col capo.
Allora il capo dei soldati, che fino ad un attimo prima si esprimeva con l’accento di Baghdad, pronunciò in arabo perfetto questi versi:
“Si levò in volo ma mancò la preda un falcone / e teme ora di tornare dal padrone,
guarda con speranza verso l’orizzonte / come può sfuggire la severa punizione?”
Abu Mustafa abbassò lo sguardo e rimase a lungo in silenzio. Quando Ibn Junayd lo scosse delicatamente, temendo che fosse svenuto, il teologo parlò:
“Figlio del cielo, il tuo maestro sa /che ciò che è già rotto non si ripara col bastone,
cosa giova rompere ali e becco tranne/ che dei tuoi servigi non avere più occasione,
e anche il libro di Dio ci insegna/ che a chi si pente è dovuta la compassione.”
Il capo dei soldati lo guardò soddisfatto e disse sorridendo:
“Siete proprio saggio come si dice, vi chiedo scusa: andate a riposarvi.”
Abu Mustafa entrò in casa portato sotto braccio, gettando nello scompiglio la moglie di Ibn Junayd che corse per la cucina cercando un velo per coprirsi i capelli.
“Zaynab, vai a prendere dell’altro latte e dei dattari per il giudice Al Homsi, il giudice più importante di Baghdad. E scalda un po’ il latte prima di portarcelo. Venga mio signore Abu Mustafa, riposerà nel nostro letto, poi più tardi le preparerò un letto solo per lei. “
Dopo avergli offerto dell’acqua lo aiutò a togliersi il logoro turbante e la tunica polverosa e a infilarsi lentamente e con sofferenza sotto le lenzuola, come aiutava anni prima suo padre a mettersi a dormire.
“Ibn Junayd, cosa hai capito di quello che ci siamo detti io ed i pellegrini?”
“Ho capito alcune cose, e per le altre faccio come faccio sempre. Chiunque passi per questa oasi o va alla Mecca o ha motivi di cui è meglio non chiedere. E anche se faccio peccato a dirlo, quelli fuori non mi sembrano dei pellegrini, e Dio ne sa di più. Per cui, quello che vedo mi basta, riguardo al resto… sbaglio in quello che dico, mio signore?”
Sdraiato sul letto di Ibn Junayd, Abu Mustafa sorrise compiaciuto.
“Non sbagli figliolo.”
Abu Mustafa dormì tutto il giorno, la notte e la mattina dopo. Già la sera stessa del suo arrivo si era tenuta una riunione molto sentita nella casa vicina tra Ibn Junayd e i suoi fratelli, le mogli e i figli, riguardo alla domanda se fosse giusto o no svegliare il saggio dormiente per permettergli di fare le sue preghiere quotidiane. Alla fine si decise che fosse meglio non svegliarlo per paura di incidere negativamente sulla ripresa del suo stato di salute; nel caso il giurista li avesse poi rimproverati, avrebbero portato a difesa il fatto che loro ignorassero, per davvero, quale fosse il comportamento corretto prescritto dagli insegnamenti del Profeta in circostanze come quella.
La mattina inoltrata del secondo giorno Abu Mustafa si svegliò: domandò quanto avesse dormito e non si scompose per la risposta ma chiese di poter mangiare e bere qualcosa. Venne Ibn Junayd con un piatto di datteri e del latte di capra, aiutò Abu Mustafa a servirsi e rimase in piedi affianco al suo letto mentre mangiava, in attesa di altre richieste.
Abu Mustafa mangiò e bevve con gusto, poi fece gesto a Ibn Junayd di prendere una delle sedie di foglie di palma che erano nella stanza e di sedersi vicino. Gli parlò a bassa voce in tono amichevole e Ibn Junayd fu molto orgoglioso di essere diventato un confidente di un uomo così importante.
“Figliolo, ti devo ringraziare per la tua accoglienza: il destino mi ha portato dagli ultimi istanti di questa vita alla salvezza per tramite della tua ospitalità. Cosa vorresti chiedermi per ricompensarti?”
“Ma io… io non saprei. Non l’ho fatto per una ricompensa, e ho solo dato un letto, dei datteri e un poco di latte.”
Abu Safaha si mise seduto sul letto:
“Non essere timoroso nel chiedere! La tua accoglienza mi ha ridato alla vita dopo che mi aveva quasi accolto la morte, se vuoi chiedere qualcosa hai tutto il diritto di farlo.”
“Va bene mio signore. Se posso, i banditi che l’hanno aggredita, il clan Banu Harith, allontanano anche i mercanti che un tempo sostavano in questa oasi. Un tempo quegli uomini abitavano fuori del deserto, prima che il loro villaggio venisse distrutto da dei soldati Carmati e loro si rifugiassero tra le dune, girando e vivendo di razzie. Se il califfo potesse intervenire in qualche modo ci sarebbe molto d’aiuto per vivere.”
“Ibn Junayd, sono sicuro che il califfo farà quanto in suo potere e se quello che chiedi non fosse possibile troverò un altro modo di dimostrare la mia gratitudine. Ora tocca a me chiedere una gentilezza.”
“Certo mio signore, mi chieda.”
“La gentilezza di ascoltare un fatto, forse più una riflessione, che mi è accaduto mentre vagavo nel deserto?”
“Certamente mio signore. Mi onora rendendomi partecipe dei suoi pensieri.”
“Si, probabilmente ho bisogno di dire ad alta voce quello che continuo a rimuginare nella mia mente da un giorno. Per cominciare, ero diretto alla Mecca con una carovana per visitare la casa di Dio, quando siamo stati attaccati dai predoni…”
“E siete passati quì vicino? Ma la via dei caravanserragli era più sicura, con rispetto mio signore.”
“Si, lo so, ma è non è stata una mia scelta.” rispose un po’ stizzito Abu Mustafa.
”Comunque, dopo che siamo stati attaccati ho trovato un cavallo e sono riuscito a fuggire, ma una freccia si era conficcata nell’addome dell’animale e dopo un po’ che cavalcavamo è stramazzato a terra ed è morto. Allora ho camminato fino ad una collina, ma quando sono arrivato in cima non ho trovato nulla intorno a me che mi potesse aiutare. Allora mi sono rifugiato in una piccola grotta, un fosso sul lato della collina, e coprendo l’ingresso con la mia tunica, sono rimasto lì ad aspettare il cadere della notte. Dopo il tramonto ho ripreso a camminare verso sud…”
“Lei sa orientarsi nel deserto?”
“Certo, mio padre era pescatore a Sidone e fino a che non sono diventato un uomo andavo in barca con lui la notte e imparavo i nomi e le posizioni dele stelle, e anche in che modo influenzano le azioni degli uomini. Il mare di sabbia non è molto diverso, sai, da quello che conoscevo già. Continuando la riflessione, ho camminato per delle ore, poi mi sono fermato e ho fatto la preghiera della notte: quando ho finito sono rimasto seduto, la luna era appena sorta, e ho guardato davanti a me. E a quel punto ho sentito la presenza di Dio che mi chiamava.”
“Per Dio, il maestro è stato benedetto! Un santo, allora lei è anche un santo oltre che un sapiente!”
“Fammi continuare Ibn J?hid, allora…”
“E come è successo? Le è apparso un angelo oltre l’orizzonte, come al Profeta? O è scesa una luce dal cielo? O una voce, è arrivata la voce del Possente dall’alto?”
“No, nulla. Niente di questo. Ho alzato lo sguardo, ho visto le dune immerse nella luce della luna, ed ho visto tutto con chiarezza. Le piante, la sabbia, la cose mi apparivano come se le vedessi per la prima volta, così nobili davanti ai miei occhi. E la sensazione della presenza di qualcuno, come una persona ma immensa, come le colonne dei cielo, che mi schiacciava per terra. Era soverchiante, come la madre quando si è molto piccoli, ma la sensazione non era gentile come quella della madre, oh, al contrario. Era minacciosa, capace di annientarmi da un istante all’altro, ma allo stesso tempo non me ne preoccupavo, come se il mio corpo non fosse il mio e quanto potesse succedergli non mi riguardasse più. Vedevo il cielo, le stelle, la sabbia, me stesso, tutto assieme in un unica entità indistinta, e Dio ha fatto scendere in me una quieta, meravigliosa pace, come poter essere un sasso che contempla il passare dei secoli davanti a se. E davanti a me non succedeva nulla, ma Dio ha operato in questo modo in me. Sono rimasto in questo stupendo stato per qualche ora, poi mi sono rialzato e ho ripreso a camminare.”
“E non ha visto angeli o luci, o…”
“No, solo la luna che illuminava la strada davanti a me. Ho continuato a tenere un orecchio in allerta per sentire il rumore di cavalli nel caso i predoni mi stessero inseguendo, ma non avevo più paura. Deve essere stato questo un assaggio delle sensazioni provate dai Profeti dopo che Dio ha posato il suo sguardo su di loro. Quanto ho detto Ibn… Ibn Junayd, ti sembra folle?”
“Non è possibile che pensi questo mio signore, non lo farei mai. Certo che da ignorante mi aspettavo angeli o fulmini, o comunque un segno.”
“Ma appunto! Non conosci il versetto: ”Mostreremo loro i Nostri segni negli orizzonti e dentro loro stessi, finchè non sarà chiaro loro che questa è la Verità.” ?”
Ibn Junayd non rispose e stette zitto, lasciando che la domanda si estinguesse nel silenzio, chiedendosi come andassero interpretate le parole che il vecchio uomo salvato dal deserto gli aveva proferito.
All’apice della calura pomeridiana, seduto sul letto Abu Mustafa chiese gli venissero date informazioni sui soldati accampati nell’oasi: erano ancora lì, nonostante il trascorrere dei giorni, ma pare stessero per partire, dicevano le donne di casa con grande sollievo. Abu Mustafa espresse il desiderio di parlare col loro capo e venne mandato uno schiavo georgiano a chiedergli di raggiungerlo.
Quando entrò nella casa l’anziano stava leggendo a memoria un capitolo del Corano. Vedendo la figura che rimaneva in attesa sulla porta, Abu Mustafa concluse la sua lettura e dopo qualche secondo di pie riflessioni silenziose disse:
“Il falcone ancora non è volato via?”
Il soldato varcò la soglia e andò con calma a mettersi davanti ai piedi del letto.
“No mio signore, ci stavamo godendo ancora un po’ le grazie di questa oasi prima di rimetterci a cavallo.”
“Il tuo nome è Ubayd Allah, ricordo bene?”
“Si, come sempre avete ragione.
“E dove vorreste andare Ubayd Allah?”
“Non sappiamo. Forse a nord, forse a est, forse a ovest.”
“Allora vi chiedo di aspettare a partire e di accompagnarmi a sud, alla Mecca, e poi potrete seguire i vostri progetti dove vi porteranno.”
Il soldato fissò Abu Mustafa con stupore.
“E perchè, o sommo tra i giudici, dovrebbe volere noi per accompagnare il suo viaggio? Se chiede alla gente di quest’oasi sono sicuro che le troveranno un cavallo e qualcuno per accompagnarla fuori dal deserto. Poi lì troverà un villaggio dei Banu Tamim o dei Banu ‘Abs che la porteranno dove vuole.”
“Perchè mentre ero nel deserto ho avuto una sensazione, la sensazione che se avessi incontrato chi ci aveva lasciato alla mercè dei predoni li avrei dovuto perdonare, perchè tutti gli uomini sono deboli e la paura della morte è una cosa grande. Poi perchè se ci siamo imbattuti nel pericolo è stato anche per l’avventatezza di Omar Ibn Yusuf, che ha voluto seguire la via del deserto più pericolosa, e io non posso sapere se in mano a te o ad un altro dei soldati la carovana non sarebbe arrivata sana e salva alla Mecca. E infine per quello che ti dicevo ieri: i tuoi servigi sono ancora utili e non sarebbe saggio disprezzarli. E anche per voi sarebbe utile accompagnarmi, visto che potrei aiutarvi nel proseguimento del vostro viaggio: di tornare a Baghdad non se ne parla più, una volta che giungerà la storia del resto della carovana, sia che riuscissimo a riscattarli sia che no, e che arriverà al califfo la notizia della scomparsa di suo genero Ibn Yusuf. Queste cose non si possono evitare, dovrete trovare un altro luogo dove vivere. “
“Stavamo giusto pensando di andare dal Basileus a Constantinopoli ad offrire le nostre spade: dicono che paghi bene.” disse Ubayd Allah sforzandosi di apparire sprezzante della piega degli eventi.
“Dai romani? Dio ce ne scampi!” rispose indignato Abu Mustafa. “Invece di queste assurdità, io posso raccomandarvi ad un mio conoscente, l’emiro di Antiochia, che avrebbe bisogno di uomini validi per la sua guardia, o per qualsiasi incarico vogliate svolgere.”
Il soldato rimase in silenzio ai piedi del letto a riflettere, accarezzando la sua corta barba bionda.
“Dovrò parlarne con gli altri, ma credo che si possa fare. Questa proposta non mi sembra venga fatta dal giudice Abu Mustafa, che ricordo in altre occasioni abbia fatto sbattere in prigione chi veniva meno ai suoi obblighi. È perchè adesso il verdetto non è gli è più conveniente che ha cambiato il suo giudizio?”
“No, anche se a Baghdad avrei fatto cacciare dal mio palazzo e frustare chiunque avesse fatto insinuazioni del genere; ma non avevo capito il ruolo della misericordia nelle azioni umane e forse per questo il giudice è già morto tra le dune del deserto.“
Ubayd Allah era incuriosito nell’assistere al vecchio che sembrava snodare e riannodare i fili della sua lunga vita mentre parlava con lui: ne era incuriosito e turbato.
“Mio signore, siamo tutti di nobili famiglie, non c’è uno di noi che ad alta voce o in segreto dal giorno dell’agguato non maledica l’essere fuggiti e aver gettato via il proprio onore. La aspetteremo per partire.”
E fu così che il giudice, il teologo e ora il mistico Abu Mustafa, accompagnato da un manipolo di soldati, dopo due giorni partì dall’oasi di Wadi Dunya e arrivò senza difficoltà alla Mecca dove potè organizzare con l’autorità della regione, lo sceriffo, la missione per riscattare i membri della carovana rimasti prigionieri: fu pagato un lauto riscatto, ma altrettanto lauta fu la ricompensa promessa da Abu Mustafa per conto del califfo di Baghdad. Nell’oasi di Wadi Dunya, Ibn Junayd ripensava a quanto era accaduto durante la permanenza dei suoi ospiti. Sperava in cuor suo che le sua richiesta fatta al giudice sarebbe stata ascoltata, ma non sapeva che il califfo, erede di uno dei più grandi imperi di tutti i tempi, adesso controllava a malapena lo spazio fino alle mura di Baghdad e non avrebbe potuto accontentarlo neanche se avesse voluto. Come promesso invece ricevette per anni un adeguato stipendio direttamente dal tesoro della corte, come compenso per la mansione di custode di una delle vie dei pellegrini.
Una volta giunti alla Mecca i soldati capitanati da Ubayd Allah continuarono a nord verso Antiochia, conservando attentamente tra le loro mani una pergamena indirizzata all’emiro della città; lì trovarono impiego e fecero una breve carriera, prima che da lì a qualche anno l’arrivo dei guerrieri franchi da occidente cambiò per sempre la loro vita e quella dei popoli di quelle terre. Ad Abu Mustafa al Homsi invece le notizie delle Crociate non arrivarono perchè a quel punto lui aveva già cambiato per conto proprio la sua vita: alla Mecca e a medina svolse i suoi obblighi religiosi ma si dovette scusare di non poter incontrare gli altri studiosi della fede come programmato. Si unì invece ad un altra carovana, diretta a Baghdad, dove sistemò i suoi affari, le sue proprietà e rimise il suo incarico al califfo; divise i suoi beni tra i membri della sua famiglia, trascorse un po’ di tempo con sua moglie e i suoi figli e infine li salutò. A più di cinquant’anni compiuti Abu Mustafa si mise di nuovo in viaggio con una compagnia di altri cercatori di esperienze spirituali come lui, girando tra santuari e monasteri, fino a fermarsi in Persia dove di nuovo, e adesso per l’ultima volta, Abu Mustafa sparirà da questo racconto.