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Ero entrato in quella vecchia cascina, per caso, attraversando un prato fiorito e incolto,mi ero trovato di fronte alla casa che da lontano non si scorgeva essendo ormai ricoperta da diversi tipi di piante rampicanti che la mimetizzavano.
Della porta d’ingresso restavano alcune tavole,in parte marcite ancora attaccate ai grossi cardini in ferro, che ricordavano un tempo in cui vi era un fabbro poco distante che con brace rovente e braccia robuste li aveva forgiati su misura alla bisogna.
Alcuni mobili sgangherati e coperti di polvere e cacche di topi e ghiri e chissà, erano ancora lì,abbandonati ma lasciati come per dover ritornare.
Alzando lo sguardo abituato alla luce interna,vidi sulle pareti l’immagine di tutto quello che vi era stato appeso, incredulo mi avvicinai,e su ogni parete vi erano tegami appesi,forme di rame, quadretti con stampe di montagne innevate,cornici con immagini sacre come un sogno pittorico il fumo della stufa, la polvere di anni, direzioni di correnti d’aria a filo muro, avevano dipinto i contorni e non solo, di tutto ciò che era stato appeso alle pareti,e che contrariamente al mobilio era stato portato via.
Nessun programma di ritocco, nessun aerografo potrebbe avvicinarsi a quello vidi.
Le sfumature,tono su tono, come si usa dire in pittura,creavano le modanature di una cornice inesistente ma anche con l’ombra portata sul muro e lo scuro dietro, la parte di lato in alto più tenue come illuminata da una luce diretta,la diversità della tinta del muro all’interno chiara, rimasta coperta, e scura all’esterno della cornice rendeva il tutto più reale o surreale.
Anche il chiodo che aveva retto il quadro, aveva lasciato la sua immagine.
Si capiva persino dall’intensità delle ombre quali erano stati lì da sempre e quelli che erano stati appesi in epoche successive.
E poi tondi con manici ad altezze diverse, manici in cui si vedevano anche le viti e dove il bordo della padella toccando il muro formando sfumati fantastici baffi simmetrici che andavano a sfumare a zero e con in mezzo la linea curva sottile e più chiara dello spessore del metallo che svanivano dove la padella si allontanava dal muro avvicinandosi al manico.
Esagoni perfetti, di sola ombra, forse forme da budini, un lungo paiolo forse per l’acqua calda appeso con un filo inesistente ad un chiodo reale.
Ovunque guardassi le pareti raccontavano la storia, la vita di decenni in quegli ambienti, tramite forme e ombre di fantasmi fisse sui muri, quadri ancor più belli degli originali svaniti, l’immagine di quello che era, che diventa a sua volta quasi reale, sotto un’altra veste, ma con una libertà totale di forme toni sfumature luci ed ombre, tutto determinato da percorsi, risalite e deviate o spinte correnti d’aria, sfumature infinitesime depositate giorno per giorno.
Nella stanza da letto un grande rosario, appeso a due alti chiodi, con un grande Cristo nel centro in basso sopra alla testata del letto.
In centro al triangolo a cuore formato dal rosario, l’ovale perfetto di una probabile immagine della Vergine.
Non credevo ai miei occhi come i grani del rosario e pezzi di catenina tra uno e l’altro fossero perfettamente distinguibili, qui con chiaroscuro più tenue che nella cucina, dove evidentemente il fumo,e le correnti d’aria del calore erano maggiori.
Se nella cucina la tinta originaria si intuiva dal colore rimasto coperto dai quadri ed era un creme scuro per diventare marrone intenso avvicinandosi alla stufa in ghisa, nella stanza le tonalità erano di un caldo e vissuto color salvia.
Il crocifisso del rosario,quando lo osservai contrariato di non aver con me la macchina fotografica, sembrava uno strano miracolo nel quale il muro avesse ritratto oltre alla croce anche il Cristo che invece essendo sopra non poteva essere stato a contatto del muro.
Tornato in cucina vidi sulla parete a sinistra entrando da quella che era stata la porta d’ingresso le immagini di vari utensili e strumenti da lavoro ma le immagini erano molto tenui forse perché l’apertura e chiusura della porta con lo scambio di aria fredda e calda non aveva permesso al fumo e alla polvere di dipingere, sulla parete di fronte vi era ancora una mensola in legno sopra di essa i fantasmi di due recipienti forse in vetro,l’ombra lunga di una scatola,e una forma indefinita.
E sotto, il capolavoro assoluto, dove c’era stato appeso un pizzo o un lavoro a ricamo,vi era ora una trina fantastica, riprodotta più volte con differenti tonalità e le immagini leggermente sfalsate come se ogni tanto fosse stato spostato o se il fumo avesse avuto percorsi diversi nel tempo, era materia aveva morbidezza e spessore e più immagini sovrapposte di tonalità di colore diverso, di fronte a questa opera mi ripromisi di tornare munito di macchina fotografica.
Uscii,sorridendo,sulla soglia,una grande pietra scura consumata e lucidata dalle suole, socchiudendo gli occhi abituandoli alla luce esterna, ancora incredulo per la visita privata alla mostra d’arte a più autori, umani, fumo, polvere, aria e tempo.
Pensai: - Se non ci torno subito, per fotografarla, domani, poi il tempo passa e mi dimentico..-
Ma da allora fino ad oggi me n’ero scordato,un giorno prendo la moto e vado,chissà che qualche quadro fantasma non sia stato spostato o che qualche quadro vero sia ritornato.
Finale Ligure giugno 2019