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La notte si accartoccia
contro il muro adiacente alla mia finestra,
dove ti affacciavi sempre, la domenica mattina,
per assicurarti che il mondo dormisse.
Che non mi svegliasse, a furia di sgommar per strada,
e che il sole sorgesse secondo i tempi tuoi.
La notte si accartoccia, dinanzi ai miei sbagli,
dinanzi ai miei occhi, bui come lei che osserva
il muro mio, pieno di inchiostro e scritte di sale.
Mi pungon la lingua, da quando hai lasciato la stanza
e la notte si assopisce dove ti sdraiavi tu.
La luna si riflette, sul lucido del parquet,
e si insinua tra i germogli di rabbia che hai seminato,
contro il sussurrio dei canarini.
Dall'albero, oltre la finestra, mi davano il buongiorno
e ti infastidivi perchè le prime parole del mattino,
dovevano provenire dalla bocca tua.
E così per anni mi hai separato, dal ronzio delle vespe,
dal respiro del vento,
e hai inspessito i vetri della mia stanza
tanto che il mio paesaggio, era la sola scenografia del teatro tuo.
Ma oggi la notte si presenta sul palco,
invade furiosa il tuo lato del muro,
e quando mi sveglio, al mattino, mi accoglie,
con fruscio di foglie,
mi regala dolce, il fuoco dell'alba.
La notte si accartoccia,
oggi, che non hanno regole le domeniche mattine,
e ad aprirmi gli occhi non son più le urla tue,
ma il cinguettio dei canarini.