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I mille sassolini al di sotto delle rotaie, le schermate nere e arancioni con scritti mille nomi di destinazioni e città, le mattonelle grigie che costituiscono il pavimento pieno di passi, i muri che hanno visto e sentito più baci e “ti amo” veritieri che in un matrimonio, più addii sinceri che un funerale. Le stazioni, luoghi colmi di storie e vite troppo silenziose per essere raccontate. Una di queste era quella di Sara, una studentessa universitaria alla quale il destino ha deciso di dare una scossa, di farle cambiare il modo in cui percepisce le persone e i luoghi che frequenta. Non era arrivata in tempo per prendere il treno e così doveva aspettare seduta a un tavolino per tre ore prima di riuscire a prenderne un altro, un cambiamento di programma che per Sara era quasi come una disgrazia, per altri come Samir invece, una fortuna. Samir è un ragazzo di origini francesi, figlio di un conte. A questo punto si potrebbe pensare alla vita perfetta per lui, pieno di soldi, bello, con il successo in tasca, una casa da sogno e una famiglia da copertina. Purtroppo però come si dice spesso, l’apparenza inganna, e lui era la prova vivente della veridicità di questo detto. Si ok, era ricco ma i soldi non fanno tutto, soprattutto se la tua famiglia è un disastro. Sua madre Agnese era colei che stava portando la famiglia alla fine, non riusciva più a riprendersi, era entrata in un loop apparentemente senza fine di depressione e tristezza che la portavano ogni giorno ad avere il pensiero che forse, se l’avesse fatta finita sarebbe stato meglio. Non ci aveva mai provato però, non era ancora pronta ad abbandonare Samir e le sue due sorelle. Aveva cominciato a sentirsi così dopo aver divorziato con Olivier, fino a quel momento il capo della famiglia. La sua era la classica storia banale, era entrato nella solita crisi di mezza età, e dopo i diversi litigi di ogni giorno con la moglie in cui lei lo accusava di non esserci mai e lui di non voler più stare insieme a lei. Alla fine aveva preso la decisione più egoista che potesse esserci, era scappato via con la nuova segretaria del suo ufficio, vent’anni più giovane di lui con la quale adesso si era sposato ed era andato a vivere a un’ora di distanza. Le sorelle di Samir, Lea e Clair, erano invece andate via di casa abbastanza giovani, quando si erano accorte che l’aria stava iniziando a diventare pesante. Samir era quindi l’unico rimasto, e tentava ogni giorno di non farsi contagiare dalla negatività della madre che ormai si sentiva brutta, vecchia, sola e triste. Samir era felice di quel treno annullato, era il treno che lo avrebbe dovuto riportare a casa, struttura ormai diventata come una prigione. Grazie a quel ritardo si sarebbe potuto prendere qualche ora in più di pausa prima di tornare in quell’inferno.
Sara nel frattempo se ne stava seduta con le gambe accavallate in un tavolino del bar della stazione. Era piccolo e anche un po' scomodo perché le ginocchia essendo l’una sopra l’altra andavano a sbattere contro il legno. Si era dovuta però accontentare di quello perché di tavolini liberi non ce ne erano altri e in ogni caso erano tutti strutturati allo stesso modo. Sara poteva osservare dal sottile vetro in plexiglass i treni che partivano, le corse della gente che era riuscita ad arrivare appena in tempo, il campanello attaccato alla porta del bar che suonava ogni volta che qualcuno ne varcava la soglia, il fischio delle locomotive e gli ultimi baci strappati prima dell’imminente partenza. Tra tutti però la sua attenzione fu attirata da delle donne, in particolare una, si chiamava Emma e indossava una coroncina gonfiabile oro e una fascia con la scritta “finalmente mi sposo”. Un addio al nubilato, pensò Sara e subito sorrise. Emma stava infatti festeggiando con le amiche ancora fidanzate, il fatto che lei tra poco non lo sarebbe stata più. Si era innamorata di Luca dodici anni prima, quando lei era ancora alle superiori e lui, poco più grande, lavorava part time nella caffetteria della scuola di lei, frequentata fino a qualche anno prima anche da lui. Emma era stata colpita dal suo sorriso, dalla gentilezza con cui trattava i clienti, dal suo viso pulito, dal suo fare da bravo ragazzo. Per mesi lo aveva guardato da lontano, mantenendo il suo amore nel silenzio, piangendo per quelle labbra delle quali non avrebbe mai provato il sapore. Una mattina però fu Luca a sorprenderla. Erano i giorni del ballo di fine anno, tradizione americana che nella scuola di Emma avevano però adottato sotto richiesta del consiglio d’istituto. In ogni angolo della scuola c’erano quindi ragazzi inginocchiati con in mano anelli, rose, striscioni e tanto altro per chiedere alle loro ragazze di partecipare con loro a quello che veniva chiamato Prom. Emma osservava quelle scene nella speranza che un giorno qualcuno potesse fare una richiesta simile anche a lei, sognava di ritrovarsi in una di quelle storie d’amore viste solo nei film americani degli anni 2000. Quella mattina però tocco davvero a lei viverne una del genere. Si stava avvicinando al solito bancone per ordinare il cappuccino di tutte le mattine a Luca, quella volta però fu diverso. Quando si rivolto infatti lui teneva in mano una rosa e il suo cappuccino con la scritta “Prom?”. Beh che altro dire, dopo la serata magica del ballo i due continuarono a uscire insieme e come si sa, da cosa nasce cosa, adesso stava per nascere il loro bambino. Emma era al settimo cielo, non avrebbe visto Luca come un padre migliore.
Sara era seduta lì da quasi un’ora ormai, impegnava il suo tempo leggendo, disegnando scarabocchi nel quadernino che aveva affianco e osservando e commentando i dintorni tra se e se. Mentre percorreva con lo sguardo le righe delle piastrelle grigiastre vide un paio di scarpe particolari, erano viola con i lacci logori verde fluo, un abbinamento alquanto strano. Alzando gli occhi si accorse però che non erano solo le scarpe ed essere strane, ad indossarle infatti era una donna alla quale era difficile dare un’età. Poteva avere dai 47 ai 60 anni, ciò però che balzava subito all’occhio era la sua trasandatezza, trasudava trascuratezza da tutti i pori. Indossava inoltre delle calze grigie, un abito nero senza alcuna forma e i capelli tendenti al bianco erano raccolti in una coda alta. Quella donna faceva di nome Angela e di anni nonostante tutto ne aveva a malapena 42. Si aggirava per la stazione agitata, tra poco sarebbe dovuta salire su un treno che l’avrebbe portata alla sua prima seduta di aiuto per la tossico dipendenza. Angela faceva ormai da più di sei mesi uso di sostanze stupefacenti, era entrata nel tunnel dal quale ormai era diventato difficile uscire. Talmente difficile che quando un giorno la sua psicologa le aveva chiesto come avrebbe descritto la droga e i suoi effetti lei aveva risposto :”Essere dipendente dalla droga è come combattere una guerra di logoramento contro al tuo peggior nemico, ti porta allo sfinimento. E’ come una guerra perché solo i più forti sopravvivono, ma il problema più grande è che il tuo nemico sei tu”.
Tutti lo sapevano ormai, amici, parenti, colleghi, eppure nessuno riusciva a fare niente, essere indifferenti era più facile. Anche Angela era orami arrivata ad un punto in cui non credeva di riuscire a uscirne più. Questo finché un giorno, un gesto per qualcuno insignificante, le cambiò per sempre la vita. Si trovava dal benzinaio quando mentre le faceva il pieno, il ragazzo che lavorava lì le chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Angela non se la sentii di raccontare del suo problema, perciò gli disse che era un po' giù di morale perché aveva scoperto che una sua cara amica si drogava e che non sapeva come aiutarla. A quel punto il giovane le porse con un sorriso un opuscolo con sopra la scritta :“Le droghe e i loro effetti, come uscirne. Guida semplificata in 10 facili passi”. Per la prima volta dopo molto tempo sorrise anche lei, lo ringraziò e una volta tornata a casa lo lesse con cura. Nell’ultima pagina c’era scritto un numero di telefono con sopra l’intestazione “Se ti vuoi aiutare, chiamare è il primo passo”. Speranzosa Angela compose il numero e un’operatrice gentile le parlò spiegandole nei dettagli in caso consisteva il loro programma. Ciò che le piacque di più era che non ricorrevano all’uso di altri farmaci per curare la dipendenza, ma utilizzavano nuove tecniche di auto aiuto. Dopo aver preso l’indispensabile e averlo messo in valigia, adesso Angela si trovava lì. Agitata ma soprattutto impaziente di poter finalmente cominciare una nuova vita, libera dai suoi stessi mostri.
A questo punto per Sara erano finalmente passate le tre ore di attesa, si alzò dal tavolino che l’aveva accolta durante quel periodo di tempo raccogliendo le sue cose. Entrò all’interno del bar per pagare al balcone il caffè che aveva ordinato. Mentre stava uscendo sentì il fischio del treno e si affrettò a salirci. Trovò un posto affianco al finestrino nel piano di sopra, si sarebbe goduta il viaggio osservando il paesaggio e ascoltando della musica.
Tre settimane dopo
Sara era ritornata in stazione, era arrivata in anticipo quella mattina. Indossava un jeans stretto blu e un maglioncino a strisce nere e bianche. Portava sulla spalla la borsa con i libri dell’università. Si sedette di nuovo allo stesso tavolino. Cominciò di nuovo a guardarsi intorno mentre sistemava la borraccia e degli appunti per l’esame di fisica quantistica sul tavolo, e improvvisamente la riconobbe, era Emma. Si sedette su una panchina con lo sguardo verso il basso, gli occhi vuoti e il viso spento. Luca l’aveva tradita. Lei lo aveva scoperto la settimana prima, lui era freddo nei suoi confronti, tornava tardi dal lavoro e sembrava non gli importasse più nulla dell’andamento della gravidanza, come se quel figlio che lei teneva in grembo non fosse neanche suo. Presa dai sospetti una sera che era uscito di casa prima del solito, Emma sbloccò il suo computer e lì ci trovò tutte le chat. Era la sua migliore amica. A quel punto presa dallo sconforto non sapeva più cosa fare, non voleva affrontare Luca, sapeva che le avrebbe fatto troppo male. Perciò decise lei di lasciare casa e di andare a dormire per quelle notti in un albergo lì vicino. Prima di prendere le valigie e di chiudere per l’ultima volta la serratura di quella che fino a quel momento era stata la struttura simbolo del loro amore, gli lasciò un biglietto. Sopra c’era scritto “Ho scoperto tutto. Non cercarmi mai più. Adesso provo per te un misto tra odio e amore che spero passerà presto. Nonostante tutto però ricordati che anche se sei stato solo una fermata di passaggio, io ti riterrò sempre come quella più bella del viaggio”.
Sara spostò poi poco più in là lo sguardo seguendo i lineamenti delle fessure in pietra delle mattonelle grigie. Riconobbe quelle scarpe stravaganti, era Angela. Sembrava serena, per la prima volta aveva trovato pace. Adesso ne era uscita, era riuscita a combattere e infine a sconfiggere quel mostro che le era sempre sembrato tanto più grande di lei. Adesso la battaglia era finita, entrambe le parti avevano firmato l’armistizio. Il programma aveva dato i suoi frutti. Si sentì l’inizio di un annuncio del treno, “Si informano i gentili passeggeri che il treno regionale per Milano Centrale è in ritardo, ci scusiamo per il disagio”. Angela alzò la testa, tirò un sospiro e sorrise. Odiava i ritardi regolari dei treni, lo aveva sempre fatto. Eppure quel giorno ne fu quasi felice. In fondo non aveva più nulla da raggiungere.
Di Samir invece avevano perso tutti tutte le tracce, sembrava essere scomparso nel nulla, un incantesimo e lui era scomparso. Samir in tutto quel caos si trovava invece in Olanda, paese totalmente nuovo nel quale però sperava di poter trovare finalmente la definizione della parola “casa” insieme magari anche a un bel po' di brezel. Aveva provato a chiamare la madre prima di partire ma lei non gli aveva risposto, così le aveva mandato un messaggio in segretaria “Ciao mamma, il mio treno è finalmente arrivato. Salutami Lea e Clair, ma non dirgli che non tornerò più. Che poi ci rimangono male e non posso venire a portargli i cioccolatini al caramello per rallegrarle.”
Sara invece si trovava ancora alla stazione, osservava come al solito i passanti immaginando il loro passato, il loro presente e perché no anche il loro futuro. Questo testo racconta di tante storie diverse, tutte che senza l’immaginazione di Sara sarebbero rimaste così com’erano, troppo silenziose per essere raccontate.