Ad un passo dalla pioggia

scritto da Il Cinabro
Scritto 11 mesi fa • Pubblicato 10 mesi fa • Revisionato 10 mesi fa
0 0 0

Autore del testo

Immagine di Il Cinabro
Autore del testo Il Cinabro

Testo: Ad un passo dalla pioggia
di Il Cinabro

(Il tempo scorreva inesorabile, rapido, ineluttabile, ed io l’osservavo fluire da dietro le persiane chiuse, quante notti insonni, fumo di Marlboro, verso una direzione che non poteva conoscere soste.

  Il senso ormai muto e perduto delle mie parole stava – forse - nel desiderio interminabile di fuga, di delirio ad occhi aperti, e nell’allucinazione che sempre più velocemente, distorta, correva nel filo della vita.

Avevo anch’io il morbo, e non m’interessava più nulla ormai. 

Non c’era spazio per immaginare alcun futuro, né ripensarsi come un mosaico d’immagini in cui il passato diveniva un cut - up violento e rigoglioso, istantaneamente: solo lì poteva trovarsi il germe che avrebbe definito l’orizzonte, dove poter ritrovare la quiete dentro la catastrofe.

Fuggire lontano, via dal labirinto costruitosi tutt’intorno, una rete fittissima di sequenze senza respiro, e di cui sentivo solo il peso opprimente addosso. Finanche ridefinire se stessi attraverso la follia, che forse sarebbe stato l’ultimo momento di verità informe da rapinare.

Ci sarebbero volute le note di settima ed un pianoforte nascosto tra il fumo e lo slang del blues.

Già, la musica, apriva varchi nella testa e nel corpo, faceva vibrare piangere emozionare riempiendomi di dolore.

E forse era ciò che volevamo baby, niente di più.

A New Orleans avrei visto negli anni a venire sotto casa jazzisti di sedici anni suonare per ore senza fermarsi grazie alle anfe, a Torino invece sotto i lampioni avevo le picie che si bucavano per una dose, nell’indifferenza dell’andirivieni di via Nizza.

Era l’83 credo, non un gran bell’anno devo dire, mangiavo poco e male, schifose scatolette di tonno marcio e avanzi della mensa, scopavo con Jackie, una ventenne che batteva marchette a San Salvario, io ne avevo solo due di più.

Producevo di tanto in tanto dischi dark e new wave di gruppi misconosciuti che avrebbero fatto successo trent’anni dopo, gli Antares, i Novofaz, Sestrier&The Colonnels, fuori la neve attaccava rapidamente, ed era quasi arrivato Babbo Natale dalle mie parti.

Ascoltavo in loop Siouxsie, Joy Division, Sex Pistols, Johnny Thunders, il Miles Davis di Ascenseur pour l’echafaud, e guardavo film come “La lunga notte del ‘43”, il resto del tempo mi facevo di pillole per dormire.

Scrissi “Ad un passo dalla pioggia” in quei giorni.)

 

Ad un passo dalla pioggia

E dall’orgia del sapere

Davanti all’arco della vita

C’era un sordo rintocco d’amarezza

Affamata – distratta – sintetica

 

L’incedere notturno placava la sete per un attimo

Ricacciandola in un groviglio senza fine

-   La morte pudica sudata attendeva proprio lì

Jackie passava di fianco i cinema spenti a quell’ora

Lampioni e schizzi di sangue e vetro dappertutto

 

Bar e serrande arrugginite

Agonizzanti pubblicità della Standa

Neon ad intermittenza sfocati

Vene di amici bruciate nell’ero

Cucine componibili e letti a castello in vetrina

 

Eccovi il fottuto piano - stronzi

Mangiare pregare e pagare le tasse

Heather Parisi a pranzo ed i figli rincoglioniti la sera

Tv droghe alcool consumi anestetici e antidepressivi

L’avete creato voi tutto questo

Compiacetevi

 

Abat-jour e moquette in locali fumosi

Poi Jackie s’infilava con le gambe nodose

Nelle strade strette e forgiate d’avorio

A caccia di merda zuccherata e acqua pulita

E poi fino al dodicesimo

 

Silenziosa nell’ascensore

Una MS in bocca e un battito in testa

Gocce di rossetto sfiammato e lavato

 -una squallida routine da mignotta tossica pensava

Un cliente due clienti tre clienti – insieme 

 

Rimanevano incrostati sugli scalini

Gli odori di sperma ed i preservativi usati

Baby, era una casa di San Salvario

Cortili dai culi tondi

La neve intonsa affrescava le pareti

Androni con le scritte capovolte

Dialetti mischiati in un fottuto parlottare

Jackie tornava sempre a casa sui tacchi

I suoi tre figli dormivano tiepidi sogni tra le lenzuola

Fuori le reclame di Natale

Prendi tre paghi uno

 

Jackie non distingueva più nulla

La malattia sua mentale non esisteva

Nelle forme vegliate

Era una lenta discesa incauta  

Era il prezzo da pagare

 

Per non fermarsi

correva più forte dei sogni

Guardava la neve da dietro la tenda

I carillon – le bambole – il languore dell’infanzia

Al dodicesimo non c’era nient’altro

 

Le stanze bui tormenti imperdonabili

Calze strappate in un cielo a scacchi

Pensava si potesse tornare indietro

Far le carte di nuovo in via Garibaldi

E strappare le pagine del diario

Una ad una fino all’ultima scritta il giorno prima  

Mentre il suo uomo era sottoterra sparato

Da cinque anni

Crivellato in un bar della Barriera per un conto aperto

La voce agonizzante sul pavimento

 

Quando arrivò la proprietaria a raccoglierlo

I capelli erano fradici insanguinati bucati

Il cronista scattava foto da prima pagina

Lo sbirro parlava di tragico evento  

 

L’attendeva sull’uscio il sarcofago nero di Majakovskij

I piedi ficcati nel cemento

Un volo pietrificato nei peccati

 

Jackie salutava la notte affannata

Con gli ingorghi pieni di luce

Le sirene affacciate sui viali

E aveva paura di star da sola

Si scaldava col whisky

Ai clienti non piaceva la puzza d’alcool

Volevano ficcare tutto dentro forte

 

Pensava che in fondo non era male la vita

La pioggia accendeva fuochi e luci

Le macchine sfrecciavano vuote e silenziose

avevano il freddo sui fianchi anche loro

Le cinquecento e le alfette sgommavano nella polvere

Le targhe avevano numeri sconosciuti

I sedili erano caldi e sporchi di fumo

Le foto del paese dentro al portafoglio

 

La febbre in spalla

 

Jackie aveva sul comodino

Bessie Smith Robert Johnson James Booker John Mayall

Ed il nero suo sopra i dischi

Raccontava la follia nuda.

Ad un passo dalla pioggia testo di Il Cinabro
4

Suggeriti da Il Cinabro


Alcuni articoli dal suo scaffale
Vai allo scaffale di Il Cinabro