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Carletto se ne stava acciambellato sul cuscino sotto la grande finestra della sala da pranzo. Di tanto in tanto drizzava le orecchie ad ogni piccolo rumore proveniente dal bar poco distante; forse per capire se l'anziana padrona stava rientrando in casa, forse per via del gatto che di rado era di passaggio al di fuori della sala, nel giardino sotto la grande finestra vicino a Carletto.
Quella finestra, mai aperta, era spesso motivo di discussione tra l'anziana "mamma" di Carletto e la giovane badante che assisteva la signora quando i figli erano lontani da casa.
Tese di nuovo le orecchie, di un marrone scuro e dalla linea morbida come i lineamenti del muso che contraddistinguevano la sua razza. Si mise su due zampe posandosi sull'asse della finestra. Aveva udito già da diversi momenti i passi di un' anziana umana avvicinarsi alla casa, quando ad un tratto, la figura della sua umana comparve nel cortile in fondo alla rampa di scale oltre il giardino fuori dalla finestra. Era lei. La sua umana.
L'anziana donna salì lentamente le scale. Agito' la coda arricciata color nocciola.
La signora entrò in casa e per prima cosa grattò la piccola testa rugosa di Carletto. Quest'ultimo emise un dolce richiamo sommesso.
Elvira Fassione, in un tempo assai remoto, era stata prima ballerina della Scala e, in un tempo decisamente meno remoto una ricca pensionata con un unico ricordo nella mente: Carlo. O, come lo chiamava lei, Carletto. Titolare di un ristorante in centro Milano, per lei è stato un grande amore. Alto, affabile, folti capelli castani nel periodo del boom dopo la guerra. Deceduto otto mesi prima dell'arrivo del regalo della nipote, un carlino dal pelo color nocciola perché la nonna non si sentisse sola. E infatti lo trattava come un figlio. A Carletto Elvira prometteva cose, come una passeggiata in montagna o un boccone di carne di cervo per merenda.
Ed era di parola. Quello che prometteva, Carletto lo aveva.