Itaca

scritto da Chiara25
Scritto 21 giorni fa • Pubblicato 20 giorni fa • Revisionato 20 giorni fa
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Autore del testo Chiara25

Testo: Itaca
di Chiara25

Al porto il sole non è ancora arrivato e ti metti in coda, pronta per entrare nel ventre di quella nave che si chiama come la destinazione del tuo breve viaggio.

ITHAKH

Si pronuncia “Ithàki” e qui, su questa banchina, due energumeni osservano chi arriva e a tutti chiedono con fare brusco “Ithàki?”. E grazie a loro tu continui a sentirla, questa parola, “Ithàki”, e ti accorgi che per la gente di qui è un vocabolo che appartiene alla quotidianità, non al mito. Provi una specie di straniamento.
Tu la chiami “Itaca” e metti l’accento sulla i.
E Itaca è tua ma non ne hai certo l'esclusiva, Itaca è davvero di tutti.
Ti sporgi un po’ oltre il profilo della nave che ingombra la visuale e là dietro la vedi, Itaca. Ritrai lo sguardo, vuoi aspettare. La vedrai dopo.
Bisogna governare le emozioni.
Però lo bisbigli, quando sei sul ponte della nave: “Sono emozionata”.
Ti prendono in giro. Allora lo dici ancora: “Lo sono davvero”.
Poi ti allontani svelta verso la prua perché il viaggio dura solo mezz’ora e tu vuoi imprimere nella memoria questo avvicinamento.
Itaca è lì, davanti ai tuoi occhi.
Itaca.

Guardi la costa sempre più vicina e cerchi di razionalizzare. Ad esempio vedi che è davvero petrosa perché hai davanti agli occhi una scogliera di pietra rossastra e ora distingui anche il molo avvolto nell’ombra del mattino. Dio, come si addice l’ombra a questo approdo. Non sono nemmeno le otto e mezza e il mare è blu scuro sotto di te, senza riflessi.
I pochi passeggeri sulla nave non hanno voglia di chiacchierare. C’è un silenzio, tra noi pochi qui sulla prua, che sa di attesa. Qualcun altro è emozionato, si vede.
E tu stai lì a considerare lo scarto tra la tua Itaca immaginata e questa vera Ithàki. Quante volte l’hai indicata sulla cartina? Quante ne hai accarezzato la superficie con il dito? E allora perché ti stupisci che sia così vicina a Cefalonia? Solo tre chilometri separano le due isole, da certe prospettive sembrano persino attaccate, una la continuazione dell’altra. E allora perché tu la immaginavi come una sorta di Sant’Elena sperduta nell’Atlantico? Che cosa ti viene in mente? Non lo sai dove è Itaca? Perché ti stupisce sapere che Zacinto è lì dietro? forse basterebbe addirittura voltarsi verso destra per vederla. Non sai dove è Zacinto? Ma certo che lo sai. E allora di cosa ti stupisci?
Eppure è così: volevi la tua Itaca tutta solitaria in mezzo al mare, regina di un mare tutto suo. La volevi irraggiungibile. E ora scopri che è così vicina.
Ma non sei delusa. Per niente.
Scopri di quanto la realtà possa vincere la tua sciocca e limitata immaginazione. Che cos’è la tua facoltà immaginativa rispetto a tutte le realtà che esistono e che non conosci? Dove finirebbe lo stupore se vincesse sempre l’immaginazione?

Sbarchi e sei a Itaca. Te lo ripeti e cerchi di non pensare ad altro. Non è facile. Non si vive mai una cosa per volta.
Solo ora realizzi che è l’isola di Odisseo. Non è strano che tu non l'abbia ancora associata a lui?
Guidi e ti interroghi. Perché non hai ancora pensato a Odisseo?
Rimandi la questione a dopo, ora stai guidando a Itaca: finestrini abbassati e la macchina che non teme curve né salite. Ti hanno dato una Panda che ha persino la sesta marcia e a te scappa da ridere, perché qui è già un miracolo mettere la terza.
Stai guidando per le strade di Itaca. Il sole ora inonda tutto, e il mare vicino alla costa ha dei colori che non sai descrivere. Ti fanno pensare al momento della creazione raccontato nella Genesi.
Altri pensieri arrivano e li lasci arrivare.

Ci sono delle rovine, pietre squadrate e abbandonate a sé stesse. Sarà davvero il palazzo di Odisseo? Non ti emoziona questo posto. Sterpaglie e ruderi incustoditi. Mah.
Poi però ti fermi a guardare gli ulivi e le piante e sbirci sotto le chiome cercando il vecchio Laerte che aspetta il figlio perduto. Ti si spezza il cuore a pensarci. È così facile immaginare un vecchio sotto queste piante, immaginare il vento,  - lo stesso vento secco e salato che ora senti sotto la maglietta -, che rende irsuti i suoi capelli e la sua barba, il sole che cuoce il suo volto e piega le sue rughe a una a una, il caldo che lo spossa, la resistenza che oppone alla morte.
Hai sempre amato Laerte.

In spiaggia ti sdrai in riva al mare, niente libro. Bianco, il cane degli amici, si sdraia vicino a te. È grande e vecchio e ha il muso che parla, Bianco. A te non piacciono i cani, ma Bianco sì, gli vuoi bene. Lui ti guarda e mugula qualcosa, gli sorridi e ti senti così stanca. Qualcuno ti scatta una fotografia senza farsi notare: tu, Bianco, ciottoli e mare e cielo. Itaca. Questa foto la tieni tra le cose care.

Di’ la verità, non ti è mai piaciuto fino in fondo Odisseo.
La svisceri questa questione, lì, in riva al greco mare, e torni la liceale che sei stata.
A Enea non perdonavi il tentativo pavido di fuga silenziosa da Cartagine. Un codardo. Con delle buone ragioni, ma un codardo. Del resto uno il coraggio non se lo può dare.
A Odisseo cosa non perdonavi? Eccoti lì, nella tua camera che studi.
Non puoi dire che Odisseo non ti piaccia in assoluto. Tu ami l'Odissea. Eppure. Eppure qualcosa del suo protagonista ti respinge.
Qual è il punto della storia in cui ti è piaciuto sul serio questo eroe multiforme? Quando si rivela ai Proci e si prepara alla strage a volto scoperto, lì ti è piaciuto senza riserve. Poi no. Non quando, a strage compiuta e avendo già ricevuto tutte le prove della devozione della sua sposa, mette alla prova Penelope prima di rivelarsi (dopo vent’anni che la tua donna è sola! come puoi? ma dove è il tuo cuore? quale mostro marino l’ha mangiato?). E lei, che ha già capito tutto, sta al gioco (dio, ma come fai, dopo vent’anni che non vedi il tuo uomo, come fai a controllarti così? come fai a non buttargli le braccia al collo?). Poi si compiacciono di quanto sono intelligenti, di quanto siano degni uno dell’altra. Ricordo di aver pensato che Penelope e Odisseo erano un Agamennone e una Clitennestra che ce l’hanno fatta. Quanto a me, mi sentivo Calipso. Andromaca. Nausicaa.
E poi, non pago, Odisseo fa lo stesso giochetto col vecchio padre. E si pone pure il problema: che faccio? Vado da lui e mi rivelo subito o fingo di essere un altro? Naturalmente opta per la seconda scelta. Ma come fai a non buttarti ai piedi di quel povero padre che ha resistito a ogni genere di disgrazia tutti questi anni pur di rivederti? Come fai? La me liceale ribolliva. Te lo do io un nuovo attributo formulare, Odisseo!
Ora sorrido di quella liceale. Bianco mi guarda e sembra capire tutto. Gli accarezzo il muso.

E allora che cosa ti lega a Itaca?
Perché immergerti nell’acqua di questo mare ti pare abbia persino qualcosa di simbolico?
Ripensi alla forma di quest’isola, dicono che assomigli a una clessidra perché sono due lembi di terra uniti da una piccola strozzatura. Ma tu hai sentito un’altra storia e osservi la mappa dell’isola su un cartellone a Vathì.
Guardala, non è una clessidra, è un grembo materno, un utero. Capisci?
Itaca, Ithàki: qui è nato tutto. Capisci?
È il motivo per cui leggi. Il motivo per cui storie su storie affollano la tua fantasia da sempre. La tua e quella di tutti gli altri.
No, Itaca per te non è l’isola di Ulisse, è l’isola di Omero. E non venite a spiegarmi che Omero non è mai esistito. Quante isole ha la Grecia? Perché proprio questa? Perché proprio questo posto che anche nel 2025 resta selvatico e selvaggio e sembra dire “vieni, ma poi vai”?

Che cosa sarebbe di noi, senza Itaca?

Te lo chiedi mentre la nave abbandona il porto e tu corri a vedere la scia che imbianca il mare e ti allontana forse per sempre da quell’isola.

Itaca. Ithàki.



Itaca testo di Chiara25
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