Spunti di Innesti Creativi: L'uomo dietro di me

scritto da paroleafiordipelle
Scritto 3 mesi fa • Pubblicato 2 mesi fa • Revisionato 2 mesi fa
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Testo: Spunti di Innesti Creativi: L'uomo dietro di me
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Nella tasca del cappotto c’era un biglietto con scritto solo un numero di telefono.

Ero certa me lo avesse lasciato lui.

 

Alla fermata del treno incontravo tutti i giorni le stesse persone. Pendolari che, come me, si recavano a scuola o al lavoro, alzandosi ad un orario indegno e prendendo il regionale delle 6:28.

Ogni mattina, cuffiette alle orecchie, trascorrevo i quarantacinque minuti che mi separavano da Bologna isolata dal mondo, eccezion fatta per le gomitate che mi dava Irma quando doveva dirmi qualcosa.

Al terzo scossone tolsi una cuffia.

«Dimmi!» Esclamai scocciata.

«Eh no, se non vuoi che ti disturbo ti lascio in pace.» Rispose in un finto disinteresse.

«Dai, cosa volevi dirmi?» Chiesi in tono più dolce.

«Ok ok! Non voltarti ma è da quando siamo partiti che quel tipo non ti toglie gli occhi di dosso. Guarda!»

«O non mi volto o lo guardo. Che faccio?» Domandai confusa.

«Prendi», e mi passò il suo specchietto. «Mettilo nella giusta angolazione e guardalo da qui.»

La squadrai allibita.

«Ma chi sei, l’ispettore Gadget?»

«Dai su!» M’incitò lei.

Posizionai lo specchio come mi aveva indicato la mia amica, e come aveva predetto, era lì, che mi osservava. Cosa ci trovasse poi a guardare una ragazza di media statura, appena alzata dal letto, con i capelli scompigliati dal cappuccio della felpa e il giaccone in lana stile clochard era davvero un mistero.

Restituii lo specchietto ad Irma e rimisi la cuffietta.

Un’altra gomitata.

«Allora?»

«Allora non capisco cos’abbia da guardare! Neanche mi fossi messa in tiro!» Ribattei iniziando ad infastidirmi.

«Ma la smetti? Cavoli, hai uno stile pazzesco. Riesci a far diventare un paio di jeans e una felpa un outfit alla moda. Quella giacca nera che porti sempre poi, è la fine del mondo.»

Ero piuttosto sorpresa. Non mettevo assolutamente nessuna cura la mattina a quell’ora nel prepararmi.

Le sorrisi, ringraziai gentilmente, e le mostrai la cuffietta.

«Ora posso?»

«Come sei noiosa. Ok! Dammene una però!» E allungò la mano verso di me.

Trascorremmo il resto del tragitto in silenzio, ascoltando soft rock. Ma sentivo i suoi occhi su di me, scaldarmi le ossa in quella mattinata fredda e uggiosa.

 

Bologna, stazione di Bologna. Disse l’autoparlante.

Mentre prendevo l’auricolare e la stoccavo nel suo piccolo contenitore, vidi il ragazzo di prima passare accanto al mio sedile.

Dovevo ammettere che aveva un didietro notevole. Quei Levi’s gli fasciavano le gambe in modo sublime.

Era anche parecchio alto, forse 1,80. Capelli castani, un po’ lunghi sul dietro, folti, e non riuscii a non pensare a come sarebbe stato passarci una mano in mezzo.

Le spalle larghe, poi, riempivano un giubbotto mezza stagione color kaki che gli calzava davvero a pennello.

Mentre ero assorta in tutti questi pensieri, ed Irma mi incalzava per farmi alzare dal sedile, lo vidi varcare la soglia del compartimento, e girarsi verso di me.

Avrei dovuto abbassare gli occhi. Avrei dovuto fingere che non stavo fantasticando proprio su di lui. Invece, come un incantatore di serpenti, teneva il mio sguardo incollato al suo mentre lunghi brividi percorrevano la mia schiena facendomi balzare in piedi.

Pochi attimi, poi si volto nuovamente e proseguì nella processione di corpi che scendevano da quella carrozza.

Scesi anch’io. L’avevo perso. Provai a scovarlo guardando prima a destra e poi a sinistra ma nulla. C’era troppa gente.

Così io e la mia amica continuammo verso il sottopassaggio. Raggiungemmo il grande atrio della stazione e mentre la seguivo verso l’uscita fui accostata da qualcuno. Mi sentii spingere da un lato, da qualcuno che, apparentemente, aveva davvero fretta. Avrei voluto dire qualcosa ma quando mi superò, realizzai che era il ragazzo di poco prima. Si voltò per un’istante e, con un cenno del capo, indicò un punto in basso del mio giaccone. Valicò quindi le porte della stazione e scomparve nuovamente.

Provai a toccarmi il cappotto. Magari era sporco o sgualcito. Non vedevo nulla di fuori dall’ordinario.

Infilai quindi una mano in tasca per prendere l’abbonamento dell’autobus e lo trovai lì. Un pezzetto di carta che prima non c’era. E quel numero scritto con la penna blu.

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