Contenuti per adulti
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A star bene, sta una meraviglia.
Un’ intensa sensazione di benessere la pervade.
I muscoli sono sciolti e caldi.
I colori, attorno, le paiono alterati e lo spazio dilatato.
- Non ho fumato, come insinuerebbe qualche amico.
È seduta sulla panchina di legno dove l’umidità del mattino ha lasciato una superficie imperlata.
Poche persone, più in là, nel centro della piazza, fendono l’aria disegnando figure geometriche.
Il bar deve ancora aprire e lei si guarda attorno lentamente.
Non è più abituata ad osservare gli elementi, a roteare la testa in tutte le direzioni possibili.
Da tempo non osserva i contorni delle figure, i corpi nel dettaglio, il cielo nella sua vastità.
Non fissa i particolari di un tutto, sempre più indistinto, e apparentemente omogeneo.
- Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto secondi almeno di concentrazione e d’ intento.
- Incredibile quanto basti poco per sentirsi bene.
Se lo era dimenticata.
A breve, deve muoversi.
Ma per andare dove?
Ah, certo, per accompagnare Mattia a scuola.
Ma quando?
Orientandosi con la luce del sole e quel che deve ancora arrivare non riesce a quantificare un tempo.
Con il braccio sinistro percorre braccio e avambraccio destro: non indossa l’orologio.
Allora, infila la mano in tasca, ma non ha con sé il cellulare.
Cerca nel parco, in direzione del vecchio orologio nero sul palo di cemento, accanto ai due campi di ping-pong, ma le lancette sono affogate nella condensa.
Non si leggono i numeri e la lancetta dei secondi ha smesso di funzionare.
Qualche mamma e papà assonnati che trascinano dietro pargoli con gli occhi chiusi cominciano a vedersi. Sono lì, che rischiano la vita attraversando sulle strisce pedonali con gli occhi fissi sul cellulare.
- Io non sarò mai solo così.
Lo spavento di questo pensiero reiterato, lo scansa con la noia, sana reazione all’essere sempre telecomandata dentro un recinto di app e connessioni, di informazioni suggerite, indicate, semplificate e accorciate, ma sempre indotte.
- Manca solo l’imposizione.
Mentre riflette sulla propria capacità di entrare ed uscire dai recinti dei collegamenti, una palla le rimbalza addosso.
Un pallone di cuoio da calcio, con pentagoni neri e bianchi, dopo averla colpita ritorna a muoversi in direzione di uno dei due campi da ping-pong.
Un signore calvo, con le gote disegnate da rughe e una impercettibile peluria bianca le sorride. Si riprende il pallone, che a fatica infila nel sacco a rete contenente una decina almeno di altri palloni di svariate dimensioni e fattezze, e con incedere lento e incerto si allontana dal parco.
- È la mia ora di andare.
Corre a casa da Mattia.
Entrata in casa, è lì che finisce di spazzolarsi un informe caschetto. Si è allacciato bene le scarpe, abbottonato i calzoni e infilato il maglione nel verso giusto. Sotto il maglione ha indossato una maglia bianca di lana. Quella che le ha piegato la sera prima e poggiato sulla sedia accanto al letto.
- Perfetto, gli dice.
- Siamo pronti.
- Mamma, ma stai dimenticando questo, e le porge il cellulare.
Indispettita lo prende e osserva che la chat delle mamme, silenziata da sempre, ha cominciato già a sproloquiare su tutto.
Se lo infila in tasca, Mattia è incastonato tra il braccio sinistro ed il busto, e chiude la porta dietro di sé.
Scende le scale tanto felice quanto annoiata e, pur essendo in due, si sente alla guida di una folla oceanica.
P.S.
In questo testo, come nei precedenti, non c’è traccia di AI.