LA BARRIERA DI VETRO
Odio queste feste. Sono solo un modo come un altro per tentare di socializzare l’un l’altro, un ripiego per dirsi e ridirsi sempre le stesse cose. E li sento ridere al di là di questa esile porta, l’unica barriera posta tra me e quello squallido agglomerato di persone insignificanti.
Mi guardo allo specchio. Ho gli occhi lucidi e arrossati ma non sono ancora così ubriaco da non sentire le loro voci...
“Perché state ridendo tutti?”
“E’ per Matteo, Elena.”
“E perché Mara?”
“Si è chiuso in bagno da almeno mezz’ora e non vuole più uscire.”
Qualcuno bussa alla porta, e lo fa così forte che sembra quasi volerla in qualche modo sfondare. Io chiudo gli occhi e resto fermo.
“Lo vedi? Io ‘busso’ e lui non risponde.”
“Oh, lo sai com’è fatto, Carlo. Se vuole stare da solo, faccia pure, tanto ha trovato il posto che si merita. Perché invece non prepariamo il narghilé?”
“Ma Monica... non sarebbe meglio una canna?”.
“Oh, di quelle ce ne fumiamo già così tante. Cambiamo un po’ dai.”
“Ok, vada per il narghilé. Ma che sia bello forte.”
“Sicuro. Metteremo nell’acqua qualcosa di alcolico, non preoccuparti.”
“Matteo, vuoi unirti a noi o vuoi stare chiuso lì dentro per tutta la sera?”
Continuo a non rispondere.
“Che tipo strano. Ragazzi, qualcuno vuole bere qualcosa mentre lo prepariamo?”
“Io. Un aperitivo è quello che mi ci vuole.”
“No, Andrea, dai. La serata è appena iniziata. Avremo tempo dopo per sballarci.”
“Ok. Vada per una coca allora.”
“Qualcuno vada in cucina a prendere delle patatine e dei salatini, per favore...”
Riapro gli occhi e mi guardo nuovamente allo specchio, senza smettere di chiedermi perché ho deciso di venire qui. “Tentativo di socializzare” afferma una parte di me, ma io non sono mai stato di compagnia ed ormai dovrei saperlo molto bene. Sono sempre stato grasso, tanto che da piccolo buona parte dei miei compagni di scuola mi chiamava ‘Bombolo’, ‘Ciccio Ciccione’ e chissà cos’altro; una volta mi ero proposto come portiere della squadra di pallamano, e qualcuno mi aveva ironicamente risposto che poteva essere una buona idea, dal momento che ero talmente grosso da poter occupare tutta la porta. Poi, un anno più tardi, era arrivato da non so dove un’altro ragazzo grasso quasi quanto me. Fu un sollievo, perché da quel momento in poi le critiche e i dispetti si dimezzarono: metà a me, metà a lui.
“E piantala!”
“Dai, Mara, non fare così.”.
“Adesso non ho voglia, Luca. Magari più tardi.”
“No, dai, adesso. Tanto sono andati tutti in cucina.”
“Oh mamma mia: ma è possibile che sei sempre così assatanato?”
“Sì, brava, abbassami la cerniera...”
Dalle ombre riflesse sul vetro della porta posso praticamente ‘vedere’ quello che quei due stanno facendo. E, a giudicare dai gemiti di Luca, è chiaro che Mara sta ‘lavorando’ veramente bene, proprio come nel loro ufficio, tra una pausa e l’altra.
Io invece questa mattina in ufficio non ci sono proprio andato. Ho inventato la classica scusa dell’influenza e, piuttosto soddisfatto all’idea di stare almeno per un giorno lontano dai pettegolezzi delle colleghe, mi sono fatto una doccia e mi sono masturbato. Ho indossato un accappatoio e mi sono preparato la colazione (fiocchi di mais e latte caldo). Mi sono poi vestito e sono uscito fuori per fare una passeggiata. Al mio rientro, ho guardato fuori dalla finestra il cielo nuvoloso e mi sono chiesto che cosa avrei fatto se avesse iniziato a piovere. Ho attraversato lentamente ciascuna delle stanze esaminando con attenzione tutto quello che mi è capitato a tiro e poi, stanco ed assonnato, mi sono rimesso a letto nel vano tentativo di addormentarmi.
Già, perché di notte dormo poco o nulla. E ancor meno di giorno. Da quando mia moglie è morta non sono più lo stesso. Quella sera si era seduta sul bordo della vasca e mi aveva passato una mano sui peli bagnati del petto.
“La sai la novità?” mi aveva detto. “Ho trovato un lavoro. Cassiera.”
“Bene” gli avevo risposto io battendo entusiasta le mani. “E quando cominci?”
“Domani mattina.”
Io avevo annuito estremamente compiaciuto; fare la cassiera non era in effetti un granché, ma era sempre meglio che niente.
“Senti amore, vado di là a preparare qualcosa per cena, va bene?”
Io avevo nuovamente annuito. Ero uscito dalla vasca fischiettando un motivetto che mi ero inventato lì sul momento, mi ero asciugato con cura e avevo indossato un accappatoio. Poi mi ero diretto in cucina e l’avevo trovata accasciata sul pavimento. Aveva perso i sensi e non respirava praticamente più. L’avevo girata verso di me e avevo iniziato a praticarle il massaggio cardiaco e la respirazione a bocca a bocca, avevo poi chiamato il 118 col cellulare ma non c’era stato più nulla da fare. Mia moglie era deceduta a seguito di un infarto del miocardio, questo era stato più tardi il responso del medico.
“Vengo, Mara, vengo. Apri la bocca.”
“Ma se ci vedono gli altri...”
“Non m’importa amore. E poi lo so che ti piace.”
“Sì, ma quando siamo soli.”
“Perché? C’è qualcuno qui?”
“Matteo. Lo sai che è chiuso in bagno, no?”
“E chi se ne frega di quello stupido ciccione? Se ci sente tanto meglio, e la volta buona che si sveglia un po’. Apri la bocca, dai”
“Mmmm e va bene. Ma poi basta per stasera, ok?”
“Sì, sì...”
Due anni. Sono passati due anni da quando mia moglie mi ha lasciato. E qualche volta, se mi guardo allo specchio ho quasi l’impressione che lei sia alle mie spalle. Proprio come adesso. E quando questo accade riscopro dentro di me una forza che fino a qualche istante prima pensavo di non possedere. Ecco allora che raccolgo la pistola da terra ed inizio a puntarla contro il vetro della porta.
Sorrido.
Faccio scattare il grilletto.
La pistola è scarica e il vetro non va in frantumi come vorrei...
“Ehi, cosa state facendo voi due?”
“Ci stiamo divertendo un po’, Monica. Vuoi unirti a noi?”
“E piantala, cretino.”
“Mamma mia se ce l’hai grosso.”
“Senti bella: Luca sta con me e con nessun’altra, chiaro?”
“Ma sentila. Ha parlato quella che si scopa l’amante quando il marito è a Milano per lavoro.”
“Non ti permetto di...”
“Adesso basta Mara. E anche tu , Monica, dai...”
“Uff... e va bene, vi lascio soli a ‘divertirvi’ ancora per un po’. Ma guardate che di là il narghilé è quasi pronto”.
Ieri sera ho sentito il battito del cuore così forte che mi è sembrato quasi un rullo di tamburo. Mi sono voltato sulla pancia ma la situazione non è migliorata. Ho provato allora ad ascoltare altri rumori, ma non ho udito nulla ed ho iniziato a piangere con la bocca premuta contro il cuscino.
Mi sono alzato e sono andato in bagno. Mi sono lavato le mani, la faccia e sono andato in cucina. Mi sono acceso una sigaretta e ho iniziato a sfogliare una rivista. Di tanto in tanto ho alzato gli occhi restando in ascolto, ma ho continuato a non udire nulla.
Ho così deciso di tornare a letto procedendo a tentoni lungo la parete. Dopo un lasso di tempo che mi è sembrato praticamente infinito, sono arrivato in camera da letto e, con le gambe tremanti, mi sono infilato lentamente sotto le coperte.
“Stupida puttana, ma chi si crede di essere?”
“Adesso non esagerare. Ha detto la verità e lo sai fin troppo bene.”
“Ha la lingua lunga la tua amichetta, ma un giorno o l’altro giuro che gliela taglio...”
“A proposito di lingua, perché ti sei fermata?”
“Perché non ho più voglia.”
“Ma sto per venire.”
“E allora fatti fare un pompino da quella stronza, visto che la difendi così tanto.”
“Dai Mara, non fare così adesso...”
“Io sono stanca, Luca. Ho un marito che di me non ha mai capito nulla, un amante che s’impasticca tutti i venerdì sera e, come se non bastasse, c’è un idiota chiuso nel cesso che alla prima occasione andrà a spifferare i cazzi miei a tutto l’ufficio.”
“Dai Mara, vieni qui. Guarda cos’ ho per te.”
“Non le voglio le tue pastiglie. Non le vogl...”
“Brava amore. Apri la bocca, così...”
“Sei un bastardo.”
“Dai, Mara, non piangere e vieni qui da me.”
Sorrido all’idea che una mia collega possa pensare che io sia una spia, o comunque una persona che non sa farsi gli affari propri. Riposo la pistola sul pavimento e continuo a credere che dovrei dimagrire. Ho provato a far ginnastica e le diete più svariate; per un certo periodo sono perfino diventato vegetariano, ma non è servito a nulla. Mangio e bevo a dismisura, e il mio psicologo mi ha anche detto il perché: carenze motivazionali, d’affetto e di qualcos’altro che non riesce ancora a identificare.
Il fatto è che non riesco a nutrirmi solo di verdure o succo di pompelmo, e la dietologa dalla quale sono andato fino a qualche giorno fa, non l’ho mai sopportata. Ad ogni modo, dico sempre a me stesso che prima o poi qualcosa farò, anche se non so ancora bene cosa.
Le mani iniziano a farmi male e le muovo, sentendo le grosse dita che si aprono e si chiudono; le tengo ben lontane da me temendo quasi che, dotate di una volontà loro, decidano prima o poi di strangolarmi...
“Ehi, ma dove sono andati quei due?”
“In camera da letto.”
“Uff, sempre a fare sesso. Ogni angolo per loro è sempre buono per scopare. Se sapessero quante volte li ho filmati in ufficio col telefonino...”
“Ah sì? E come hai fatto?”
“Ingegno, Elena, ingegno. Mi sono sempre nascosto sotto la loro scrivania, e non se ne sono mai accorti.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Comunque sembra proprio che questa volta la situazione sia diversa. Mara non si è sentita troppo bene e Luca l’ha fatta sdraiare sul letto.”
“Per poi scoparsela non appena lei starà meglio. Vedi che la situazione non cambia?”
“Sei sempre il solito, Andrea.”
“Già.”
“Ad ogni modo, chissà come reagirebbe Mara se sapesse che sono l’amante di suo marito.”
“Cosa? La sua amante?”
“Sì. E ti confesso che la cosa mi piace molto.”
“Quindi non è vero che Mario è sempre in giro per lavoro.”
“A volte sì. Ma quasi sempre viene a ‘lavorare’ a casa mia.”
“Questa sì che è bella. Elena, sei veramente una stronza.”
“Grazie del ’complimento’, ma adesso basta parlare di quella scema. Andiamo invece di là fumare ancora un po’ di narghilé...”
Elena è una ragazza davvero bella: è bionda, alta, ha gli occhi azzurri e dei seni prosperosi. La sua spregiudicatezza le consente molto spesso di ottenere quello che più desidera, e ripenso alle sera di sei anni fa quando, in campeggio, ci eravamo messi a giocare a carte tra una bottiglia di birra e l’altra. Eravamo andati avanti così per un paio d’ore finché, stanchi ed ubriachi, ci eravamo divisi tra quelli che andavano a dormire nel loro sacco a pelo e quelli che andavano a fare un bagno nell’acqua gelida del fiume. Io ed Elena eravamo tra questi ultimi naturalmente e lei, così come il sottoscritto, si era spogliata rimanendo però - a differenza di me - senza il costume.
Poi, accendendosi con calma una sigaretta, aveva detto a gran voce che sarebbe uscita di corsa dalla tenda per dirigersi poi verso il lago. Noi, contando fino a dieci, saremmo dovuti uscire a nostra volta per rincorrerla e il primo che l’avrebbe raggiunta si sarebbe guadagnato una “lunga notte indimenticabile”.
Io lasciai perdere fin da subito: grasso com’ero, non avrei avuto alcuna possibilità di raggiungerla prima degli altri. Marco, invece, fu il primo che la raggiunse e che si guadagnò da subito il “premio” tanto ambito. Poi arrivarono anche gli altri tranne il sottoscritto che, nel frattempo, si era unito a coloro che erano andati a dormire...
“Mara sta male, Carlo.”
“Cos’ha?”
“Dice di voler rimettere.”
“Okay. Dov’è il problema?”
“Il bagno, Carlo. E’ ancora occupato.”
“Cosa? Quello scemo di Matteo è ancora rinchiuso lì dentro?”
“Sì, almeno così sembra.”
“Ehi, imbecille, devo tirarti fuori di lì a calci in culo o ti decidi ad uscire da solo?”
“No, esco io da solo” rispondo.
Qualcosa dev’essere andato storto. Sento qualcuno che sta correndo su e giù per il corridoio, intimando a gran voce di chiamare un’ambulanza.
Mi guardo ancora una volta allo specchio e mi passo la lingua sulle labbra. Raccolgo la pistola e me la metto nella tasca del giubbotto. Mi avvicino poi alla porta e giro la chiave: dopo due scatti, abbasso la maniglia e finalmente esco.
Lo spettacolo che si presenta davanti ai miei occhi è a dir poco raccapriciante; Mara giace a terra, apparentemente svenuta, ma il suo aspetto non mi convince. L’estremo pallore del suo viso e le pupille dilatate mi fanno sospettare un arresto cardiaco, esattamente come quello che era capitato a mia moglie due anni fa. C’è Luca inginocchiato accanto a lei, che tenta di rianimarla con dei colpetti sulle spalle. Si guarda intorno visibilmente preoccupato, ma a me non presta minimamente attenzione; eppure sono fermamente convinto che, tra quella massa d’imbecilli, io sia l’unico che possa in qualche modo aiutarlo. Inizio così ad avvicinarmi al corpo inerme di quella poveretta, quando inizio a sentire il lieve suono di una sirena che, a mano a mano che i secondi passano, diventa sempre più forte. L’ambulanza sta ormai arrivando, e posso praticamente fare a meno d’intervenire; in effetti, non ho neanche il tempo di dar loro le spalle che i soccorritori piombano nell’appartamento con tanto di barella a portata di mano. Io intanto mi avvio verso il pianerottolo, fuori da questo squallido appartamento quasi del tutto privo d’arredo e pervaso dall’odore di tabacco bruciato.
Poi, proprio mentre sto iniziando a scendere le scale, noto alla mia destra la presenza di una ragazzina bionda ranicchiata contro il muro. Sta piangendo e mi sta guardando. Non l’ho mai vista prima e non credo che sia stata invitata alla “festa”, ma ad ogni modo le stringo le mani e l’aiuto ad alzarsi. Lei mi abbraccia e mi chiede di portarla via da qui; io obbedisco all’istante, lieto che mi abbia notato...
LA BARRIERA DI VETRO testo di Bondorello