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Lo spavento
Avuta notizia dell’avvicinarsi di un’epidemia di colera, nel 1837 Giuseppe Gioacchino Belli che ha da poco perso la moglie, gravato dalla preoccupazione d'assicurare un futuro al suo unico figlio Ciro allora tredicenne, si decide a scrivere il suo testamento. Evidentemente affascinato dall’idea che le sue parole risonassero anche dopo la sua morte, da questa specie di estensione della sua vita per bocca di un altro, ne scrisse più di uno. Esiste un suo testamento segreto, nel quale al punto quindici si legge: “Presso il signor Domenico Biagini esiste una cassetta di miei manoscritti in versi. Si dovranno ardere.”
996
A questi numeri, Belli aveva affidato la sua cifra. I due nove sono le g di Giuseppe Gioacchino, e il 6 sta per la b di Belli, tutte minuscole. Altri sonetti sono firmati da un anonimo “Peppe er tosto”. La trasformazione di Giuseppe in Peppe si chiama riduzione fonetica.
1849 – Commetto io sottoscritto
Quest’anno, che coincide con quello della nascita e fine della Repubblica Romana è un anno terribile per il Belli, preoccupato per la chiamata ricevuta da suo figlio alla leva obbligatoria nella guardia civica della Repubblica Romana stessa. Scrive un'altra volontà testamentaria, nella quale si scaglia ancora contro i suoi sonetti: “ ..da me condannati indistintamente al fuoco affinché non sian dal mondo mai conosciuti, siccome sparsi di massime, pensieri e parole riprovevoli”. Sempre in quest’anno brucia molti suoi manoscritti, le minute dei sonetti.
21 dicembre 1863
La sua morte è raccontata da un testimone oculare, suo nipote Giacomo: “Saranno state le cinque o le sei, ” Belli “si aggirava come il solito attorno al tavolo dove i nipotini facevano i compiti, con uno scialletto sulle spalle e lo scaldino tra le mani, improvvisamente ebbe uno sturbo, uno svenimento, cadde e in capo a qualche ora morì.”
Una cerchia d’amici
Al momento della morte i sonetti non si trovavano a casa sua: bensì erano conservati da Monsignor Angelo Tizzani al quale li aveva consegnati il poeta stesso. Oltre al già citato Domenico Biagini ricordo altri amici del Belli: Giacomo Ferretti, Francesco Spada e Filippo Ricci ai quali spetta il merito di aver creduto che quella fosse letteratura e che non andasse assolutamente dispersa.
A Vanda mia
(per il suo compleanno)
Proprio oggi ho parlato cor core.
Ho trovato ‘n’appoggio sincero,
quanno un padre, che parla d’amore,
sò parole sincere davero.
Che te dissi, nell’anni passati:
li ricordi soavi, la vita
c’era tanta dorce infinita
che li tengo ner core legati,
e pè fatte l’augurio più bello
vedi Vanda, vorebbe portatte
una cesta de rose scarlatte,
una gemma, una spilla , un anello.
Mà, a ste cose c’è sempre la fine
dunque, accetta sti poveri verzi:
mà st’attenta, nun vadano perzi,
perché l’anime, stanno vicine.
Firma: papà