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È uno dei miei primissimi componimenti, scritto sui banchi di scuola. L'ho ritrovato tra le pagine di un vecchio diario, e ho provato a riscriverlo rivedendone alcune sbavature ma cercando di mantenere inalterato l'impianto di fondo. È la rilettura di un classico della spiritualità dell'Avvento, un mio piccolo omaggio ad un Grande Maestro.
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I
Sono stato una piuma nel vento,
sono stato un granello di sale;
sono nato nel mille e duecento,
ho viaggiato per terra e per mare;
ho viaggiato su un cesto di paglia,
ho viaggiato sulla mia barca;
sono stato uno scudo in battaglia,
sono stato la corda di un'arpa.
Ascolta il racconto che ora sto per narrare
di chi perse il suo tempo in un sogno fatale.
Se mi cerchi, porto un grave fardello.
Se mi chiami, e la chiave non s’apre,
Io ero là, col mio gregge di capre,
Io ero là, ero quel pastorello.
Chiara brillava la luna
e le vie illuminava a distesa:
nel vespro appariva l’immagine
di una minuscola chiesa.
Era buio, era freddo, in cantina
tra le botti di un’antica taverna:
ne ho varcato la soglia più inferna
non riuscendo a riprender la china.
E annaspando carponi, ora a braccio,
tra la folla e un vociare di gente
era un lupo, era un toro, un serpente
che sentivo incalzare al polpaccio.
Non sentivo più il tempo che scandiva la storia,
come una favola scritta a memoria.
E questo è quel sogno
che ti voglio narrare
che il giovane Olav
sognò per Natale.
Beato chi in terra
provato ha il dolore
di spegner l’orgoglio
ed accendere il cuore.
Ho visto gli uccelli
migrare al tramonto
sull’orlo di un palpito
volto al confronto.
Ho visto la pioggia
cadere copiosa
sui campi, sull’erba,
sul giglio e la rosa.
Ho visto la neve
ammantare di bianco
le vie dei viandanti
dal passo mai stanco.
Ho visto una grotta
con dentro un presepe,
presagio di nascita
oltre la siepe.
II
M’han trovato davanti a un convento,
la mia culla era un calco di gesso;
sono morto nel mille e trecento
e rinato due secoli appresso.
Sono stato la schiuma dell’acqua,
sono stato un sussurro nell’aria;
ho provato il sussulto che s’attua
quando l’ora si fa più contraria.
Ascolta il bisogno di fermarti a guardare,
alimenta la fiaccola del focolare.
Se mi cerchi, nella festa che arriva;
se mi chiami, e la stanza è socchiusa;
Io ero là, con la mia cornamusa,
Io ero là, che suonavo la piva.
Chiara brillava la luna
all’aura del primo imbrunire:
il prete intonava l’antifona
del cantico del miserere.
Era buio, era freddo, nel bosco
sul sentiero di una fioca lanterna:
ho imboccato l’angusta caverna
dove è nebbia tutto ciò che sconosco.
E, passando gli ingressi al crivello,
tra uno spasimo e l’ansia che sale
era un’aquila, un drago, un cinghiale
che sentivo azzannarmi il cervello.
Mi sentivo distante, perso nell’atmosfera,
come una nuvola errante la sera.
E questo è quel canto
che ti voglio cantare
del giovane Olav
e del suo sogno d’Amore.
Beato chi in terra
svestito ha il mantello
per farne coperta
a chi è senza un fratello.
Venite, adoriamo
la Stella Cometa
che invita il cammino
indicando la meta.
Venite, adoriamo
il fusto ed il legno
dell’Albero Sacro
spiccato sul regno.
Venite, adoriamo
la bianca colomba
col suo tortorare
che ovunque rimbomba.
Venite, adoriamo
la Madre Celeste
dal candido grembo
che scopre e riveste.
III
Sono d’ambra, sono d’oro e d’argento,
sono lacrime, sono il sudore,
sono mirra, sono i fumi d’incenso
che consumano intorno all’altare.
Sprofondando nell’abisso più nero
e innalzando su, in alto, il pensiero
ho volato su valli profonde
e ho nuotato, sfidando le onde.
Tu raccogli l’incanto di queste parole
risalendo la scia del destino del sole.
Se mi cerchi, scendendo dal letto;
se mi chiami, e quel chiodo è un assillo;
Io ero là, con un nastro e un vessillo,
Io ero là, ero quell’angioletto.
Chiara brillava la luna
tra il folto della pineta:
il prete leggeva le pagine
del salmo della compieta.
Era buio, era freddo, nel pozzo
e la notte sembrava ora eterna:
son riemerso da una cisterna
aggrappandomi a un argano mozzo.
E, asciugandomi l’umido aspetto
dalle tracce di questa versione,
era un corvo, un ariete, un leone
che sentivo ruggire nel petto.
Non sentivo più niente per sentirmi al sicuro,
come una tegola appesa sul muro.
Tu sogna quel sogno
che ti invito a sognare
che il principe Olav
sognò per Natale.
Beato chi in terra
ha sporto la guancia
al ladro e al nemico
armato di lancia.
Venite, adoriamo
la Notte più Santa
danzando nell’alba
col gallo che canta.
Venite, adoriamo
il melo fatato
che s’offre nel frutto
di chi l’ha mangiato.
Venite, adoriamo
l’alata cicogna
che lascia sui tetti
un fanciullo che sogna.
Venite, adoriamo
il Pargol Divino
che ha impresso il suo segno
nel farsi piccino.
IV
Sono porfido, marmo e cemento
che s’intaglia nella pietra angolare,
son tornato nel duemilacento
per erigere una cattedrale.
E se scorri il disegno, sin dal pavimento,
canterai sulle tredici note d’Avvento.
Se mi cerchi, porto un nome d’agnello;
se mi chiami, senza dartene noia,
Io ero là, dietro la mangiatoia,
Io ero là, con il bue e l’asinello.
Chiara brillava la luna
e le vie illuminava a distesa:
il prete attendeva i fedeli
nell’andito della sua chiesa.
Era freddo, ma era denso di luce
dove sta chi ci regge e governa:
ne ho varcato la porta superna
e ho compreso quel senso di pace.
Ed appeso ad un dubbio, o a un azzardo,
sulle trame di un’altra visione,
era un orso, era un cervo, un grifone
che infocava d’insieme al mio sguardo.
E avvertivo la gioia, mescolando i colori,
come una tavola adorna di fiori.
E questo è quel canto
che ti voglio cantare
che Olav, il re,
cantò per Natale.
Beato chi in terra
ha ucciso il suo io
compiendone il gesto
al cospetto di Dio.
Venite, adoriamo
la vampa turchina
che illumina il cielo
da sera a mattina.
Venite, adoriamo
l’aguto agrifoglio
di rosso vestito
ora ricco, e già spoglio.
Venite, adoriamo
il pio pellicano
che porta i suoi doni
a chi è più lontano.
Venite, adoriamo
il Nostro Signore
disceso qui al Mondo
a insegnarvi l’Amore.
(...)
Venite, adoriamo
il Cielo e la Terra
e uniti preghiamo
che cessi ogni guerra.