Volere Volare

scritto da FioreDinverno
Scritto 3 anni fa • Pubblicato 3 anni fa • Revisionato 3 anni fa
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Per stavolta non vi spoilero nulla...
- Nota dell'autore FioreDinverno

Testo: Volere Volare
di FioreDinverno

Non ho mai amato l’inverno;
né il suo gelo, né il suo freddo.
Era per me motivo di grande insoddisfazione, al mattino, alzarmi e indossare le fredde camicie, le cravatte asfissianti, le giacche astringenti, e dirigermi verso quel lavoro che fondamentalmente neanche avevo scelto.
D’estate, almeno, riuscivo a godere del bel tempo durante il tragitto; ma vivendo in un luogo freddo, maldicevo le ore in cui ero sveglio, che quelle in cui dormivo.
Il percorso era sempre lo stesso:
garage, strada diritta, ufficio.
Ufficio, strada diritta, garage.
Ero un giovane uomo di bell’aspetto, socialmente accettato e benestante.
Avevo molti amici, una famiglia emotivamente indipendente e ragazze occasionali, che mi aiutavano a soddisfare l’istinto animale quando faceva capolinea.
Non volevo bene a nessuno, profondamente. E nessuno voleva bene me.
Ero stimato. Ma l’affetto…beh, quello non c’era.
Di questa esistenza patinata vi fu la fine in un mattino di Febbraio, quando l’auto che avevo tanto desiderato, uscì fuori dalla corsia che mi spettava, costringendomi a una morte veloce ed indolore.
Di quei pochi istanti non ricordo quasi nulla, non saprei raccontarvi, in modo sincero, cosa sia morire.
L’unica cosa che so per certo, è che dentro di me, qualcosa mi fece comprendere che ero immensamente dispiaciuto di questa fine: teoricamente, non volevo morire.
Anche se la mia, non era vita.

Mi risvegliai in un’altra dimensione, in un luogo a me sconosciuto; e fui sorpreso di aver trascinato con me i dolori dell’incidente. Mi faceva particolarmente male un braccio, camminavo in modo alquanto curioso, indossavo vestiti molto più colorati e caldi di quelli appartenenti al mio basico armadio;
gli odori erano più fitti al mio naso, i sapori più supplicanti di natura e non di pasti precotti;
Mi scoprii avere anche una bella voce, con una vista super acuta,  e due occhi marroni profondi e brillanti di un’intelligenza che nell’altra vita sentivo venir meno ogni giorno di più.
Ciò che rimase immutata fu la mia voglia di calore; il freddo continuava a non piacermi.
E quello che più mi sembrò surreale, fu la sensazione che provai intensamente per la prima volta nel mio cuore: ero felice.

Avevo preso questa strana abitudine di saltellare un po’ qui, un po’ lì.
Inoltre, avevo sviluppato una gran paura delle altezze. Ci pensate? un tipo come me, spesso in giro su qualsiasi aereo, improvvisamente aveva paura anche di percorrere una piccola rampa di scale.
Mi abituai presto a quell’idea, perché altre cose catturarono la mia curiosità.
Si, esatto. Mi riscoprii curioso.
In pochi secondi mi concentrai su una bella voce femminile, che ondeggiava tra le pareti di quella che capii essere subito la mia nuova casa.
Non riuscivo a captare da quale stanza provenisse, ma ne sentivo la connessione quasi vitale.
L’armoniosità di quel suono mi richiamava come un serpente al suo flauto, e una sensazione di calore si irradiava in me ogni volta che le note di quelle corde vocali si infrangevano sul mio naso.
I raggi di luce che mi colsero in volto furono un balsamo ancora più forte, che misti al suo suono mi fecero sprofondare in un vertiginoso stato di benessere.

Fu nel momento in cui mi girai verso la porta, che la vidi.
Era una figura femminile poco delineata, più un’ombra che si dirigeva verso di me. Ma non mi suscitava alcun tipo di paura.
Con la sua bella melodia mi si avvicinò accarezzandomi sulla fronte, e io restai a guardarla come incantato.
Non avevo la minima idea di chi fosse, ma quella sua carezza mi fece dimenticare ogni passato dolore.
Mi accorsi che sul volto mi si formò un sorriso, e ricambiai la carezza spingendo la mia fronte sul suo dito.
Nessuno mai mi aveva toccato in quel modo.
La guardai felice di quel che stava accadendo, e lei mi disse qualcosa che dai toni sembrò molto tenero, ma non riuscivo a capire la sua lingua.
Era la sua musica a definire il mio benessere, non le sue parole.
La vedevo allontanarsi ed avvicinarsi in più prese, e ogni volta che andava via, dentro me si creava un vuoto che subito veniva colmato non appena l’ombra si aggirava ancora attorno alla mia figura.
Dai miei occhi brillanti mi ritrovai ad osservarla con grande devozione; l’imprinting avuto mi fece subito pensare che quella potesse essere senza ombra di dubbio, mia madre.
Non riuscivo a realizzare, però, la motivazione per la quale io provassi quel sentimento.
Mia madre era rimasta nel mondo dei vivi, stava piangendo la mia morte.
Povera donna, ero così dispiaciuto di questo.

Decisi di appollaiarmi in un angolo della stanza, fissando dalla finestra quegli alberi che tanto emanavano profumo di mimose e di primavera in arrivo. Riuscivo a sentire ogni odore a distanza di metri, e questo mi aiutò a scrollare via il pensiero del male che avevo lasciato alle spalle; dopotutto, capii che non potevo rimediare al danno; dovevo accettare il dolore.

Trascorsi un periodo che mi sembrò infinito, alternandomi su una gamba e poi sull’altra, provai anche una sensazione di sonnolenza improvvisa; mi grattai un orecchio, poi, stiracchiandomi, sbadigliai.

L’ombra rientrò nella camera con fare agitato, qualcosa l’aveva turbata.
La sentivo girare in modo estenuante tra le mura che ci includevano; percepii anche un po’ di paura.
Cercai di rimettermi in piedi per captare il suo malessere, e quando la vidi sedersi e piangere, l’istinto mi spinse a chiamarla con un fischio.

Non mi ascoltò.

Fischiai in modo ancora più acuto. Ma non violento.
E lei, si girò.

“Cosa vuoi? Lasciami in pace anche tu.”

Restai ad osservarla.

“E’ inutile che mi guardi così, lo sai che adesso non voglio stare con nessuno.”

Inclinai un po’ la testa.


“Smettila, non mi fai tenerezza.”


Fischiai con più impeto. Volevo che mi guardasse bene.

“Uff. Riesci sempre a vincere tu, con questo sguardo così curioso. Ma cosa vuoi?”

Si porse verso di me offrendomi un dito, e lentamente, con una mano, lo afferrai.

Mi diede un bacino sul naso, e io mi gonfiai di orgoglio.
Avevo fatto felice la mamma.


Vedevo le lacrime rigare la sua guancia e continuai ad inclinare il volto come a dirle: “Adesso smettila.”
E fischiai con allegria.

Lei sorrise, e dimenticò per un secondo i pensieri.

“Sei proprio uno scemo.” Disse, asciugandosi con il bordo della manica.
Mi accorsi, dunque, che riuscivamo a capirci anche se parlavamo due lingue differenti.  

“Vuoi mangiare?” mi disse.
Ma io non avevo fame.
Volevo solo stare con lei.

“E va bene.” Disse, tenendomi con sé.

Il contatto con la sua pelle era delicato, e stare insieme, rendeva sereni entrambi.
In un istante smise di lacrimare, e riprese quel di cui si stava occupando.
Io mi poggiai accanto a lei ad osservarla e a riscaldarmi col suo tepore.
Ci volevamo bene, e nessuno dei due probabilmente ricordava il perché. Era naturale ed improvviso.

“Mi dispiace sai…” mi disse, mentre io mi grattavo di nuovo l’orecchio.
“Non meritavi di nascere con un’ala malformata. Insomma, è brutto non poterti veder volare.
Magari un giorno, potrò crearti una bella protesi e spiccherai il volo!”

La guardai con sguardo dubbioso, di cosa diamine stava parlando?

“Sono certa che sei felice lo stesso, dopotutto ho comprato per te ogni tipo di cibo sano, ogni giochino e campanellino….ah e la cosa più divertente, è che ti ho comprato uno zaino.”

Eh?

“Sì! Così possiamo fare lunghe passeggiate. A me piacerebbe portarti con me. Che ne pensi?”

Fischiai, sconvolto, ma accorgendomi di approvare quel suo entusiasmo.

“Esatto! Così se non riesco a farti volare, almeno puoi girare il mondo assieme a me…che ne pensi?”

Continuò, dandomi un altro bacio sul naso.

“Sei un bravo pappagallo, cocchetto. Sono proprio felice di averti incontrato.”

Restai per un attimo basito. Avevo compreso di essere diverso ma…

pappagallo!?

Roteai su me stesso e mi accorsi di avere uno splendido manto di piume colorate, e un becco chiaro e squillante.
Sorrisi a quell’idea, cosa era successo!?
Non mi posi altre domande, quello stato così nuovo e in quella compagnia, mi rese così felice da non avere troppa nostalgia di quel che era la mia precedente vita.
Lei mi prese ancora una volta sul suo dito e mi poggiò sulla sua spalla.
Io provai un dolce senso di rientro a casa, e mi andai a nascondere nella cava presente tra il suo collo e i suoi folti capelli.
Io stavo bene lì. E lei stava bene con me.

Trascorsi molti giorni assieme a lei ed imparai a conoscerla; mi piaceva, era un’ombra spesso felice.
E capii che spesso la sua felicità ero io.

Talvolta ero geloso delle sue compagnie, perché la costringevano a mettermi da parte. Ma io ero comunque contento, perché ero certo del suo rientro prima o poi.
Davvero mi comprò uno zaino, infatti conobbi posti a me completamente sconosciuti; e non dovevo fare lo sforzo di piacere agli altri perché ero così carino che mi amavano incondizionatamente.
A volte dormivamo assieme, lei sul cuscino ed io sulla sua mano.
Mi piaceva premere il becco tra il suo indice il suo pollice, mi dava sollievo alla sinusite che mi trascinavo dietro da decenni.
Lei lo interpretava come un simbolo tenero, io come una bustina di antidolorifico in meno.
Però mi divertiva.
La sua famiglia era molto simpatica, generalmente a ora di pranzo e cena, verso la fine, venivo accolto anche io alla tavola, e per burlarmi di loro a volte atterravo violentemente nei semi spargendoli per tutto il tavolo. Un po’ mi richiamavano, perché combinavo davvero disastri.
Scoprii anche che la mamma aveva un fidanzato, che lei talvolta chiamava “Il papà.”
A me piaceva avere una mamma e un papà.
Lui era convinto che lo odiassi solo perché lo pizzicavo, ma in realtà ero solo geloso che poteva avere i suoi baci tutti per sé.
Poi iniziai a perdonarlo, perché la mamma era generosa di baci con tutti coloro che amava.

Non so in quale vita mi reincarnerò quando questa finirà; certo è che vorrei non finisse mai.
Sto proprio bene adesso.
Anche se l’incidente non mi ha mai permesso di poter volare, ho volato con l’amore.
Sulle spalle di mamma tutto sembrava osservato da un punto di vista molto alto ma poco vertiginoso:
ho visto i quadri più belli, i paesaggi più emozionanti, ascoltato le musiche più armoniose.
Ho imparato a cantare, e i miei colori mi hanno salvato dal grigiore che mi assorbiva nell’altra vita.

Quel che potrò dire con certezza è che ho sognato moltissimo.
Ma dopotutto si sa, miei cari umani: tutti nasciamo con un paio di ali, ma… “solo chi sogna può imparare davvero a volare”.














Volere Volare testo di FioreDinverno
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