Nei cieli immoto, sopra il Carbonara,
retto dalla corrente ascensionale,
il vuoto domini imponente e altero,
del tuo elemento vero imperatore.
E sale verso te l’ammirazione.
Rapace re del cielo, mi somigli:
rovi, fionde e perigli eviti al suolo,
nel volo sconfinato trovi pace.
Forse per la tendenza a ripudiare
l’ingerenza dell’uomo, inviso sei;
sofferente ti fa la stimma in viso
effigie d’angosciose stille scorse.
Signore etereo, nulla ti distrae
dal volo tuo, ti trae solo la carne
al suolo e il nido; echeggia il franco grido
tremiti cagionando di terrore.
Pende dal muro, nella masseria,
una calandra ostaggio del campiere.
L’ugola si schiarisce per il boia
ché mitigar la di lui noia intende.
Sciente che il suo destino egli decreta,
quieta, la galeotta, il suo aguzzino,
e con indotta scelta, compiacente,
ogni sua volontà canta obbediente
Poco m’importa se, pari al lanario,
anche il mio grido irrita e sconforta;
pur io dall’alto sento dolci brezze,
miro bellezze e vesperi di fuoco,
rapaci però sono i miei natali:
canto l’ardore unto di sudore,
l’ansia, l’istinto, la pazzia, l’angoscia;
versi forse brutali ma veraci.
Canti servili, sparsi di confetti,
d’amore demagogo, non cert’io,
ma tollerò Calandra, ingrato giogo,
ché vita ci assegnò corsi diversi.
Il Lanario Madonita testo di Jos de Vie